manifestazione contro l'antisemitismo in Francia

L’antisemitismo è quel sentimento che sorge perché non si tollera chi “non appartiene” al branco dominante

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano Occidente] Vi siete mai chiesti che cosa sia davvero l’antisemitismo? Non è una domanda retorica. In fin dei conti, archiviate – dopo la Shoah – le millenarie invettive anti giudaiche della Chiesa, ritornato nella Storia reale lo Stato di Israele, era lecito attendersi la “normalizzazione” della vita ebraica nella Diaspora.

Invece, l’odio contro gli ebrei nel lontano Occidente e nel mondo islamico è rimasto latente, con esplosioni violente di tanto in tanto, come è stata la norma per secoli. Certo, visto che l’antisemitismo, dopo l’orrore nazista, era diventato qualcosa di impresentabile, ecco che ha trovato il modo di cambiare pelle: ora si chiama antisionismo, e i “sionisti” – eufemismo per ebrei – sono esseri umani disprezzabili e, in determinati casi, destinati a essere il “legittimo obiettivo” dei terroristi. Ne sa qualcosa il giovane che a Brooklyn, non a Gerusalemme, è stato inseguito, insultato e picchiato poco tempo fa soltanto perché indossava una maglietta con il logo di Tsahal: non mi risulta che una sorte analoga sia mai capitata a chi indossasse magliette dei Marines americani o cappellini dell’esercito italiano. È un privilegio tutto nostro.

Dunque, ripeto la domanda: perché? Ragionare su un fenomeno come questo non è cosa agevole e sono decine i saggi che hanno descritto la genesi e l’evoluzione dell’antisemitismo. Tutto parte da politica e religione, come sappiamo. La politica prima: i Romani, di fronte alla ribellione dei loro sudditi in Giudea, insorti per proteggere il Tempio di Gerusalemme, cominciarono a considerare gli ebrei del tempo “antisociali”, degni di disprezzo. Un clima che poi favorì la propaganda del cristianesimo nascente e con l’accusa di deicidio che portò alla persecuzione vera e propria. Quante vite spezzate solo perché fedeli alla loro identità. Ma oggi? Perché è così facile “odiare” gli ebrei, tanto che anche tra di noi ci sono disperati che, incapaci di sostenere una simile tensione, dicono “se è così qualcosa avremo pur fatto…”? Il punto è che è proprio così, abbiamo fatto “qualcosa”: siamo sopravvissuti contro ogni logica per millenni come popolo fedele alla propria identità che è costituita certamente in gran parte dalla religione ma non soltanto, come dimostra il Risorgimento di Israele nella sua patria storica grazie anche all’apporto di ebrei arrivati da ogni angolo del globo. Ed ecco il punto.

Quante civiltà sono sorte e scomparse negli ultimi duemila anni! Noi siamo ancora qui. Siamo ancora qui a rispettare (chi più chi meno) mitzvot e feste, a concludere il Seder di Pessach con le parole “l’anno prossimo a Gerusalemme”, a decidere se e quando fare aliyah. Siamo vivi e vitali a dispetto di tutto quello che gli “altri” hanno fatto e continuano a fare nel tentativo di cancellarci dal mondo. Ora, vedete che ci stiamo avvicinando a una (possibile) spiegazione che si stacca da religione o politica?
È possibile che l’antisemitismo sia quel sentimento che sorge (in un contesto favorevole beninteso) perché non si tollera la presenza di qualcuno che “non appartiene” al branco dominante?

Religione, politica, colore della pelle: in verità sono soltanto dei codici. Dei pretesti per giustificare un sentimento che viene dal profondo, ed è impermeabile a qualunque razionalizzazione. L’antisemitismo non ha alcuna ragione d’essere reale. Eppure si tramanda di generazione in generazione. Addirittura esiste senza nemmeno il bisogno di ebrei in carne e ossa. Fenomeno unico che attraversa la Storia e spinge milioni di persone a mettere all’indice uno Stato nel suo complesso, Israele, unico esempio nel consesso umano di nazione che viene minacciata ogni giorno di distruzione nell’indifferenza generale. Noi siamo: ed è questo che non ci perdonano.