Shimon Peres: 90 anni con lo sguardo rivolto tutto al futuro

di Viviana Kasam

Sul palco, in un rutilare di immagini rassicuranti – cieli, natura,  bandiere al vento – si celebrano i novant’anni di Shimon Peres. E in carne ed ossa o in video, i leaders del mondo – da Tony Blair, a Bill Clinton, Vladimir Putin, Barak Obama, Angela Merkel, François Hollande, Ban Ki Moon e persino un invecchiatissimo re Juan Carlos – attestano insieme agli auguri di rito, la sua statura politica, la sua saggezza , e soprattutto la sua membership nel gotha dei Grandi. Sulle  note di una intramontabile Barbara Streisand, che intona  tra le ovazioni del pubblico Avinu Malkenu e il suo cavallo di battaglia People, gli abbracci di Sharon Stone e  Robert De Niro, gli applausi di un pubblico di benefattori di Israele e sostenitori per un evento strettamente a inviti. E così si è celebrata l’apoteosi dell’eterno secondo della vita politica israeliana (riuscì a perdere persino le elezioni dopo l’assassinio  di Rabin, pur gestendole da primo ministro ad interim, e a farsi sconfiggere alle presidenziali del 2000 da Moshe Katsav, ora in carcere per stupro), del  perenne underdog che con un colpo di coda magistrale in vecchiaia  è diventato un’icona, in Israele e all’estero, e dopo una vita di delusioni elettorali ha conquistato la scena ed  è riverito ovunque  perché rappresenta il volto rassicurante di Israele, la continuità con il suo migliore passato (Ben Gurion, Golda Meir, Moshe Dayan), l’aspirazione alla pace, la  saggezza della tarda età (è il più anziano presidente in carica del mondo). Non che questo successo planetario Peres non se lo sia meritato.  Abile diplomatico, tessitore instancabile, politico capace e lungimirante, gli è mancato forse il carisma per conquistare l’elettorato, e la fortuna, che, come diceva Napoleone, conta più della bravura. Carisma e fortuna che, per quei colpi di scena che la vita ogni tanto riserva, si sono manifestati dopo il 2007, quando finalmente venne nominato presidente – e da allora il suo volto bonario, il suo humour askhenazita, la sua saggezza antica, le sue parole di pace hanno conquistato il cuore del mondo. Un po’ meno quello degli israeliani, che non hanno perso l’occasione per  accusarlo di cult worship e megalomania per la grandiosità dei festeggiamenti (costati secondo l’opposizione  11 milioni di shekel, in realtà pagati da sponsor e benefattori) con l’apertura di Facing tomorrow, la prestigiosa conferenza internazionale, considerata la Davos israeliana, istituita da Peres nel 2008 e che si tiene a Gerusalemme ogni anno in giugno, nel periodo del suo compleanno – questa è stata la quinta edizione.

“I leaders devono governare di meno e servire di più, contribuire a far emergere la saggezza e il potere dentro ciascuno di noi,  perché l’umanità ha in sé  il potere di assicurare il miglioramento del nostro domani collettivo”, con queste parole Peres inaugurò la prima  conferenza nel 2008.

E da allora porta ogni anno in Israele il fior fiore dei maitres à penser, degli economisti, dei politici, degli scienziati e dei cattedratici internazionali, per promuovere e divulgare  il sapere.

Quest’anno, oltre alle usuali tavole rotonde sulla politica internazionale, sull’economia globale, su Israele e il Medio Oriente, che hanno visto succedersi sul palco Rahm Emmanuel, il carismatico sindaco di Chicago che potrebbe aspirare a diventare il primo presidente ebreo d’America –ammesso che mai ci possa essere in America un presidente ebreo….- Tony Blair, Bill Clinton, Ayan Hirsi Ali, David Axelrod, il celebre stratega  elettorale di Obama,  i Nobel Daniel Kahneman e Richard Axel, e i più prestigiosi  cattedratici israeliani, tra cui il milanese (di origine) Sergio della Pergola,  si è parlato  molto di ricerca cervello, un tema che affascina Peres e che vede Israele all’avanguardia nel mondo.

E’ un momento d’oro per le neuroscienze in Israele. Il progetto FET Flagship, che ha ricevuto il premio di 1 miliardo di euro in dieci anni dall’Unione Europea, e che si propone di riprodurre il cervello umano su computer, è nato dalla collaborazione tra Henry Markram, allora al Weizmann Institute (e ora all’EPFL di Losanna) e Idan Segev dell’Università Ebraica di Gerusalemme, che è oggi il capofila del progetto in Israele. All’Università ebraica inizieranno in luglio i lavori per la costruzione di un avveniristico edificio progettato da Norman Foster  che vedrà scienziati di tutte le discipline lavorare insieme per decodificare i misteri del cervello. Dedicato a Edmond e Lily Safra, che hanno contribuito con 50 milioni di dollari – la più alta donazione mai fatta in Israele a una istituzione scientifica – il nuovo centro di ricerca è diretto dal prof. Eilon Vaadia e sarà  in grado di competere con università del calibro di Harvard, Columbia, MIT, Università della California. Alla sessione “Brain research – The wondrous voyage into ourselves”, trecento persone sono rimaste fuori dalla porta perché la sala non riusciva a contenere il pubblico di appassionati all’argomento. Oltre a  Segev e Vaadia il panel ospitava anche  Yadin Dudai, del Weizman, noto in tutto il mondo per le sue ricerche sulla memoria, e lo stesso Mrakram, ormai una celebrità mondiale, giunto apposta da Losanna. Gli scienziati hanno spiegato a un pubblico attento ed entusiasta l’importanza di  “modellizzare”  il cervello in digitale, compresa anche da Obama, che  ha recentemente annunciato di voler contribuire con tre miliardi di dollari a questa ricerca. Vedremo così Europa e America impegnate in una sfida che può ricordare quella tra America e Russia per la missione sulla Luna, per le ricadute scientifiche, tecnologiche ed economiche che promette  di portare -.senza contare le speranze di cura per le malattie neurodegenerative, che sono la grande piaga egli anni a venire, a causa dell’invecchiamento della popolazione.

Grandi code e folla fuori dalla porta anche per “E’ tutto in testa: come ci si forma un’opinione”, a cui hanno partecipato due premi Nobel, Richard Axel e Daniel Kahneman, per spiegare l’irrazionalità delle nostre opinioni, basate spesso sull’elaborazione a livello inconscio di  informazioni (per esempio gli odori) o valutazioni opinabili (la paura di perdere che sempre predomina sulla speranza di vincere e induce a non rischiare).

Che cosa ci si porta a casa, dopo aver passato due giornate intense ad ascoltare i grandi del mondo? L’impressione aver sbirciato dentro i meccanismi del potere, e di sapere qualcosa di più, di per esempio sull’Islam politico o la crescita economica della Cina, sugli sviluppi della crisi in Europa (non previsti) sul processo di pace in medio Oriente (in stallo senza prospettive..) o sulla protesta in Turchia (che non ha nulla a che vedere con le primavere arabe, sostengono gli esperti: Erdogan è saldamente al potere e la Turchia è una democrazia forte).

Ma sono informazioni non diverse da quelle che una persona attenta può dedurre dai giornali o dalla tv. Quello che rende emozionante Facing Tomorrow, e le analoghe iniziative in tutto il mondo, sono gli incontri, l’eterna sorpresa del sapere, la profondità dell’intelligenza umana (in una società mediatica che spesso premia  la superficialità e l’ovvio), il conforto di constatare quante persone hanno ancora ideali e si impegnano per affermarli.

E’ un messaggio forte di speranza e il migliore augurio che Peres può fare a noi, per il suo compleanno.