La “ricostruzione” della foreste

Dopo la guerra col Libano nella zona di Rosh Pina gli alberi neri e scheletriti che ricoprono il pendio sono le altre vittime del conflitto di questa estate.

Nei 33 giorni di guerra Hezbollah ha lanciato 4000 razzi sul nord di Israele, 600 dei quali sono caduti sulle foreste provocando centinaia di incendi. Si tratta della più grave distruzione di boschi avvenuta nei 58 anni della storia dello stato, e ci vorranno almeno cinquant’anni perché le foreste ritornino come prima perché non esistono sistemi per accelerare il processo di rimboschimento.

750 000 alberi sono andati in cenere, l’equivalente di 12 chilometri quadrati di bosco naturale o piantato, qualcosa come 1500 campi di calcio. I danni maggiori si sono verificati nelle foreste di Biriya e Naftali, rispettivamente vicino a Rosh Pina e a sud di Kiryat Shmona che sono state le zone più gravemente colpite dai katiusha: ne sono caduti 300, in raffiche di dieci, il che ha reso estremamente difficile spegnere l’incendio. Oltre alle foreste, sono andati perduti anche 40 000 dunam (40 chilometri quadrati) di terreno agricolo e di pascolo.

I danni sono incalcolabili, ma al di là della fatica, le persone impegnate nell’opera di spegnimento non sapevano se essere contente o disperate, perché un katiusha che cade qui è uno di meno che cade su una città.

Questo disastro ambientale ha però avuto il benefico effetto di scatenare una vera e propria corsa di volontari che si sono offerti di aiutare, anche solo portando cibo e bevande ai ‘pompieri’, nella ricostruzione delle foreste; tra i volontari c’erano studenti universitari, ragazzi delle scuole, soldati, intere famiglie, e non ultimo un gruppo di giovani ebrei accorsi nientemeno che da San Pietroburgo.