Tzedakà: aiutare gli altri per trovare il proprio posto nel mondo e “salvare” se stessi (forse)

2022

In copertina: un antico bossolo in argento per tzedakà.
(foto Sofia Tranchina, elaborazione grafica Dalia Sciama)

 

 

n° 9 - Settembre 2022 - Scarica il PDF
n° 9 – Settembre 2022 – Scarica il PDF

Non solo pietà o carità ma autentica norma etica, atto di giustizia e pietra angolare
della società civile. La Tzedakà e la ghemilut hasadim sono una costante di tutte le feste ebraiche, specie a Rosh haShanà e Yom Kippur. A livello spirituale è la scoperta dell’Altro,
è lo sforzo per uscire da se stessi e dalla prigione dell’Io, è il grado più alto dell’empatia: aiuto economico e benevolenza, per alleviare i bisogni materiali e spirituali degli altri

 

 

 

 

Caro lettore, cara lettrice,

a Rosh haShanà è il senso di un nuovo inizio quello che abitualmente ci coglie. Tracciamo una riga, facciamo i conti con noi stessi e con gli altri, con i nostri desideri, le smanie, le ambizioni ma anche con le défaillances, i falsi movimenti, i passi sbagliati. Tuttavia, stavolta, l’anno nuovo porta con sé vecchie inquietudini e fantasmi sopiti, un crescente senso di allerta rispetto a fenomeni globali che si agitano d’intorno. In molti Paesi assistiamo a una straniante recessione democratica: diritti che sembravano non negoziabili vengono rimessi in discussione con contraccolpi alla parità delle donne e di genere, libertà civili, diritti delle minoranze. Il peso delle diseguaglianze ma anche stereotipi e pregiudizi inconsci sembrano ritrovare un antico vigore e la sensazione diffusa è di un’erosione lenta di quelle che sembravano conquiste irrinunciabili e consolidate delle nostre democrazie. La violenza sulle donne è in pauroso aumento, gli atti antisemiti stanno raggiungendo un livello record, con più di dieci incidenti al giorno nel mondo, di cui la metà avviene nella sola Europa. La pandemia e la crisi sanitaria hanno riacceso i discorsi antisemiti dando luogo a nuovi miti avvelenati e a teorie del complotto che tornano a individuare negli ebrei la causa di tutti i mali.

Le violenze contro le donne e contro gli ebrei corrono parallele alla recessione democratica, nutrite da un estremismo e da una polarizzazione della società, figli del malcontento sociale e politico. In Europa, otto ebrei su dieci dichiarano di evitare di portare simboli religiosi in pubblico, omettendo di dichiarare la loro appartenenza identitaria.

Come ha scritto la studiosa e editorialista Anne Applebaum (Il tramonto della democrazia e il fascino dell’autoritarismo, Mondadori), una cappa oppressiva, una mentalità totalitaria si fa largo a Est e a Ovest, in Usa come in Russia, in Polonia, Ungheria e nel cuore d’Europa – non più solo in Cina, Iran, Myanmar e in altre remote tirannidi -, con il consueto corredo di manipolazione della realtà e delle notizie, la storia che viene confiscata per riscrivere il presente, la polarizzazione isterica delle posizioni, la demonizzazione dell’avversario, l’insofferenza verso chi si dichiara in disaccordo. Una nuova sensibilità estremista si aggira per l’Europa e, come sosteneva Hannah Arendt, a essere preoccupanti non sono le “personalità o le élite autoritarie” in quanto tali, bensì le singole persone che sostengono l’autoritarismo, le spinte del consenso dal basso, sia nelle forme della destra sia nelle forme della sinistra.

Il declino della democrazia liberale sembra cedere il passo a un modello di “dittatura morbida” dove le false informazioni, la censura, la soppressione del dissenso giocano la parte del leone. Eppure, malgrado le inquietudini globali e le spinte destabilizzanti, opporsi alle forze dell’entropia resta un dovere etico se non forse una scelta obbligata. In merito, mi viene in mente la storia di Gertrud Scharff Goldhaber, ragazza ebrea diciottenne nella Germania di Hitler, la famiglia sterminata nella Shoah, un genio scientifico, matematico e fisico – fondamentali i suoi studi sulla fissione nucleare -, scappata negli Usa e discriminata anche lì come ebrea e donna, costretta a studiare e a fare ricerca scientifica all’ombra del marito (in seguito, le sue scoperte la porteranno a un passo dal Nobel e a immensi riconoscimenti). La sua incredibile storia (raccontata su The Times of Israel), la sua capacità di lotta, la determinazione nel combattere – in condizioni avverse e umilianti – contro stereotipi, pregiudizi, oppressioni e ingiustizie per farsi accettare dalla comunità scientifica lasciano ancora oggi sbalorditi. Un mondo, quello di Gertrud, che era molto meno tenero del nostro. Oggi la sua figura viene celebrata nelle maggiori sedi scientifiche del pianeta, la sua vicenda è un modello di resistenza e coraggio, la sua lucidità un esempio. Alla vigilia di Rosh haShanà, ricordare questa storia fa bene.

 

Fiona Diwan