Missili su Israele

Bené Akiva: una serata con Progetto Dreyfus per rispondere agli attacchi su Israele

Giovani

di Tal Schreiber, Shevet Dorot del Bené Akiva
Non mi sento abbastanza preparata per affrontare un dibattito con i miei coetanei che sostengono i palestinesi. È quello che, come credo molti altri giovani, penso ogni volta che vorrei rispondere a un post sui social o a un commento dal vivo. Spesso lascio perdere. Leggo molti, troppi commenti violenti ed estremisti di destra e di sinistra, #freepalestine e #amisraelchai. Ma qua non si tratta né solo di politica né solo di sentimenti. Si tratta soprattutto di storia, di fatti oggettivi accaduti in passato o attuali. Fatti di cui la maggior parte di giovani e meno giovani non sono minimamente informati. Mi riferisco alla Dichiarazione Balfour, la Conferenza di San Remo, le alyot legali e non, la Proclamazione di uno Stato Ebraico da parte dell’ONU e l’individuazione di quello palestinese nel 1948, le guerre, la risoluzione ONU del 1975, la conferenza di Durban, gli accordi di Oslo, il caso Sheik Jerrah… Si potrebbe scrivere un elenco infinto di fatti su cui si basa la situazione attuale tra Israele e Palestina di cui quasi nessuno è al corrente. O almeno quasi nessuno di quelli che si sentono in dovere di esprimere un’opinione, sostegno morale e pratico, come raccogliere milioni di euro con una raccolta fondi di Instagram per i bambini palestinesi.

Ora basta leggere qualche articolo di giornale e sentire il pensiero di Bella Hadid e Ghali per sentirsi esperti delle politiche estere o paladini della moralità. Ma qual è il modo corretto per controbattere alle affermazioni contro Israele? A questa domanda hanno risposto David Zebuloni, giornalista della radio israeliana 103fm, Gianluca Pontecorvo e Roberta Vital referenti dell’associazione Progettodreyfus.

Le risposte emerse sono principalmente due: tenerci ben informati sulla base di notizie attendibili e fare hasbarà, divulgazione. Ho cominciato a frequentare il Bene Akiva durante l’anno in cui Zebuloni era Rosh Senif, me lo ricordo molto bene e mi sono ritrovata molto nelle sue parole durante lo zoom. Basandosi sia sugli studi che ha fatto, sia sulla sua esperienza personale, ci ha spiegato come fare hasbarà. L’obiettivo della divulgazione, non sono le persone convinte del contrario, bensì coloro che sono in dubbio, che non hanno una forte opinione e che quindi possono essere convinti di quelle verità oggettive e incontrovertibili sulla situazione attuale. I palestinesi utilizzano i social come mezzo per diffondere falsità al fine di sensibilizzare il mondo alla loro miseria. Noi dobbiamo utilizzare tutti i mezzi che abbiamo per dimostrare che Israele mette al primo posto la vita umana, senza distinzioni, per esempio, avvertendo sempre prima di bombardare. Come sottolinea Pontecorvo, quando divulghiamo informazioni non dobbiamo tralasciare il rispetto della privacy, dobbiamo essere certi che le informazioni siano assolutamente incontrovertibili e soprattutto, mai perdere la calma.

Noi ebrei abbiamo sempre condannato l’indifferenza degli altri, perciò noi dobbiamo essere i primi a non essere indifferenti. Ma per farlo dobbiamo essere informati sia sull’ideologia e sulla storia di entrambe le parti, sia su ciò che oggettivamente sta accadendo. Mai banalizzare la guerra o il dolore dei palestinesi. La guerra fa soffrire su entrambi i fronti, ma Israele ama il suo popolo e non lo utilizzerebbe mai come scudo.

Questo concetto è stato ripreso negli ultimi giorni da Jonathan Kashanian, bogher del Bene Akiva e oggi personaggio pubblico. Sul suo profilo Instagram ha condiviso e commentato articoli e testimonianze, esponendosi in maniera coraggiosa.

Ringrazio molto gli shlichim del Bene Akiva per aver organizzato questo incontro su zoom.

In questo momento di crisi, apprezzerei molto se la scuola ci offrisse un’ulteriore opportunità di confronto e arricchimento su questo argomento tanto delicato quanto complesso. Credo che la nostra scuola debba avere un ruolo più decisivo sulla nostra consapevolezza dei fatti fin dall’inizio. Le famiglie, inevitabilmente, influenzano i figli, sulla base delle idee politiche e delle esperienze personali. Mai come in questo momento avverto l’urgenza di essere preparata su questo tema. Mi piacerebbe poter apprendere a scuola delle informazioni prive dell’influenza politica, che mi permettano di sostenere Israele nel combattere questa guerra mediatica.