Ricordando Itzhak Rabin, vent’anni dopo

di Davide Foa e Roberto Zadik

Ricordando RabinSorrideva raramente, non si faceva fotografare con in braccio i bambini, non amava stringere mani; insomma, non si può certo dire che Rabin impersonasse la figura del classico politicante.

“Era un uomo raro e sobrio”, così lo definisce il giornalista Stefano Jesurum, in occasione di una serata che, a vent’anni dalla morte, ha voluto celebrare Itzhak Rabin, l’uomo che più di ogni altro si avvicinò a quel traguardo di pace, oggi semplicemente un miraggio.

Una maratona oratoria, organizzata da “Sinistra per Israele”, tenutasi mercoledì 4 novembre nella splendida cornice della Sala Alessi di Palazzo Marino; intellettuali, musicisti, giornalisti, politici, storici e non solo, tutti impegnati a ricordare Rabin e la drammaticità del suo assassinio, un evento tragico che ancora oggi “ha lasciato ferite aperte”, sottolinea Jesurum, presentatore e conduttore dell’evento.

Ma quest’anno il ricordo di Rabin non si limiterà ad una semplice conferenza; infatti, come annuncia il consigliere comunale Ruggero Gabbai, è già arrivata in Comune una petizione-Rabin allo scopo di intitolargli un luogo pubblico della città di Milano, peraltro gemellata con Tel Aviv.

Gabbai condivide inoltre con il pubblico il ricordo del momento in cui seppe della morte di Rabin; “stavo filmando uno dei miei primi documentari, mi trovavo ad Auschwitz: apprendere quella notizia in quel luogo mi dava l’idea che la storia non andasse avanti.”

Tesi di canzoni, parole dello stesso Rabin o della figlia Dalia, ogni “maratoneta” sceglie di ricordare il primo ministro come meglio crede.

C’è spazio anche per le belle esibizioni di Miriam Camerini e Manuel Buda, due artisti che regalano al pubblico un giusto intervallo tra i tanti discorsi. Il primo brano si intitola “Mi ha Ish” (chi è l’uomo per la libertà?), un testo tratto dai Salmi. Come spiega la Camerini, la scelta del brano risponde alla volontà di riconsegnare il giusto valore alla tefillà, spesso considerata svilente, come nel testo di Shir LaShalom in cui si dice: “non mormorate una preghiera ma cantate una canzone per la pace”. E ancora un intenso duetto fra la cantante e attrice Miriam Camerini e il chitarrista Manuel Buda, che hanno eseguito un brano molto magnetico tratto dal profeta Isaia, con un verso particolarmente attinente alla figura di Rabin e al suo messaggio di pace: “Un popolo non leverà contro l’altro la spada e non impareremo la guerra”.

Seguono gli interventi dei due co-presidenti della Comunità ebraica di Milano, Milo Hasbani e Raffaele Besso, che citano rispettivamente un discorso di Peres e le ultime parole di Rabin; è quindi il turno dell’avvocato Luciano Belli Paci che condivide con il pubblico la “Lettera ai fratelli” di Herbert Pagani, scritta a Parigi nel 1988 e per molti aspetti utile per comprendere la politica pacificatoria di Rabin. Israele, per la sua sopravvivenza, deve essere capace di compiere uno sforzo unico nella Storia: trattare con chi vuole la sua distruzione.

La parola passa ai ragazzi dell’ Hashomer Hatzair: “ricordare Rabin significa ricordare che si può creare un mondo diverso, che nonostante i sacrifici è giusto continuare a lottare per cambiare il mondo”. Hanno ricordato “l’importanza di combattere l’odio e l’estremismo che vent’anni fa hanno ucciso Itzhak Rabin”. Due ragazzi del movimento giovanile hanno raccontato l’esperienza del loro schaliach israeliano Yachal che “la sera dell’omicidio di Rabin rimase sconvolto per la sua uccisione; quell’evento cambiò per sempre la sua vita. Rabin è un esempio per tutti noi e ancora oggi ci dà la forza per lottare per un mondo migliore”.

Lo storico David Bidussa onora il ricordo di Rabin leggendo una lettera scritta da Giacomo Ulivi, giovane partigiano di 19 anni, poco prima della sua cattura e uccisione avvenuta nel novembre del 1944. Bidussa, prima di leggere la lettera, si sofferma su un particolare fondamentale, ovvero la differenza tra chi combatte per la libertà, come Giacomo e Rabin, e chi invece sogna di diventare un martire. “Il martire è attratto dal culto di sé, dalla potenza distruttiva del proprio corpo su quello degli altri; il resistente invece è un combattente per la libertà, ama la propria vita e quella degli altri”.

Tanti gli interventi, filmati, canzoni e un’anteprima cinematografica nella maratona di discorsi e opinioni sul Premier Rabin, a 20 anni esatti dalla sua morte.

Durante la serata, è stato proiettato nella Sala Alessi di Palazzo Marino il trailer dell’attesissimo film,  “The last days” del provocatorio e stimolante Amos Gitai.
A introdurre la pellicola, dedicata non solo al personaggio di Rabin ma anche e soprattutto al clima di odio e di ostilità verso di lui che si era creato poco prima dell’omicidio, commesso dall’estremista Yigal Amir, il giornalista Gabriele Eschenazi che ha sottolineato la forza e l’espressività di questa nuova creazione di Gitai che “in Israele esce oggi e che io ho visto al Festival di Venezia, l’estate scorsa”. Si tratta di “un’opera importante”, come ha ricordato Eschenazi, che mostra con schiettezza  i momenti di tensione, l’opposizione accesa di alcuni esponenti di destra e del mondo religioso in una “fiction molto intensa, interrotta da alcune immagini di repertorio e storiche”.  Nel suo intervento, Eschenasi ha evidenziato come il film descriva il contesto circostante più che la biografia o il carattere dell’uomo politico israeliano, soffermandosi sull’assassinio e sulle sue conseguenze e dando una fotografia precisa del contesto storico e politico successivo agli accordi di Oslo.

Ma qual era la personalità di Rabin e come lo ricordano coloro che l’hanno conosciuto? Molto toccante, fra le testimonianze, anche il brano di Amos Oz, letto da Stefano Jesurum, che descrive perfettamente il carattere complesso e forte di Rabin e il rapporto profondo e tempestoso di amicizia con l’acclamato scrittore israeliano.  “Era un uomo riservatissimo, Rabin, che faticava a emanare calore umano, aveva un fare austero da scienziato, niente pacche sulla spalla o battute eccellenti, al massimo un mezzo sorriso, mai una sonora risata. Era un uomo facile da rispettare ma difficile da amare ma nonostante questo gli ho voluto molto bene. L’ho conosciuto quando era un generale, durante la Guerra dei Sei giorni; mi telefonò perché aveva bisogno di aiuto per un suo discorso. Ci conoscevamo appena, era a modo suo timido, venne a casa mia e rimase una ventina di minuti in tutto, per parlare del suo discorso e poi se ne andò via scusandosi per il disturbo”. Nel suo ritratto umano e psicologico, Oz ha messo in luce come “la nostra amicizia, che era molto profonda, era piena di litigi e disaccordi e dietro il militare coraggioso, forte e ostinato si nascondeva un bambino timido che sapeva essere molto duro e pungente”. In conclusione, Oz ha messo in luce l’interessante cambiamento di politica che sia Shimon Peres sia Itzhak Rabin fecero negli anni ’80, nel loro atteggiamento verso i palestinesi. “Gradualmente Rabin cambiò atteggiamento, con un sottile processo emotivo e intellettuale e cominciò ad ascoltare entrambe le campane e a trattare con Arafat e l’OLP”.

Il giornalista Andrea Riscassi ha letto la lettera di un altro scrittore leggendario della letteratura israeliana: David Grossman. Scritta al Governo israeliano, nel 2006 dopo la perdita di suo figlio Uriel in guerra, il testo contiene numerose tematiche trattando dell’importanza della pace e sulla pericolosità dei conflitti e dell’uso della forza “che portano a un inutile spreco di vite di tanti giovani”. Addolorato per la scomparsa del figlio e preoccupato per la situazione di Israele e di uno Stato “costantemente in conflitto e in tensione”, Grossman ribadisce “la necessità e non solo la scelta della pace”, riferendosi alla figura di Rabin e al suo ricordo di fondamentale importanza per gli israeliani in quanto “è una necessaria pausa di riflessione per noi stessi”.

In conclusione di serata, l’intervento di Francesco “Franz” Mariotti, membro dell’associazione Sinistra per Israele che ha letto un importante discorso pronunciato da Rabin, il 13 novembre 1993 a Washington in occasione degli accordi coi palestinesi dove egli puntualizzava la necessità di “dire basta al sangue, alle lacrime e ai morti e di aprire una nuova fase di dialogo e empatia con l’altro”. Successivamente, Janiki Cingoli, presidente del Centro per la Pace in Medio Oriente ha ricordato come Yigal Amir con l’omicidio di Rabin abbia “instillato un senso di paura negli israeliani. Nonostante ancora oggi la situazione sia molto difficile è necessario andare avanti e perseguire le vie del dialogo”. Concludendo la maratona, Jesurum ha ringraziato ospiti e organizzatori della serata, mettendo in luce come sia necessario “eliminare la mentalità da film western nel cercare sempre i buoni e i cattivi; questa è una tragedia  di due popoli antica e molto molto complessa, uno scontro profondo di diritti e di rivendicazioni e per questo il mondo deve capire che bisogna rinunciare a qualsiasi semplificazione. Questo sarebbe un grande passo in avanti e un omaggio alla figura di Itzhak Rabin”.