Le minoranze perseguitate dal nuovo regime di Damasco chiedono aiuto a Israele. Qualcuno si chiede perché?

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano Occidente] Da decenni siamo abituati a sentirci dire che il conflitto in Medio Oriente “è complicato”, che le ragioni sono “ugualmente distribuite” e, dal momento che Israele è la parte più forte, tocca allo Stato ebraico fare concessioni per garantire ai palestinesi “i loro diritti” nel cosiddetto processo di pace destinato alla creazione di “due Stati per due popoli”.

Dal 7 ottobre 2023, dall’osceno massacro perpetrato contro intere famiglie da parte dei terroristi di Hamas, coadiuvati dai volonterosi (e feroci) cittadini venuti da Gaza, con il rapimento di uomini, donne, bambini, anziani – molti dei quali trucidati con comodo nei tunnel della Striscia – trovo che la questione si sia chiarita una volta per tutte.

Primo, non esiste alcun processo di pace anche se il sospetto su questo punto l’avevamo da un po’, almeno da quando Arafat (e dopo di lui Abu Mazen) ha ripetutamente rifiutato la miglior offerta che Israele potesse fare in vista della nascita di uno Stato arabo-palestinese.

Secondo, l’unico punto su cui i palestinesi si trovano d’accordo è la volontà di distruggere Israele per sostituirlo con un regime arabo musulmano, il ventitreesimo sulla carta. Per fare questo, la macchina della propaganda ha lavorato con alacrità (e con buoni risultati, ahimè).

Come altro spiegare le follie che si sono ripetute nel lontano Occidente, negli ultimi quindici mesi, quando le azioni in difesa dello Stato ebraico sono state condannate, a tutti i livelli, a partire dall’Onu, e definite “un tentativo di genocidio” contro i palestinesi?

Quando le violenze e gli stupri – rivendicati da chi li aveva commessi! – sono stati ignorati in tutte le sedi possibili e immaginabili, mentre le associazioni internazionali delle donne hanno proibito alle israeliane non solo di prendere parte alle loro manifestazioni, ma addirittura di denunciare quanto subito perché in contrasto con la narrativa delle uniche vittime, quelle palestinesi? Tutto ciò non è altro che un tentativo coordinato da determinate nazioni (per prima l’Iran, ma non è certo l’unica) per sconfiggere Israele, per “estirparlo” dal Medio Oriente.

Noi oggi confidiamo che questo insano progetto, fallito in passato, continuerà a finire nel nulla. L’ipocrisia di chi dice che Israele è un corpo estraneo – e non una legittima espressione di un popolo finalmente sovrano nella sua terra – è ancor più evidente ora che la Siria è collassata in una guerra civile di cui non si vede la fine, quanto meno a breve. Soprattutto, ascoltando le grida di aiuto della comunità alauita, la minoranza sciita di cui fa parte la famiglia Assad, che dopo aver vissuto da “padrona”, si è ritrovata a subire la violenza spaventosa di nuovi padroni sunniti.

E che cosa hanno fatto gli alauiti (prima di loro è capitato ai drusi)? Hanno chiesto aiuto a Israele, allo Stato degli ebrei. Non si sono rivolti ai loro protettori iraniani. Né ad altri Paesi della comunità islamica. No: hanno lanciato le loro invocazioni agli israeliani, gli unici in quella regione martoriata ad avere la fama di considerare il valore della vita sopra ogni cosa. Naturalmente, nel lontano Occidente tutto questo è passato pressoché inosservato. Così come le immagini terribili dei massacri (quelli veri) di civili nelle città della comunità alauita della Siria. Ecco un genocidio in atto: ci sono le immagini, ci sono i proclami osceni degli autori e, ahimè, il silenzio assordante e ingiustificabile del resto del mondo.