Festa del Libro Ebraico: gli italiani furono carnefici nella Shoah

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di Anna Lesnevskaya

I carnefici italianiSi dovette attendere il processo Eichmann del 1961 perché si potesse dimostrare che per essere un carnefice degli ebrei non era necessario per forza macchiarsi del loro sangue, ma bastava fare parte della macchina burocratica dello sterminio. Aspetto della Shoah che in Italia a lungo è rimasto in un cono d’ombra e che Simon Levis Sullam documenta scrupolosamente nel suo libro I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei , 1943-1945 (Feltrinelli, Milano, 2015).

“Anche se l’uccisione degli ebrei non è avvenuta sul suolo italiano, ho sostenuto che la Shoah poteva avvenire solo grazie alle molteplici funzioni di tipo burocratico, amministrativo e poliziesco che in Italia sono state svolte dagli italiani”, ha spiegato, alla Festa del libro ebraico a Ferrara, lo stesso Levis Sullam, che insegna Storia contemporanea all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Allo studioso interessa vedere come la quotidianità di una città italiana, ad esempio Venezia, con i suoi cinema, teatri e partite di calcio, andava quasi su un binario parallelo, mentre si susseguivano gli arresti sistematici degli ebrei.

“La centralità della figura dei Giusti – e talvolta parliamo di casi non precisamente documentati – ha offuscato il ruolo degli ingiusti”, nota l’autore. Levis Sullam si dedica a studiare i presupposti ideologici degli atti persecutori, parlando non solo del principale ideologo dell’antisemitismo italiano, Giovanni Preziosi, ma anche di figure minori, come un tale Martelloni, un funzionario della questura di Firenze che svolgeva il ruolo di cacciatore di ebrei porta a porta e scriveva di sua penna pamphlet antiebraici.

Simon Levis Sullam
Simon Levis Sullam

Si pone poi il problema della consapevolezza di tutti coloro le cui azioni hanno prodotto una moltiplicazione di funzioni burocratiche (secondo l’analisi del sociologo Zygmunt Bauman), che hanno permesso la Shoah. “A mio avviso, forse queste persone non sapevano quale sarebbe stata la conseguenza finale delle deportazioni di ebrei, ma sapevano invece che svolgevano un’azione persecutoria”, sostiene Levis Sullam.

Nel dopoguerra lo Stato per mantenere la sua continuità non viene giudicato per il suo coinvolgimento nelle deportazioni. Per Levis Sullam, si può parlare di “un’operazione di vuoto conoscitivo”. Questo, come spiega lo storico, ci pone davanti a paradossi come quello di Venezia dove il responsabile dei sequestri di beni ebraici, sarà il responsabile, nel dopoguerra, della restituzione dei suddetti beni.