Settanta anni dalle leggi razziali

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La Chiesa contro l’abrogazione.

I settanta anni dalle Leggi razziali fasciste che ricorrono in questi giorni (è del 17 novembre 1938 il decreto legge XVII, n.1728 intitolato “Provvedimenti per la difesa della razza italiana”) si sovrappongono alla polemica sulla beatificazione di Pio XII. Infatti, quello che la Chiesa vuole portare all’onore degli altari è il “Papa del silenzio”, colui che ritenne di non intervenire contro le deportazioni e le stragi naziste. Neppure contro quella avvenuta sotto le sue finestre, quella del Ghetto di Roma. “Il suo fu un silenzio dettato dalla prudenza e dalla volontà di agire nell’ombra per salvare gli ebrei”, si dice dal Vaticano. Ma dopo? A parte la vicenda dei bimbi ebrei salvati nei conventi (Bollettino – Cultura) e che, se battezzati, la Chiesa non volle restituire, resta l’atteggiamento proprio verso le Leggi razziali, di cui, dopo il 25 luglio del 1943, la Chiesa bloccò l’abrogazione.

Scrive Felice Mill Colorni, Critica liberale n. 120

“Nei giorni immediatamente successivi al 25 luglio 1943 il governo Badoglio procedeva allo smantellamento di gran parte delle leggi e delle strutture portanti del regime fascista. Si salvarono però le leggi di discriminazione razziale contro gli ebrei. Omissione stupefacente, dato che la politica antisemita del fascismo non era mai stata altrettanto popolare né aveva goduto dello stesso consenso di massa di cui aveva fruito il regime negli ‘anni del consenso’.

La principale ragione di quell’omissione è ampiamente nota agli storici, ma non all’opinione pubblica anche qualificata ed informata, quell’opinione pubblica cui, esibendo un analfabetismo civile che sfida il grottesco, la maggior parte dei giornalisti e dei politici italiani vorrebbe far credere che la Chiesa cattolica sia stata per secoli antesignana e paladina dell’affermazione dei diritti umani e della ‘dignità della persona umana’, anche indipendentemente dalle appartenenze religiose.

La mancata tempestiva abrogazione delle leggi razziali fu dovuta principalmente all’intervento del Vaticano, tramite il padre Pietro Tacchi Venturi, uno dei più eminenti gesuiti del tempo, già grande tessitore della ‘conciliazione’ fra Papato e Italia fascista, e intellettuale cattolico così autorevole e qualificato da essere stato imposto a Gentile nella redazione dell’Enciclopedia italiana come ufficioso controllore e supervisore cattolico.

Nella sua veste di rappresentante non ufficiale del Vaticano presso il governo italiano, il 10 agosto 1943 Tacchi Venturi scrisse al Segretario di Stato della Santa Sede, cardinale Luigi Maglione. Suggeriva di cogliere l’occasione del rovesciamento del vecchio regime per ottenere un cambiamento delle leggi razziali. Ma quello che aveva in mente l’inviato del Vaticano non era il cambiamento delle leggi antiebraiche. Anzi, rispecchiando le preoccupazioni di Pio XI di cinque anni prima, proponeva che il Vaticano prendesse l’iniziativa di espungere solamente le clausole che discriminavano gli ebrei convertiti al cattolicesimo”.

Oggi il cardinale torinese Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, rispondendo sul La Stampa all’intervista di Rav Riccardo Di Segni, scrive “siamo stanchi di questi attacchi”.
È vero, non spetta agli ebrei decidere chi la Chiesa possa beatificare. Non ci riguarda. Ma non si chiedano avalli, non si chiedano “patenti”.
Come ha scritto sul sito Ucei Moked Sergio Della Pergola: “Le scelte in corso comportano un consapevole reciproco allontanamento dall’illusione del dialogo, della convergenza, del percorso unitario. Sempre con rispetto, ma ineluttabilmente diversi e separati”.