In cerca di frammenti di felicità…

Libri

di Fiona Diwan

Poesia: Giovanna Rosadini ha vinto il prestigioso Premio Camaiore e festeggia con un nuovo libro, una antologia personale.

Esilio, assenza, mancanza. Corpo, figli, amore, infanzia. I temi ritornano e si ampliano, respirano dentro la coscienza poetica come dentro a un polmone, assumono forme che non ci aspettiamo e parole che non sappiamo di sapere. Persi in una lontananza che sa di esilio/senza cibo né acqua per lenire/una febbre di cui non ci accorgiamo./Siamo più cose di quante eravamo,/ ma ci sfugge l’essenziale.

Sono i versi di Giovanna Rosadini, poetessa cinquantenne, milanese d’adozione ma genovese di nascita, una vita passata a leggere e pubblicare poesie, per anni editor della leggendaria collana bianca Einaudi di poesia. Rosadini vince oggi il prestigioso Premio Camaiore per la Poesia e contestualmente esce con una bella antologica di liriche tratte dai libri passati. Si tratta di Frammenti di felicità terrena, LietoColle editore (pp. 235, 13 euro, collana Giallo Oro – Pordenonelegge.it), un volume che contiene nuovi scritti ma che è anche un’occasione per rileggere alcuni tra i più felici componimenti del libro di esordio di Giovanna Rosadini, Il sistema limbico, ormai fuori catalogo e introvabile. Il tema del “tempo riconquistato” emergeva già, fin dall’inizio: L’aria ha ripreso a muovere/i rami resuscitati in foglie tenere/ il mare ha ritrovato un battito/di ombre e di luci, guizzi/lanciati nella trasparenza../mi riporti dentro a un tempo/imperfetto di sogni scollati/dal candore…

C’è ancora il tema del tempo, i giorni senza tempo di ogni infanzia (Non dobbiamo lasciare deserta la terra dei ricordi/ dentro quel buio fermentato di nostalgia…), un tempo intorno a cui si coagulano proprio quei frammenti di felicità a cui la scrittrice dedica la prosa poetica dell’ultima, inedita sezione del volume. In questa nuova raccolta confluiscono alcune delle più belle liriche delle opere passate, Unità di risveglio, Fioriture Capovolte e, soprattutto, Il numero completo dei giorni, in cui Rosadini si era confrontata con il Pentateuco e le parashot. Le storie bibliche si intrecciano con la vita vissuta, gli spessi filamenti del cuore tessono tele d’amor perduto e ritrovato.

C’è Lech Lechà con il vagare di Abramo, una partenza da Ur che in verità è un ritorno a se stesso; c’è la legatura di Isacco e la lotta di Giacobbe con l’Angelo, il corpo a corpo con se stessi di ciascuno di noi, si tratti del nostro destino individuale o del destino collettivo e di popolo. È bello attraversare le Parashot leggendo queste poesie, in questo continuo andirivieni tra l’Io e il Noi, il tessuto ebraico che accoglie il ricamo dell’anima, la pergamena sacra che abbraccia la densità esistenziale di chi la interroga.
Ritroviamo in questo volume gli altri temi ricorrenti della poetica di Rosadini: il tema del corpo e della malattia (Sono semplicemente ciò che sono, corpo/muto confinato in se stesso, ramo allungato/ contro un crepuscolo blu, come lui intangibile, spoglio di richiami, sul punto di svanire). Affiora ovunque il ricordo del coma, della morte mancata – in seguito a un errore medico – e quello della lenta rinascita fisica che Rosadini dovette affrontare, anni fa, quando il “mio corpo è diventato/ un altro/Non sa più/ chi era./Si perde tutte/ le riposte, /mi lascia/ senza scampo. Uno scafandro ottuso/ sul fondo del mare”.

Per questo, il nostro è sempre un camminare con passi slacciati, accucciati nel respiro della notte; siamo anime zoppe dentro “ombre lunghe che tendono abbracci”, profili in controluce incisi sulla linea dell’orizzonte, scrive la poetessa. Rosadini lo sa: è lo sguardo degli altri a mantenerci in vita, siamo tutti un’impronta sul cuore di chi ci preme, siamo un tralcio che germoglia sulla ferita. Un fiore oscuro ci lega, una specie di amore che conforta e riscalda (L’amore ci sorprende come la pioggia/nel buio – e siamo fradici, senza/riparo, ancora lontani dall’alba).
Perché, come scriveva il poeta René Char citato da Rosadini in incipit, “fa che ogni supposta fine sia una nuova innocenza, una febbrile spinta avanti per coloro che inciampano nella pesantezza mattutina”.

Foto Dino Ignani