L'evento sulle leggi razziali alla Fondazione Corriere della Sera

Alla Fondazione Corriere della Sera una serata sui beni confiscati agli ebrei

Eventi

di Paolo Castellano
Il 27 novembre, presso la Sala Buzzati della Fondazione Corriere della Sera, si è svolto l’incontro intitolato Che fine fecero i beni sequestrati agli ebrei italiani?, moderato da Piergaetano Marchetti. Al dibattito sono intervenuti il prof. Germano Maifreda (Università degli Studi di Milano), l’archivista Barbara Costa (Intesa SanPaolo) e il giornalista Fabio Isman. Il tema della conferenza è stato analizzato da più punti di vista. Storicamente, è noto che il sequestro dei beni agli ebrei italiani incominciò nel 1938, con la promulgazione delle Leggi Razziali di Mussolini. La confisca però si fece ancora più dura durante gli anni della Repubblica di Salò. Come vennero requisiti dal 1938 e poi restituiti – una volta finita la guerra – i patrimoni ebraici?

Il prof. Maifreda e Fabio Isman hanno espresso la loro opinione al riguardo, davanti a una sala gremita di persone. «I provvedimenti contro gli ebrei iniziarono nell’agosto del 1938, prima della promulgazione delle leggi di novembre. Il fascismo fece infatti un censimento degli ebrei italiani», ha sottolineato Maifreda, aggiungendo poi che il regime littorio voleva acquisire più dati possibili per eventuali confische, avvenute in seguito con tre provvedimenti.

Il primo fu quello del settembre della legge del 1938: si vietò agli ebrei di sposare cittadini ariani, di lavorare nel settore pubblico o para-pubblico e di accedere o insegnare nelle scuole statali. Oltre a ciò, gli ebrei non poterono possedere e dirigere aziende dichiarate “interessanti alla difesa della nazione” o aziende di qualsiasi altra natura con 100 o più persone. In più, agli ebrei fu vietato di possedere terreni di valore d’estimo superiore alle 5mila lire e fabbricati urbani che avessero un imponibile superiore alle 20mila lire.

Il secondo provvedimento fu il regio decreto del 1939 che prevedeva l’incameramento da parte dello stato della quota eccedente, ovvero tutto ciò che superava una soglia minima, calcolata moltiplicando per un coefficiente fisso le rendite catastali previste dalla legge. Inoltre i proprietari dovevano autodenunciare le proprie sostanze che venivano valutate in un secondo momento da un tecnico erariale – specializzato in valutazioni del patrimonio – e poi l’intendenza di finanza trasferiva le quote d’eccedenza alla Egeli (Ente gestione e liquidazione immobiliare). Queste ultime gestivano l’incamerato.

L’ultimo e terzo provvedimento fu adottato nel gennaio del 1944. I cittadini italiani di razza ebraica non potevano essere proprietari di aziende, di terreni e la quota eccedente fu tolta. Tutti i beni ebraici vennero sequestrati e poi confiscati.

Cosa si è fatto per le restituzioni dopo la guerra? Ha cercato di capirlo Fabio Isman, autore di 1938, l’Italia razzista (il Mulino), ricordando che da Trieste sparirono 3 tonnellate di merci preziose verso la Germania che poi furono portate in Carinzia. «La stessa commissione Anselmi lo dice. Mancano tante cose. Degli atti delle confische in Toscana non sappiamo nulla, i documenti non sono confluiti nelle Egeli».

Isman ha infatti sottolineato che agli ebrei furono sottratte ingenti ricchezze rivalutate oggi attorno ai 150 milioni di euro. Almeno queste le stime sugli espropri attestati dagli archivi. Esiste però una realtà sommersa, costituita da confische illegali di cui appunto non si ha alcuna traccia.

«L’attività di rastrellamento dei beni è stata certosina: vennero prelevati addirittura i conti correnti di una lira e mezza, i titoli, le azioni, i titoli d’autore Stefan Zweig e Margherita Sarfatti dalla Mondadori, vetture fuori uso, gioielli, pellicce e piccoli ma cari ricordi di famiglia», ha dichiarato il giornalista. La restituzione è certamente una questione complicata. Il più delle volte è stata concordata una cifra comprendente le spese legali, inadeguata al valore reale dei beni confiscati.

Per portare a termine la sua indagine storica, Isman si è avvalso dell’Archivio Intesa SanPaolo, gestito da Barbara Costa. L’archivista ha ribadito l’importanza della conservazione degli archivi bancari, che sono dei veri e propri patrimoni collettivi.

Il video integrale della conferenza è disponibile sul sito della Fondazione Corriere della Sera.

 

@castelpao