Di fronte al nemico invisibile Covid 19, israeliani e palestinesi si scoprono sullo stesso lato della barricata

Taccuino

di Paolo Salom

[Voci dal lontano Occidente] Quante previsioni sono andate in fumo nelle ultime settimane? Quanti vaticini sulle sorti e le questioni attorno a un partito, una singola figura politica, un conflitto decennale si sono arenati di fronte al diffondersi del coronavirus in tutto il mondo?

Improvvisamente tutto è stato azzerato. In alcuni casi addirittura ribaltato: pensate a Israele e alle tre elezioni consecutive che alla fine hanno partorito l’unico risultato che appariva evidente sin dalla prima: un governo di unità nazionale. Ecco: quel che prima appariva inaccettabile, ora è visto come la naturale risposta a un’emergenza.

Proviamo dunque a fare una similitudine. Cerchiamo di ragionare sulla realtà, invece che sulle fantasie strombazzate da decenni di propaganda sul conflitto tra Israele e gli arabi palestinesi. Al di là delle solite scempiaggini che si leggono sui social network (e non solo) – frutto della malafede mai doma nel lontano Occidente e nell’odio dei soliti noti nelle fila dell’Anp – scopriamo che la collaborazione per sconfiggere il Covid-19 ha funzionato egregiamente, che lo Stato ebraico non ha lesinato aiuti alle popolazioni dei Territori e che addirittura diversi Stati arabi hanno guardato a Gerusalemme per organizzare la lotta al virus piuttosto che alle potenze lontane, Russia, Stati Uniti o Cina.

Che significa tutto questo? Significa, a nostro parere, che il conflitto in corso in un piccolo spicchio di mondo, tra il Giordano e il Mediterraneo, non è e non sarà senza soluzione, irrisolvibile per “definizione”, fino alla totale distruzione di uno dei due contendenti. Almeno, non è obbligatorio vederlo così. Potenza della Natura! Cosa avranno pensato i fanatici della retorica “Gaza è un campo di concentramento”, “una prigione a cielo aperto”, di fronte alla notizia che i primi due (e speriamo gli unici) residenti della Striscia risultati positivi all’infezione si erano ammalati durante un viaggio in Pakistan (e con grande probabilità nel corso della loro sosta all’aeroporto del Cairo)?

E che dire della chiusura delle moschee, compresa Al Aqsa, non per un ordine “criminale” delle autorità israeliane ma per volere del Waqf, in conseguenza alla necessità di prevenire i contagi tra i fedeli? O cosa avranno pensato i teorici dell’instabilità permanente del Medioriente dovuta alla presenza di un “corpo estraneo” (Israele), leggendo che persino alcuni imam iraniani si sono detti possibilisti nell’utilizzo di farmaci e/o vaccini anti Covid-19 eventualmente scoperti nei laboratori dell’“entità sionista”?

Tutto questo per dire che se popoli nemici possono collaborare di fronte a una minaccia invisibile, un virus che colpisce senza fare distinzioni di etnia, religione, ricchezza o idee politiche, perché non dovrebbero trovare un’intesa sulla spartizione di terra e risorse, queste sì quantificabili in termini di relativa importanza e appartenenza? Ecco quanto abbiamo scoperto nelle ultime settimane di quarantena: speriamo soltanto che la scomparsa del virus non si porti via tutta la ritrovata saggezza. Sempre che non sia stato tutto un abbaglio.