Perché si parla di Israele senza conoscerla?

Taccuino

di Paolo Salom

Moni Ovadia. Un nome che oggi molti pronunciano con fastidio. Nella migliore delle ipotesi lo si accompagna con un la precisazione: “Non condivido nulla di quello che dice”. Perché ne parliamo? Perché recentemente è comparso alla trasmissione “L’erba dei vicini” di Beppe Severgnini. Non si sa bene a quale titolo, Ovadia è stato intervistato (senza contraddittorio) su Israele. E, nell’imbarazzo evidente del conduttore, ha vomitato sui (per fortuna?) pochi ascoltatori le sue trite considerazioni sullo Stato ebraico: “Paese dove vige l’apartheid”, “oppressore dei palestinesi”, “giustamente boicottato dal Bds (Boycott, divestment, sanctions: movimento internazionale con evidenti tratti antisemiti, ndr)”.

La cosa più sorprendente, lo abbiamo appreso dallo stesso Moni Ovadia, è che l’artista di origine bulgara, diventato famoso grazie alla (sua) riscoperta del teatro yiddish, ha candidamente ammesso di non andare in Israele “da molto tempo”. Dunque cosa ne sa lui di apartheid? Nulla, però ne parla. E qui sorge il nostro interesse e la decisione di scrivere invece di ignorare la questione e la persona. Perché Ovadia, per sua scelta, entra nella categoria di quelli che parlano di Israele senza conoscerlo, di quelli che lo attaccano con argomenti pretestuosi se non addirittura inventati. Insomma, le classiche categorie dell’antisemitismo.

Ed è questo che vogliamo mettere in evidenza. Non si tratta di opinioni, ma di preconcetti. Persino Nelson Mandela denunciava con fastidio chi equiparava l’apartheid sudafricano con la situazione in Israele. Scherziamo? Ma qualcuno che non sia in cattiva fede davvero può immaginare che a Gerusalemme, o persino nei Territori,  ci siano panchine per arabi o ebrei? O ristoranti separati? O toilette divise e altro ancora? Certo, le popolazioni vivono nei fatti lontane (come accade alle varie comunità etniche negli Stati Uniti, peraltro). Ma chi vuole (e non è accecato dall’ideologia) gode dei medesimi diritti e doveri.

Molti arabi, anche musulmani, servono persino nell’esercito: non è difficile riscontrarlo. Insomma, Israele è un Paese normale, con pregi e difetti. Soltanto che Moni Ovadia non vuole vedere questo. Vuole vedere un Paese canaglia che merita di essere “boicottato” (e dunque distrutto) dal mondo intero. Perché lo fa? Un’idea l’abbiamo. Ed è qualcosa che accomuna molti come lui nel mondo. È l’idea di scrollarsi di dosso un’identità che pesa e che impedirebbe (a loro modo di vedere) la piena accettazione nel lontano Occidente. È l’idea di attaccare Israele perché così si entra nella categoria degli “ebrei buoni”.

Comunque sia, che ciò sia vero oppure no, Moni Ovadia ha scelto non di capire (e aiutare gli altri a capire) piuttosto ha voluto schierarsi con una parte. L’altra. E di questo prendiamo atto.