Israele è in guerra, sempre sotto attacco. Ma l’Occidente condanna solo la risposta contro i terroristi

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano occidente] Israele è in guerra. Ormai da mesi. Il lontano Occidente finge di non accorgersene, di non vedere. Le rare volte che un attacco palestinese a israeliani inermi arriva sui giornali, in fondo all’articolo si fa il “bilancio” generale dei morti dell’una e dell’altra parte, senza ovviamente fare distinzioni. Così, a un lettore distratto (o poco edotto sulla questione: quasi tutti), appare con chiarezza una sproporzione tra le vittime: quelle di parte arabo-palestinese sono sempre più numerose.

 

Dunque, a ben vedere, la situazione è sempre la stessa: Israele è lo Stato più forte e aggressivo, i palestinesi, poverini, sotto occupazione, si difendono come possono ma subiscono le perdite più ingenti, spesso giovanissimi se non addirittura “bambini”. Questa è la narrativa nel lontano Occidente. Pochi arrivano – e non sempre per loro pigrizia – a scavare nelle notizie per capire cosa davvero sia successo. Che più o meno è sempre questo: un gruppo di terroristi (o anche un aggressore solitario) prendono di mira una vettura di civili israeliani, o semplici passanti, sparano, accoltellano, uccidono senza riguardo dell’età dei loro “obiettivi”, che sono quasi sempre esseri umani inermi, raramente soldati (perché in grado di difendersi visto che sono armati).

Dopo l’attentato, scatta la caccia all’uomo, proprio come accadrebbe in qualunque altro Paese del mondo. Quando i responsabili dell’attentato sono individuati, nascosti nelle città-rifugio della cosiddetta Cisgiordania (ovvero Giudea e Samaria, gli unici nomi reali di quelle regioni), vengono arrestati o, più spesso, eliminati dal momento che l’intervento di Tsahal suscita una battaglia con l’uso di armi, pietre e persino bombe piazzate lungo le strade.

 

Gli attacchi in verità hanno proprio quello scopo: istigare un’azione dell’esercito di Israele nei territori così da provocare la regolare indignazione del lontano Occidente, lesto nel condannare “l’eccessivo uso della forza”. E qui arriviamo al punto. Israele, da decenni, lotta contro un nemico irriducibile, sostenuto da Paesi vicini e lontani che hanno tutto l’interesse nel creare queste continue crisi. E lo fa con una mano legata dietro la schiena. Non c’è dubbio che, volendo, Israele sarebbe in grado di distruggere i suoi avversari. Il prezzo da pagare sarebbe alto, certo: molti soldati, e molti civili arabi, potrebbero rimanere uccisi o feriti. Questa è la logica spaventosa della guerra. E basta dare uno sguardo ai fatti del mondo per rendersi conto che, altrove, certi scrupoli umanitari non sono nemmeno considerati.

Israele invece pone sempre e comunque la protezione della vita umana – qualunque vita umana: persino quella dei nemici – al di sopra di ogni altra valutazione. Il minimo che il lontano Occidente potrebbe fare è riconoscerlo e dire con chiarezza, a coloro che ispirano e organizzano le violenze, che non avranno più il sostegno necessario alla vita di tutti i giorni, la protezione politica. Invece, il silenzio a questo proposito è assordante. Mentre le condanne dell’operato di Tsahal – o del governo di Gerusalemme – non si contano. È questo il punto, ed è questo che per noi non è accettabile: Israele è un faro per l‘umanità. È il nostro rifugio. Va protetto. A qualunque costo.