Antoine Grumbach un architetto dell’aria

Arte

di Sonia Schoonejans e Andrea Finzi

Land Art: Les Yeux du Ciel (Gli Occhi del Cielo). La Galleria Jeanne Bucher Jaeger espone modellini, disegni e docu-film che testimoniano le diverse tappe che hanno portato all’elaborazione degli “Occhi del Cielo”, un’opera visibile dall’alto dedicata a Dedalo e Icaro, con spazi espositivi e un parco urbano

Atterrando o decollando dall’aeroporto di Parigi Roissy Charles De Gaulle è ormai possibile notare dall’aereo la prima parte di un’opera monumentale che attiene sia alla Land Art che alla Air Art: Les Yeux du Ciel (Gli Occhi del Cielo).
Ci voleva l’immaginazione e la determinazione di un architetto visionario come Antoine Grumbach (1942) per concepire e realizzare un simile progetto, ai confini del paesaggio reinventato, dell’industria circolare e dell’opera d’arte. Il sito si estende su circa due chilometri di lunghezza, 800 metri di larghezza e 30 metri d’altezza. I due occhi – 400 x 170 metri ciascuno – sono delimitati da albereti piantumati in mezzo ai campi coltivati, un disegno che già costituisce un immenso parco regionale. Il primo occhio, denominato Icaro è già visibile, mentre il secondo, Dedalo, sarà terminato soltanto nel 2025. L’iride di Icaro diventerà un museo all’aperto, ripercorrendo la storia dei grandi segni terrestri visibili dallo spazio, come quelli tramandatici dalla cultura Nazca in Perù. L’iride di Dedalo, da parte sua, avrà un belvedere ed un osservatorio circondato da quattro labirinti. Al centro del belvedere svetterà un Ginkgo Biloba, il primo albero ricresciuto a Hiroshima dopo l’esplosione della bomba atomica, divenuto per questo simbolo di resilienza e longevità.

Questo sguardo posato sulla terra, che si scopre dal cielo e si visita all’interno, è stato creato grazie al riciclo di migliaia e migliaia di tonnellate di terra scavata durante i lavori della Grande Parigi “Seine Métropole”. La riutilizzazione della terra e dei detriti accumulati per creare colline artificiali non è evidentemente una novità: ci si ricorderà del barone Haussmann, prefetto di Parigi sotto Napoleone III, che, per modernizzare la capitale, distrusse un gran numero di edifici parigini e ammassò le macerie in ciò che divenne a nord il parco delle Buttes Chaumont e a sud il parco di Montsouris.
I milanesi hanno fatto la stessa cosa ammassando le macerie dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale in quello che divenne il Monte Stella, progettato dall’architetto Bottoni.


Ma gli “Occhi del Cielo” rappresentano molto di più di un semplice riutilizzo di grandi masse di terra, come spiega il loro autore: «Partito dalla considerazione che le terre inerti non sono dei detriti, ma dei materiali nobili e cosciente del fatto che le metropoli sono delle forme senza limiti, ho concepito un’opera discontinua che la crescita urbana finirà per inglobare. Il riutilizzo della terra di risulta è anch’esso valorizzato ecologicamente dalla biodiversità delle piantumazioni che l’accompagnano. Nulla più è ‘rifiuto’, tutto diventa ‘risorsa’, soprattutto ciò che appartiene alla terra».

La riflessione di Grumbach sul divenire delle metropoli in continua espansione e del confine fra l’urbano e la natura ci ricorda quanto questo architetto, proveniente da una famiglia ashkenazita dell’Alsazia, tragga linfa dalla sua cultura d’origine e più particolarmente dalla concezione ebraica dello spazio per elaborare ciò che lui denomina una “Land Art metropolitana”. Egli infatti avverte le questioni della “soglia” e del “limite” nell’ebraismo, notando che spesso ci si imbatte in strutture mobili (il mishkan) o effimere (la succà) come se bisognasse diffidare di ciò che è statico, permanente. Allo stesso modo, l’accento è posto non sul luogo ma su ciò che vi si fa. E Grumbach prende esempio dal minian per la preghiera, che può riunirsi in qualsiasi luogo.

 

La famosa Galleria Jeanne Bucher Jaeger, che annovera fra i propri artisti Nicholas de Stael, Vassilj Kandinsky e più recentemente Dani Karavan e Susumu Shingu, espone modellini, disegni e film che testimoniano le diverse tappe che hanno portato all’elaborazione degli “Occhi del Cielo”. A volte si tratta di semplici ipotesi, “fantasticherie solitarie o derive urbane”.

Allo stesso modo, le potenti immagini realizzate dai cineasti Richard Copans e Alain Nahum per mostrare l’ampiezza del progetto, possiedono una carica poetica inedita.

La mostra Les Yeux du Ciel si iscrive in un ciclo intitolato Enchan-Temps pensato da Veronique Jaeger, direttrice della Galleria Jeanne Bucher Jaeger che sostiene artisti la cui opera porta avanti valori di umanità, sviluppo sostenibile, pace e visione del futuro. Al termine dell’esposizione alla Galleria, a gennaio, la mostra si è trasferita in uno spazio dedicato, all’aeroporto Roissy CDG, ove potrà essere visitata da migliaia di viaggiatori fino al 31 maggio 2024.