Il paradigma del bello nella letteratura ebraica rinnovata

di Cyril Aslanov

[Ebraica: letteratura come vita] La modernizzazione dell’ebraico iniziata dai rappresentanti della Haskalah ha permesso alla letteratura ebraica di riconnettersi con un ideale estetico che va al di là della dimensione linguistica o stilistica per raggiungere i contenuti stessi. Quella letteratura rinnovata conferisce alla bellezza esteriore un posto molto più importante di quello che gli attribuivano le fonti classiche della Bibbia o del Talmud, più preoccupate per la bellezza interiore e reticenti nei confronti dell’apparenza esteriore.

Rammentiamoci il versetto di Proverbi 31:30 recitato o cantato ogni venerdì sera prima della cena sabbatica: sheqer ha-hen ve-hevel ha-yofi/isha ir’at Ha-Shem hi tithallal “Fallace è la grazia e vana è la bellezza/ma la donna che teme Dio è da lodare”. Se si pensa che il libro dei Proverbi, tradizionalmente attribuito a Salomone, fu composto in realtà solo dopo il quarto secolo prima dell’era volgare quando il mondo ebraico era già in contatto con la civiltà greca, così centrata sul culto della bellezza fisica, si può capire che il versetto appena citato è probabilmente una reazione all’ellenismo e alla sua ossessione per l’estetica considerata come un fine in se stesso.
Già nel 1853 Abraham Mapu pubblicò a Vilna il primo romanzo della letteratura ebraica moderna intitolato Ahavat Tsiyon (“L’amore di Sion” o forse “L’amore a Sion”) che racconta l’idillio del bell’Amnon e dell’affascinante Tamar ai tempi di re Ezechia e del profeta Isaia (ottavo secolo prima dell’era volgare).

Ma è stato Bialik a ripristinare in modo ancora più effettivo il legame della cultura e della letteratura ebraica con la bellezza corporale. Nella sua monumentale opera poetica, quello che fu più tardi considerato il poeta nazionale di uno Stato che non ebbe la fortuna di vedere, ricicla o trasforma antiche parole ebraiche per esprimere dei contenuti tutt’altro che biblici. Così sulla base del paragone di Salmo 42:2 (ke-ayal ta‘arog ‘al afiqei mayim “come la cerva anela ai corsi d’acqua”) Bialik creò il nome d’azione ‘ergah “desiderio violento” che egli usa più di una volta per descrivere l’impetuosità della libido erotica diretta verso un essere dall’irresistibile bellezza.

Shaul Tshernichowsky andò ancora più lontano nel processo di riconciliazione della letteratura ebraica con il culto della bellezza fisica associata all’erotismo quando tentò di infondere lo spirito dell’ellenismo nella poesia ebraica. Non solo tradusse l’Iliade e l’Odissea rispettando il ritmo dell’esametro dattilico in ebraico, ma anche sceneggiò in modo emblematico la relazione conflittuale dell’ebraismo rabbinico con la bellezza plastica nel suo famoso poema Le-nokhah pesel Apolo “davanti alla statua di Apollo” dove il poeta contesta l’interpretazione di Isaia 62:8 nel Talmud di Babilonia (Berakhot 6a) secondo cui l’Eterno metterebbe i tefillin al suo braccio sinistro. Contro questa concezione che giustifica l’uso dei filatteri come un atto di imitatio Dei, Tshernichowsky vuole promuovere una lettura della Bibbia dove il Dio di Israele è molto più vicino a Ba‘al, il dio cananeo della tempesta e del temporale, che alla concezione infinitamente più spirituale ed immateriale della divinità secondo la rilettura rabbinica delle fonti bibliche. In questo poema come in altri poemi dove Tshernichowsky flirta con una concezione idealizzata dell’antico paganesimo semitico, si indovina l’applicazione del paradigma di Hegel che considera i greci dell’Antichità come una civiltà che è stata capace di raggiungere l’equilibrio perfetto fra lo spirito e il corpo a tal punto che nella statuaria greca classica lo spirito si sarebbe armonicamente incarnato nella materia. Secondo lo stesso Hegel, l’ebraismo e dopo di lui il cristianesimo sarebbero colpevoli del divorzio fra la coscienza infelice e la bellezza materiale.

Questa conversione della letteratura ebraica rinnovata alla dimensione estetica del corpo, della materia e della natura preparò il terreno a degli sviluppi ideologici fondamentali dal momento in cui il sionismo tradusse il desiderio romantico di rinnovamento nazionale in termini politici: si pensi al Muskeljudentum “ebraismo muscolare” di Max Nordau, alla creazione dell’Accademia delle Belle Arti Bezalel nel 1906 o all’inaugurazione dell’Unione sportiva Maccabi nel 1921. Tutto questo modellò profondamente l’ethos sionista e lo allontanò dal disprezzo rabbinico per la bellezza esteriore.