Roy Chen all'Accademia di Brera

Roy Chen all’Accademia di Brera: “Parlare della Shoah è doveroso, ma si deve parlare anche degli ebrei vivi in Israele”

Eventi

di Esterina Dana
La memoria “ha una voce a cui sempre prestare attenzione, come strumento di analisi e di critica nel flusso continuo di informazioni in cui siamo immersi, nella cacofonia dei media che ci disorienta. Come fare sì che eventi lontani nel tempo non vengano mistificati ma suscitino ancora spunti di riflessione?” Attiva da cinque anni sul tema della Memoria proiettata sul futuro, Barbara Nahmad, artista e docente all’Accademia delle Belle arti di Brera, tiene a sottolineare la sua avversione per le celebrazioni, ma ribadisce altresì l’urgenza di non dimenticare i tragici e unici accadimenti del passato. Questo è il senso del progetto La memoria non tace#, realizzato in collaborazione con la professoressa Cristina Muccioli e la Fondazione Arte Passante: tre eventi, due mostre rispettivamente alla Biblioteca di Brera e al passante ferroviario della stazione Garibaldi, e la lectio di Roy Chen, il 26 gennaio. A complemento, la lettura scenica del capitolo Vita da pulci “uno dei brani più eccentrici e profondi sulla Shoah”, e delle prime pagine del capitolo Sono qui, entrambi tratti dal romanzo “Anime”, pubblicato in italiano da Giuntina. Al tavolo, accanto all’autore, introdotti da Barbara Nahmad, Davide Fiano, attore, Bianca Ambrosio, traduttrice, Cristina Muccioli, docente di estetica.

Scrittore, drammaturgo, traduttore  e attivista israeliano per la Pace, Roy parla rigorosamente in italiano, appreso da autodidatta. “Oggi il nostro mondo è buio e la nostra è solo una piccola luce – esordisce -. Parlare dell’Olocausto e degli ebrei, che ne sono stati le vittime, è doveroso, ma non è possibile farlo senza parlare anche degli ebrei vivi in Israele”. E’ in Italia mentre infuria una guerra scatenata dall’inaudito attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre  2023; non una manifestazione di resistenza del popolo palestinese, bensì di un pogrom contro 1400 ebrei inermi uccisi in un giorno e trasmesso in diretta sui social dagli stessi esecutori.

Convinto sostenitore della soluzione “due popoli e due Stati”, Roy ritiene  che le storie di Israele e dei Palestinesi siano osteggiate dal fanatismo religioso di entrambe le parti:  il dolore e l’interferenza di troppi politici impediscono di modificare la narrazione senza l’aiuto di una mediazione esterna. “Io parlo con voi, perché preveniate la guerra, non soltanto gli antisemitismi” dice rivolgendosi al, pubblico prevalentemente di studenti, che ha progressivamente riempito l’aula 10 dell’Accademia. “La Shoah è stata il prodotto di una scelta; tra il 1939 e il 1945, un tempo relativamente breve, degli esseri umani hanno deciso per la guerra e la morte di altri esseri umani”. Ma il popolo ebraico è sopravvissuto, grazie a due meccanismi di difesa dal dolore e dall’orrore:  la capacità di “rinascere” e l’umorismo, che abita la letteratura tanto quanto la vita quotidiana. Figure e immagini iconiche proiettate su uno schermo ci impongono di riflettere sulla storia, di vigliare sull’umanità, di ricordare per non dimenticare. Primo Levi, il cui monito ci inchioda: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario” perché, come “ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre».

Viktor Frankl, autore di “Uno psicologo nel Lager” e di “Alla ricerca di un significato della vita”: “La sola cosa che non puoi portarmi via è il modo in cui scelgo di rispondere a ciò che mi fai”. La copertina di MAUS, la  grafic novel di Art Spiegelman che denuncia il male nazista riducendo tutti gli esseri umani ad animali (gatti, i tedeschi; topi, gli ebrei; maiali, i polacchi). Quella del Diario di Anna Frank, anch’esso a fumetti, un messaggio di speranza per i giovani, “Sento sempre più forte il rombo che si avvicina” eppure “credo tuttora nell’intima bontà dell’uomo”. Hetty Hillesum, che rifiutò di salvarsi per condividere un destino comune: “Voglio essere un cuore pensante”.

In Anime, a raccontare due storie parallele sono Grisha, un trentanovenne asociale convinto di aver vissuto più vite, e sua madre Marina, che decodifica per il lettore i fatti che ispirano la fantasia del figlio, sfatandone le reincarnazioni: “di vita ce n’è una sola, tutto il resto è una metafora”. Il surreale capitolo sulla Shoah è brevissimo, ma fulminante: un circo delle pulci a Dachau nel 1942, la mano di un impresario che fa da palcoscenico  su cui salta fino alla morte una pulce di nome Golia: una scena magistralmente interpretata da Davide Fiano a cui segue la lettura, ad opera di Bianca Ambrosio, della narrazione di Marina tematizzata su memoria, senso di colpa dei sopravvissuti, il suono della sirena a Yom HaShoah. “In Israele – racconta Roy ”i bambini non ‘sanno’ di Shoah, ma crescono con questo  patrimonio genetico in una sorta di schizofrenia: sono ebreo – sono israeliano. Ma qui, ora, noi dobbiamo ricordare che 130 persone sono ancora prigioniere a Gaza”.

Cristina Muccioli sottolinea la razionalità del progetto terrorista del 7 ottobre, rievocando la precisione dell’organizzazione tedesca in tutti i dettagli della persecuzione e dello sterminio. Affascinata dal libro di Roy Chen, ne ammira l’immaginazione, una facoltà di comunicazione propria dei bravi scrittori, “che ha a che fare con l’assenza, di cui rendono partecipi gli altri; non esiste memoria, se non ci sono le parole per dirlo”.

Rispondendo a una domanda del pubblico, Chen richiama la parola ebraica chayim, “vita” al plurale, che avvia il romanzo e sottintende il nostro legame con gli antenati e con il futuro. La sua storia letteraria – dice – “appartiene a una catena di cui il Tanach è la prima stagione”. I  personaggi, così umani da sembrargli familiari, “sono gli eroi dell’inizio della catena di cui cerco di essere un piccolissimo anello”.

Alla domanda di Barbara Nahmad sulla vita attuale a Tel Aviv, “abbiamo avuto giorni migliori – risponde Roy -, ma ora tutte le attività sono  riprese; il teatro, di nuovo pieno, è un importante luogo di incontro che, dotato di una stanza di sicurezza, consente alla gente per strada, di rifugiarsi  al suono d’allarme della sirena: la sirena mitologica si sovrappone così alla sirena reale”. “Lavorare con attori dei due popoli mi dà la speranza che un giorno israeliani e palestinesi vivranno insieme a Gaza e a Tel Aviv, perché i buoni e i cattivi sono da entrambe le parti  e noi dobbiamo fare il nostro esame di coscienza”.

Una mano si alza timidamente dal pubblico. Una studentessa dal volto leggermente arrossato per l’emozione, giunta a evento iniziato, rivolgendosi a Roy Chen osserva con voce soave che in questo incontro non ha sentito parlare di palestinesi. L’aula sussulta, alcuni spettatori si alzano, ma lui insiste per rispondere alla sua osservazione, ricordando il suo ingresso tardivo. Quindi, mentre il pubblico comincia ad andarsene, si alza e la raggiunge in mezzo al gruppo dei suoi compagni.
Che cosa si siano detti non ci è consentito sapere, ma si è aperto un dialogo (forse).