I Giusti sconosciuti

di Ugo Del Monte

“I giusti sconosciuti”: è il titolo di un incontro che si terrà il 9 marzo sul Monte Bisbino (Como), ai margini della frontiera con la Svizzera, là dove dopo l’8 settembre del 1943 molti  ebrei attraversarono il confine, salvandosi.

Proprio in occasione della Giornata dei Giusti, ci giunge questa testimonianza di Ugo Del Monte, prof. ordinario di Patologia Generale nelle Università di Firenze e di Milano, oggi a riposo, che spiega: «Storicamente parlando, un progetto (forse soltanto l’intenzione) di persone del comune di Moltrasio (Como) e di alcuni comuni vicini volto a ricordare degnamente i giusti sconosciuti che dopo l’8 settembre 1943 aiutarono soprattutto gli ebrei (ma non solo) a nascondersi e a riparare in Svizzera risale a alcuni anni fa. Ma il processo vero e proprio è stato messo in moto soltanto  di recente partendo da una iniziativa concreta dei miei figli, i quali sono riusciti a identificare  il nome della signora Emma Ripamonti  che nascose in casa sua me, mia madre e mia sorella. Ma le altre persone, tuttora sconosciute, che aiutarono a salvarci furono parecchie: chi certamente finse di non riconoscerci durante la nostra fuga da Moltrasio, la famiglia dei contrabbandieri che ci rifocillarono e ci portarono sul monte Bisbino fino al confine senza che avessimo i soldi per pagarli, la guardia di confine che fece finta di non vederci. Tutto ciò è riassunto nella mia testimonianza».

I Giusti Sconosciuti

Testimonianza resa il 26 febbraio 2014 da Ugo Del Monte

Ugo Del Monte aveva 12 anni quando il 3 dicembre 1943 insieme alla madre Anna Levi e a sua sorella maggiore Mirella riuscì miracolosamente a raggiungere la frontiera sul monte Bisbino, e a riparare in Svizzera salvandosi dalle leggi antiebraiche e dai nazifascisti. La loro salvezza è legata a un insieme di circostanze straordinarie e romanzesche in cui ebbero una parte essenziale alcune persone che Ugo e i suoi figli Luigi (Gigi), Anna e Marcello da molto tempo annoverano fra i Giusti. A tutt’oggi, dopo 70 anni, Ugo e i suoi figli sono riusciti a identificare soltanto una delle persone alle quali è legata la sopravvivenza della loro famiglia: la signora Emma Ripamonti. Comunque oggi, pur ignorando molti dei loro nomi, i Del Monte sono felici di ringraziarli tutti, con lo stesso profondo sentimento che dovrebbe unire e affratellare tutti gli esseri umani.

Nel 1942 per sfuggire ai bombardamenti la famiglia Del Monte (Luigi Del Monte con la moglie Anna Levi e i figli Mirella e Ugo) lasciò Napoli dove abitava, per raggiungere Milano e sfollare a Moltrasio insieme con il nonno materno Giuseppe Levi e i suoi due figli, Samuele e Guglielmo detto Baby, fratelli minori della mamma di Ugo. Dopo l’8 settembre 1943 rimasero tutti lì a Moltrasio, con l’intenzione di passare in Svizzera per mettersi in salvo dai nazifascisti.

Nell’ottobre del 1943 la situazione era diventata ormai drammatica. Si aveva notizia di alcune deportazioni e si sapeva che era indispensabile fuggire. Ma essendo ormai passato il periodo più favorevole per passare in Svizzera, la fuga venne più volte rinviata. Soprattutto il Nonno e gli zii, che avevano il passaporto portoghese, si illudevano che la villa Giuseppina, che oltretutto ospitava il consolato del Portogallo sfollato lì da Milano col la scusa dei bombardamenti, godesse della extraterritorialità e perciò, almeno per loro, potesse essere un rifugio abbastanza sicuro in attesa che giungessero gli Alleati, un avvenimento che, ohimè, si riteneva ormai prossimo. Ci fu poi la malattia del Nonno che trattenne la figlia Anna, madre di Ugo, dal lasciarlo. Si giunse così al 26 ottobre. Quella sera, dopo cena, erano tutti riuniti nel salotto. C’era anche il nonno, finalmente convalescente. Seduto accanto a lui, Ugo giocava col suo orologio da taschino, come tante altre volte. Ad un certo punto si udì una scampanellata. Lo zio Sam uscì nel giardino e si affacciò verso la strada, quindi rientrò precipitosamente dicendo di fuggire perché c’erano i tedeschi. Luigi Del Monte salì le scale di corsa per prendere i soldi e i documenti falsi, ma rimase imbottigliato. Invece la moglie Anna si buttò verso la porta sul retro con i figli Mirella e Ugo e riuscì a rifugiarsi con loro in una grotta poco visibile situata sotto il terrapieno rivolto verso la montagna. Così i tre si sottrassero alla luce della torcia con la quale i tedeschi frugavano il giardino e i dintorni della casa.

Dopo lunghe ore trascorse tremando per la paura e per il freddo, finalmente a metà della notte si fecero coraggio e scavalcarono, uno dopo l’altro, il muro di cinta. Aiutati dal rumore della sovrastante cascata, scivolarono quindi nel buio senza farsi sentire fino a raggiungere, più in basso, una vecchia casa che dava sulla strada. Benchè fosse notte, la porta era solo socchiusa, così Anna Levi coi figli Ugo e Mirella entrò e salì le scale. Una anziana donna, la signora Emma Ripamonti anche lei sfollata da Milano, accolse i tre fuggitivi e li nascose per una settimana intera. Chiusi in una stanza del primo piano, essi vedevano, attraverso le fessure delle tapparelle chiuse, il via vai dei tedeschi che svuotavano la villa. Aiutati da un collaboratore della ditta di Luigi Del Monte il quale procurò dei vestiti e del denaro, una sera i tre fuggitivi lasciarono la casa della signora Ripamonti e, senza che nessuno in paese mostrasse di riconoscerli, con la complicità del buio si imbarcarono sull’ultimo vaporetto. Riuscirono così miracolosamente a lasciare Moltrasio per raggiungere Argegno e la val d’Intelvi dove Luigi Del Monte aveva in precedenza preso in affitto una casetta in località Sant’Anna, usando il nome di certi amici di Napoli. Fuggiaschi e ormai soli, senza sapere nulla dei loro cari, Anna Levi e i figli Ugo e Mirella erano disperati, vivevano nell’angoscia di essere scoperti e riconosciuti, non sapendo che fare e ormai quasi senza soldi. Seppero però da altri fuggiaschi che era stata emanata una legge italiana secondo la quale tutti gli ebrei dovevano essere arrestati. Questo aggiungeva pericolo a pericolo. Ormai non solo i tedeschi ma anche la polizia italiana li avrebbe inseguiti. Dopo un inutile tentativo di varcare la frontiera vicino a Porlezza, si imbarcarono a Menaggio in direzione di Como. Per evitare un controllo dei documenti scesero però a Carate Urio. E qui, a conclusione delle circostanze straordinarie e romanzesche nelle quali erano riusciti a sfuggire all’arresto, incontrarono una signora, moglie e madre di quei contrabbandieri che, dopo averli accolti in casa e rifocillati, li aiutarono a salire sul monte Bisbino ormai coperto di neve, benchè non avessero di che ricompensarli se non simbolicamente. Qui Ugo Del Monte con la sorella e la madre attraversò la frontiera passando attraverso una smagliatura della rete. Egli ha ancora ben vivo il ricordo di una guardia italiana la quale si ritrasse nella garritta fingendo di non vederli, meritandosi così anch’essa di entrare a far parte dell’elenco dei Giusti.

Ugo Del Monte, la madre Anna e la sorella Mirella non rividero mai più i loro cari. Subito dopo l’arresto, da Moltrasio essi erano stati portati tutti e quattro a Milano, nel carcere di San Vittore. Poi i loro destini si erano separati. Luigi Del Monte fu deportato col primo convoglio che partì per Auschwitz dal famigerato binario 21 della stazione centrale di Milano. Il nonno e i suoi due figli lo furono, ma solo alcuni mesi dopo essere passati per Fossoli. Nessuno di loro tornò.

Vent’anni dopo, nell’estate del 1964, Anna Levi riconobbe, in una vetrina di Cortina d’Ampezzo, l’orologio da taschino di suo padre. Il negoziante riferì che glielo aveva venduto poco prima un turista tedesco.