Elena Loewenthal: racconti, personaggi, intrecci, eroi, narrazioni popolari…

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Scintille. Letture e riletture, di Ugo Volli

Una delle caratteristiche principali dell’ebraismo è il rigore. Rigore nell’osservanza dei precetti della Torah, difesi e salvaguardati grazie alle “siepi” della tradizione. Ma anche rigore intellettuale e interpretativo, quel che serve per capire autenticamente i comandi divini e il pensiero del monoteismo. Lo dicono i Maestri, ma lo sottolineano anche gli avversari, come Paolo di Tarso, che critica proprio per questo rigore la nostra religione da cui si dice uscito in nome dell’amore. Alcuni grandi pensatori dell’ebraismo, dal Rambam nel Medioevo fino a Hermann Cohen un secolo fa, hanno pensato che ci fosse una grandissima vicinanza fra ebraismo e filosofia, proprio per la rigorosa razionalità della nostra dottrina.
E però c’è molto altro nella tradizione ebraica.

C’è la liturgia, lentamente stratificata e precisata nel corso dei millenni, dall’iniziale preghiera del cuore dei patriarchi. C’è la mistica della Kabbalah, con le sue immagini straordinarie e le sue intuizioni paradossali: la creazione come “ritrarsi” del Divino, il Creato intessuto di materia e di “scintille” spirituali, l’albero delle emanazioni o degli attributi divini, il potere che la preghiera e i precetti nel nostro mondo hanno sull’Alto, i segreti dei Nomi e delle storie bibliche… Ma soprattutto c’è la ricchissima collezione dei racconti, personaggi, azioni, circostanze, intrecci che riguardano l’agire divino ma soprattutto quello umano, il modo in cui hanno vissuto le migliaia di persone che hanno fatto la storia del popolo ebraico: Adamo e Mosè, Abramo e Salomone, Giacobbe e Rabbi Akiva, Hillel e Maimonide, il Baal Shem Tov e il Maharal, Davide e Ruth, i maestri del Talmud, della Kabbalah, del Chassidismo…

Tante narrazioni, antichissime e attuali, molto più di quanto gli altri popoli usino pensare ai loro eroi. Alcuni fra loro sono narrati in un libro di Elena Loewental, Miti ebraici (Einaudi). Non si tratta del monumentale inventario delle Leggende degli ebrei di Louis Ginzberg, che la stessa Loewenthal ha tradotto in sei volumi per Adelphi: manca la pretesa della completezza, il repertorio puntuale delle fonti, lo sguardo filologico dell’opus magnum del grande rabbino, filosofo ed educatore lituano naturalizzato americano, morto nel 1953.

Ma in cambio Loewenthal ha la leggerezza del racconto, la dolce ironia, la sensibilità concreta della scrittrice, oltre che un’ottima competenza di studiosa. Inoltre vi è una maggiore libertà di scelta dei suoi “miti”, che non vengono solo dal Midrash o dalla Bibbia ebraica, ma riguardano anche vicende più moderne, come quelle del Dibbuk, del Golem, del Baal Shemtov, o Zohar. E vi è anche, preziosa, una premessa che mette in discussione la parola chiave del titolo scelto. Perché i “miti ebraici” sono certamente miti nel senso di essere narrazioni popolari, modi in cui si esprime lo spirito di un popolo. Ma rispetto alla libertà narrativa dei miti greci e, per esempio, degli indigeni dell’Amazzonia studiati da Lévi Strauss, queste narrazioni hanno una pretesa assai diversa, quella di avere insieme verità letterale e valore di insegnamento, di essere plurali e talvolta contraddittorie, ma essenzialmente vere, insomma di inserirsi fino in fondo nel rigore dell’ebraismo. E per questo sono state commentate, discusse, elaborate, rinarrate durante tutte le generazioni degli studi ebraici, mai rifiutate o ignorate anche dai più intellettuali dei Maestri. Non miti dunque nel senso di favole prive di impegno, ma esempi, concretizzazioni, rifrazioni colorate del pensiero. Il cuore narrativo della nostra identità.