We shall dance again,  grande evento del KH all’Hotel Melià per sostenere Israele

di Roberto Zadik

 

Emozioni, testimonianze e tanta solidarietà, ricordando le vittime del 7 ottobre e del Nova Festival di Re’im

 

Partecipazione, impegno, solidarietà e commozione ma anche resilienza e progetti per il futuro, sono stati fra le parole chiave del prestigioso evento We shall dance again (Balleremo ancora) tenutosi lunedì 8 aprile e organizzato dal Keren Hayesod presso l’Hotel Melià. La serata è stata condotta dal nuovo presidente del KH Victor Massiah e da Rebecca Arippol consigliera della Women’s division che, chiamata sul palco del salone dell’Hotel dalla presidentessa della WD Shirley Kohanan, ha espresso la propria soddisfazione “è la prima volta che presento una serata così importante, davanti a oltre trecento persone”. Successivamente prima degli interventi in attesa della cena, standing ovation del pubblico sulle note degli inni nazionali italiano e israeliano accompagnato sul megaschermo da una serie di toccanti immagini di questi difficili mesi, dalla guerra alle immagini delle giovani vittime dei massacri del 7 ottobre. A questo proposito è stato proiettato il breve filmato dallo slogan Ci impegniamo siamo il Keren Hayesod in cui sei ragazzi, alcuni scampati ai massacri del Kibbutz di Be’eri e del Nova Festival di Re’im, hanno riassunto i loro stati d’animo durante e dopo quei terribili momenti. Fra le frasi più toccanti una delle interpellate ha detto “il paradiso si è trasformato in un inferno. Quel giorno ho imparato cos’è la paura”. Dolore, sconvolgimento ma anche forza e fiducia nel Paese, una delle protagoniste del video ha affermato che nonostante tutto “siamo una comunità forte, quella è la nostra casa e la casa dei nostri figli”.

 

Gli interventi degli ospiti: dagli sponsor, al Rabbino Capo Rav Arbib, al presidente Meghnagi fino alle personalità da Israele come  Ayelet Nahmias Verbin, presidente del Fondo Vittime del Terrorismo e  Menashe Ram padre di Omri, una delle vittime del Nova Festival

 

Subito dopo si è passati agli interventi dei vari ospiti e personalità intervenute sul palco del salone dell’Hotel Melià. A cominciare da Carlo Vedani, amministratore delegato di uno degli sponsor della serata, Fiduciaria Orefici che ha comunicato la sua vicinanza a Israele evidenziando l’antisemitismo crescente anche nelle università e l’importanza di “pensare non solo al male ma anche al Bene” elogiando gli sforzi del KH che “sosteniamo in quello che fa e che ci dà un senso di luce in un mondo avvolto nelle tenebre”.

Varie testimonianze non solo da Israele ma anche dalle istituzioni ebraiche e dai suo esponenti di spicco come Eyal Avneri, shaliach per il Keren Hayesod Italia e Dani Kaplan direttore del KH a livello europeo. Ringraziando tutti, Kaplan, ha sottolineato come “stiamo vivendo una battaglia su più fronti, dai soldati in guerra, ai genitori nelle case, alla nostra rappresentanza nelle varie città e Paesi e nelle società circostanti, dai media alle università, che spesso non capiscono la differenza fra aggressori e vittime, fra i terroristi e cittadini pacifici. Grazie alle vostre donazioni – ha affermato soddisfatto Kaplan – con il vostro aiuto, il KH ha raccolto fondi per la riabilitazione fisica e mentale di migliaia di persone, che così  hanno ricevuto un  grande aiuto per curarsi. Vorrei condividere una riflessione personale: noi ebrei  disposti a sacrificarci per salvare una vita in Israele anche se non siamo nati nel Paese.  Anche stavolta ce la faremo, non ci arrenderemo, non siamo delle vittime, ma siamo il popolo d’Israele”.

 

Successivamente Eyal Avneri ha raccontato la giornata di sabato 7 ottobre “ho sentito che stava succedendo qualcosa di grave,  mai accaduto prima nel nostro Paese e nonostante fosse di sabato sono andato in ufficio e come ebreo e come israeliano penso di non esserne mai uscito. Ricordo con grande soddisfazione che l’Italia è stato il primo paese a inviare aiuti, non dimenticherò mai questo e sono molto fiero di voi, sono onorato di avere questo ruolo proprio in questo momento così difficile”.

 

Fra gli interventi più intensi, quello del Rabbino Capo Rav Arbib  che, sottolineando la complessità di questo periodo e citando il Seder di Pesach,  ha ribadito il principio stabilito dai Saggi “Si comincia con qualcosa di positivo e si finisce con la lode”. “Questo condensa la storia ebraica; ci hanno accompagnato varie tragedie, dalle quali siamo sempre usciti”. Rifacendosi al testo dell’HaTikwà, egli ha spiegato che il passaggio “non è ancora persa la nostra speranza” è una citazione dal profeta Ezechiele e dalla profezia sulle ossa secche che risorgono; lì il popolo afferma di aver perso la speranza mentre il profeta evidenzia il dovere di sperare. “Noi viviamo con la speranza e crediamo che da un momento difficile alla fine  si riesca ad uscire”.

 

Subito dopo la conduttrice Rebecca Arippol ha chiamato sul palco il presidente della comunità ebraica milanese Walker Meghnagi, che ha ricordato la sua lunga esperienza con il Keren Hayesod: “da quando avevo 24 anni, sono cresciuto col Keren che è il cuore ebraico, il cuore di Israele e arriva dove non potete nemmeno immaginare”.

 

Molto toccante la parte conclusiva della serata, con le testimonianze prima di Ayelet Nahmias Verbin, presidente del Fondo per le vittime del terrore ed ex membro della Knesset, e poi dei genitori di una delle vittime del  Nova Festival, Menashe e Merav Ram genitori del ventottenne Omri Ram, che “proprio lunedì sera avrebbe festeggiato il suo compleanno”.

 

Visibilmente emozionata la presidente del Fondo ha sottolineato la “centralità di sostenere chiunque possiamo, stiamo cercando di aiutare persone sconvolte, i sopravvissuti a tornare alla normalità” e l’importanza di aiutare più famiglie possibile. “Sono stati mesi molto difficili in cui ho pianto ma ho anche sorriso molto, accanto al dolore ho visto molta solidarietà da parte del Keren Hayesod che ha offerto sostegno alla gente che ne aveva bisogno”.  Ricordando la sua amicizia con Menashe Ram, ha raccontato di conoscerlo da anni. “Noi ebrei rinasciamo dalle ceneri – ha evidenziato – siamo una grande famiglia, la mia preghiera ogni giorno è la liberazione degli ostaggi, abbiamo bambini che non sappiamo che fine abbiano fatto. Dobbiamo farci forza, non abbiamo scelta, spero che gli ostaggi tornino alle loro famiglie al più presto”.

 

Nel suo discorso ha ricordato le giovani vittime del Nova Festival “i loro volti non potranno mai cancellarsi dalla mia mente, rappresentavano il contrasto, con la loro vitalità, alla violenza e alla cupezza dei terroristi di Hamas che li hanno uccisi. Gente gioiosa, persone pacifiche che amavano la pace e che sono state portate via in quel terribile sabato mattina. Il nostro compito come Fondo è ricevere e aiutare le vittime del terrorismo, in ventidue anni di esistenza, grazie alla vostra generosità, ci siamo occupati di oltre novemila persone, ogni singolo giorno dell’anno. Abbiamo raggiunto tutti i Kibbutzim e gli insediamenti, distribuendo denaro e aiuti con il vostro sostegno e quello dell’Agenzia ebraica”. A questo proposito è intervenuta anche  Rebecca Arippol che ha ricordato le atrocità dei terroristi che “non hanno fatto distinzioni fra le vittime, giovani o anziani, militari e civili ma le hanno colpite nelle loro case all’alba, hanno colpito la spensieratezza e la leggerezza di centinaia di ragazzi colpevoli solo di ballare mentre celebravano il loro amore per la musica, per la pace e per la vita. Ripartiamo da loro, da un mondo che parta dai giovani”.

 

A concludere, la drammatica testimonianza dei genitori di Omri Ram che hanno ricordato il loro figlio: “oggi sarebbe stato il suo ventinovesimo compleanno”. La madre, esprimendo gratitudine per la comunità milanese, ha descritto il figlio scomparso e la sua personalità “un ragazzo sportivo che amava la vita, stare con la gente, diventato tennista professionista in Israele, vivace e amante dei viaggi. Aveva concluso la sua Laurea in Economia, viveva a Parigi e giocava a frisbee sotto la Torre Eiffel. Diceva sempre che quando lanciava quel frisbee una parte di lui volava via”. Ricordando il figlio scomparso, Menashe Ram ha detto al pubblico “ci siamo subito attivati per donare i suoi organi, per una nuova vita che continuerà l’esistenza del nostro popolo”.

 

Una serata piena di testimonianze, emozioni, aneddoti a sostegno di Israele in cui, dopo i discorsi e la cena, tutto si è concluso con l’esibizione di Einat Sarouf e della sua band che ha eseguito una struggente versione del celebre brano pasquale Veisheamda laavotenu. 

We shall dance again (Balleremo ancora): e i balli tradizionali ebraici e israeliani hanno, in fine, celebrato la vita, perché solo così si può sconfiggere la violenza e la morte.