Claude Landmann

È morto Claude Lanzmann, colonna portante della Memoria col suo monumentale “Shoah”

di Roberto Zadik
Quando muore un grande personaggio la notizia subito si espande e fa il giro del mondo. Giovedì 5 luglio si è spento a 92 anni, un “colosso” della Memoria e un grande intellettuale e giornalista come il regista e sceneggiatore francese di origini bielorusse, Claude Lanzmann, amico di Sartre e opinionista di spessore, animato da un inarrestabile senso della giustizia e della storia. Internazionalmente raggiunse grande fama nel 1985 col suo imponente documentario “Shoah” della durata di nove ore e che, come ha ricordato il sito Times of Israel, in cui – senza utilizzare nessuna colonna sonora ma raccogliendo interviste a sopravvissuti dei lager di Auschwitz, Chemlo e Treblinka – ha ricostruito le vite e le sofferenze di ebrei scampati al genocidio e di ex gerarchi nazisti, che in alcuni casi hanno rilasciato interviste a telecamera spenta, restituendo allo spettatore un quadro storico e umano di rara completezza e profondità.

Nella sua autobiografia “La lepre della Patagonia” (Rizzoli, 619 pp, 24 euro), toccanti le parole di Lanzmann che lo definì “un film più orientato a descrivere la morte che non la sopravvivenza” e alludendo alla lunga e meticolosa realizzazione del documentario ha dichiarato di essersi “addentrato per 12 anni nel sole nero dell’Olocausto”.  Pensatore audace e profondo sempre interessato ai fermenti ideologici e politici, prima insegnante e poi giornalista e direttore della rivista “I tempi moderni” fondata con l’amico Sartre e la sua compagna Simone De Beauvoir con cui intrecciò una inquieta relazione, stando a quanto riferisce il sito di “The guardian”.

Uomo dalle forti passioni, pensatore sottile e tenace, non si occupò solo di Shoah, ma si distinse con altre produzioni su vari argomenti, ebraici e non solo. Ma il cinema non fu una sua passione immediata, come invece il giornalismo e circa alla mezza età arrivò l’idea di documentari e filmati.

Nato il 27 novembre 1925, il regista esordì nel mondo del lungometraggio solo nel 1973 , con “Perché Israele?” una raccolta di pareri, aneddoti, storie di immigrati, dottori, intellettuali, soldati a 25 anni dalla nascita dello Stato ebraico e in uno degli anni più difficili per il Paese segnato dalla tremenda “Guerra del Kippur”. Animato da alti ideali e basandosi su una concezione realistica e basata sui fatti della memoria storica, prese posizione su vari fronti, opponendosi alla guerra in Algeria, combattendo nella resistenza, controbattendo energicamente contro qualsiasi falsificazione, come nel caso di Ian Karski “la cui finalità” secondo Lanzmann era “difendere la Polonia e non certo gli ebrei”, come riporta “The guardian” in un articolo del 2011, quando egli attaccò un romanzo che ne romanzava eccessivamente il personaggio. Lanzmann il realista, il combattente, l’appassionato e partecipe intellettuale, realizzò altri lavori estremamente interessanti negli ultimi anni. Originali e pungenti, lavori come“L’ultimo degli ingiusti” (che  forse ironicamente si riferisce al libro “L’ultimo dei Giusti” di Schwartz Bart) e che ricostruisce le vicende del rabbino di Vienna Murmelstein che suo malgrado si trovò costretto a negoziare coi nazisti cercando, in vano, di salvare gli ebrei della cittadina di Theresinestadt, e “Napalm” del 2017 sulla Corea del Nord.

In tema di omaggi e di fonti estere su di lui, molto interessante l’articolo di “Le Monde in cui emergono dettagli biografici inediti,. Figlio di genitori divorziati, egli studiò Filosofia alla Sorbona e passò un periodo nel prestigioso ateneo di Tubingen città in cui si formarono autorevoli pensatori come Schelling e Hegel ebbe una vita professionale e sentimentale molto movimentata come direttore dei “Tempi Moderni” e tre matrimoni, uno dei quali con la scrittrice e attrice ebrea tedesca Angelika Schrobsdorff, scomparsa il 30 luglio 2016 e due figli. Secondo il sito francese, recentemente Lanzmann si mantenne sempre attivo fino a poco tempo fa.  Proprio nel 2017 era tornato sull’argomento ebraico con “Les Quatres Soeurs” (Le quattro sorelle” quattro filmati su altrettante donne ebree di Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia. In una intervista pochi mesi fa egli ha dichiarato a “France Culture” “Non sono mai guarito dalla morte. Quello che mi scandalizza di più è che dobbiamo morire”.