Tempo di Libri. Il rapporto tra Primo Levi e la storia secondo Marco Belpoliti

Eventi

di Paolo Castellano

Marco Belpoliti (a sinistra) e Zaccuri (a destra)
Marco Belpoliti (a sinistra) e Alessandro Zaccuri (a destra)

Ci sono certi uomini che grazie al loro lavoro culturale tentano di comunicare e trasmettere alle nuove generazioni le infinite sfaccettature della realtà: il bene, il male, il valore della vita e il rispetto della morte. Tra questi intellettuali possiamo includere Primo Levi, scrittore e testimone primario sia per la cultura ebraica che per quella italiana. Come ha scritto Fiona Diwan, direttrice di questo giornale, nell’editoriale di marzo dedicato allo scrittore torinese, Primo Levi dopo la sua tragica deportazione ha “accettato la marginalità, si seduto sulla soglia della Storia e ha parlato agli studenti, non sempre convinto che gli itinerari della memoria siano le vie per l’avvenire”.

Anche il critico letterario Marco Belpoliti, insieme ad Alessandro Zaccuri, ha sottolineato la complessità della figura di Primo Levi durante la presentazione della nuova edizione de La prova (Guanda) avvenuta il 19 aprile presso la Fiera dell’editoria italiana Tempo di Libri.

Come ha spiegato l’autore, La prova è un volume diviso in due parti. La prima contiene i pensieri, le riflessioni, e anche i sogni che Belpoliti raccolse in un taccuino Moleskine durante la produzione di un film sui luoghi de La Tregua di Levi. La seconda invece raccoglie le interviste allo scrittore polacco Stanisław Lem e all’autore italiano Mario Rigoni Stern. Belpoliti ha così spiegato il suo modus scribendi: «Più di 10 anni fa stavo collaborando con il regista Davide Ferrario che voleva fare un film sui luoghi narrati da Primo Levi. Si decise di fare un viaggio in Polonia per identificare questi luoghi. Ai tempi collaboravo con La Stampa e il direttore mi aveva proposto di scrivere ogni giorno un articolo sulle località che vistavo. Il libro è nato così».

Belpoliti, stimolato da Zaccuri sul tema dell’unicità dello stile e dei contenuti dei libri di Primo Levi, ha spiegato ai presenti che la produzione letteraria dello scrittore torinese è stata interpretata diversamente a seconda del contesto storico: «La testimonianza di Primo Levi ha avuto due stagioni. La prima possiamo etichettarla come “antifascista”, e va dagli anni Cinquanta fino alla metà degli anni Settanta; la seconda invece è quella moderna che insiste sul paradigma dell’Olocausto e della Shoah: in questa stagione infatti emerge il tema dello sterminio ebraico. È palese quindi che i libri assumono una valenza differente in base al contesto storico-politico. Mi sembra però che non sia ancora apparso il paradigma di Levi come scrittore. Ritengo che ci sia una sorta di timore nel dire che Levi raccontò i fatti della deportazione in modo letterario: nella sua scrittura c’è infatti una complessità letteraria che sovrasta il contenuto testimoniale».

Nella parte finale della presentazione de La prova – un titolo molto “leviano” che richiama la prova alla vita ovvero la sopravvivenza – Belpoliti ha spiegato che lo scrittore torinese non narrò nei particolari le atrocità del lager perché non amava il voyeurismo e nemmeno l’emotività esplicita anche se i libri Se questo è un uomo e La tregua sono densi di sensibilità.

Aprire un discorso su Primo Levi dunque non è affatto semplice perché la sua complessità umana è talmente vasta che alcune volte si commette l’errore di sminuirla liquidando retoricamente lo scrittore torinese come un grande testimone e non anche come un grande letterato del XX secolo.