Pubblichiamo per intero la lettera di Viola Turone, studentessa della III media (superiore di I grado) della Scuola della Comunità Ebraica scritta dopo avere ascoltato la testimonianza di Liliana Segre al Teatro Arcimboldi in occasione del Giorno della Memoria.
“Oggi ho avuto il privilegio di ascoltare la testimonianza di Liliana Segre, che mi ha molto colpita. Ho sempre sentito parlare della Shoah, ho ascoltato testimonianze e letto libri, ma mai come oggi mi sono accorta dell’importanza di parlarne e del coraggio delle persone che raccontano la loro storia.
La signora Segre ci ha parlato di come le leggi razziali le hanno impedito di andare a scuola all’età di otto anni, e nessuno si è accorto della sua assenza. Di come a dodici anni sia finita al carcere di San Vittore per aver tentato di attraversare il confine con la Svizzera insieme a suo padre. Ci ha raccontato dell’ultima volta che ha visto, suo padre, il suo eroe, quando li hanno divisi all’entrata del campo di sterminio. Dell’anno passato ad Auschwitz, del terrore e della speranza. Di come lei fosse diventata un numero, 75190, e non più una persona.
Ci ha raccontato della sua compagna di lavoro Jeanine, che era stata mandata a morire in una selezione e del suo senso di colpa per non essersi voltata a salutarla un’ultima volta e rassicurarla che non era sola. Ci ha parlato della solitudine, quella vera, di qualcuno che ha perso tutto tranne che la speranza. La speranza di vivere, di uscire da quel luogo da incubo. Ci ha parlato di come lei ha scelto la vita, anche quando avrebbe potuto lasciarsi prendere dallo sconforto, anche quando non aveva più nessuno per cui vivere.
La cosa che mi ha colpito di più della sua storia però, è stato quando ha parlato dell’indifferenza che il mondo aveva mostrato nei confronti di quello che stava accadendo. Di come i suoi compagni non si fossero accorti che lei non veniva più a scuola. Di come l’unico gesto di pietà che le sia stato mostrato in tutto quel periodo fu il saluto dei prigionieri, criminali del carcere di San Vittore, mentre 600 persone innocenti, tra cui lei, camminavano verso i camion che li avrebbero portati ad Auschwitz.
Quello che più di tutto mi è rimasto della storia della signora Segre oggi, è che l’indifferenza è la più grande causa di ciò che è accaduto. E sono convinta che lo scopo della sua testimonianza, il motivo per cui lei parla a ragazzi come noi, oltre a farci ricordare, è insegnare a non essere mai indifferenti. Sono grata a Liliana Segre, per averci lasciato un po’ della sua saggezza. Farò in modo di tramandarla.
Viola Turone
Classe III media
Scuola Ebraica della Comunità