“Le orchestre di Auschwitz”: in scena la musica degli spartiti scritti dai prigionieri del campo di sterminio

di Pietro Baragiola
80 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il direttore d’orchestra e compositore britannico Leo Geyer ha portato per la prima volta davanti al pubblico la musica scritta dai prigionieri del campo di sterminio di Auschwitz.

Geyer ha impiegato 8 anni di lavoro per ricostruire i frammenti musicali raccolti dagli archivi di Auschwitz-Birkenau e completarli con le testimonianze dei sopravvissuti, ma finalmente, lo scorso 27 novembre, l’opera intitolata Le orchestre di Auschwitz è stata presentata al teatro Sadler’s Wells di Londra.

“Questa è musica scritta con il cuore da qualcuno che in quel momento provava un grande dolore e ha cercato di fare del suo meglio per esprimerlo attraverso la sua arte” ha spiegato Geyer che, nonostante non sia né ebreo né polacco, ha reso una sua missione personale commemorare le vite umane perse nel campo.

Sono state numerose le orchestre fondate nei diversi campi di concentramento. “Ad Auschwitz ce n’erano ben 6, tutte formate da un amalgama di strumenti insoliti come fisarmoniche e sassofoni, e spesso i musicisti che ne facevano parte venivano risparmiati” ha affermato Geyer.

La performance a Londra è stata solo l’inizio per il giovane compositore che ora cerca finanziamenti per completare l’intera partitura musicale e portarla in tutto il mondo: “spero che questo progetto faccia capire che chiunque può sentirsi profondamente legato a questa tragedia storica in modo da non ripeterla in futuro”.

Uno degli spartiti scritti da un prigioniero di Auschwitz

L’idea del Progetto

Geyer aveva solo 23 anni quando, nel 2015, gli venne commissionato l’incarico di comporre una partitura musicale in memoria di Martin Gilbert, lo storico britannico ed esperto dell’Olocausto venuto a mancare quello stesso anno.

Per approfondire la sua ricerca, Geyer si recò in Polonia per visitare di persona il Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau. Il compositore era già a conoscenza delle famose orchestre dei campi di concentramento ma mai avrebbe immaginato che avrebbe messo le mani sui componimenti originali scritti dai prigionieri.

“Ho parlato di queste orchestre con uno degli archivisti e lui mi ha detto in modo molto spiccio ‘se le interessano, teniamo ancora alcuni spartiti negli archivi’” ha spiegato Geyer durante un’intervista al Washington Post. Il compositore rimase completamente sbalordito dal fatto che questi brani potessero ancora esistere e che fossero stati trascurati per così tanto tempo. Gran parte della musica di Auschwitz, infatti, era stata distrutta dai soldati delle SS insieme alle altre prove delle atrocità compiute nei campi. “Sembrava di avere 200 puzzle tutti insieme” ha affermato Geyer, spiegando che dei 210 spartiti musicali molti erano in pessime condizioni, strappati e bruciati in diversi punti. Persino quelli non danneggiati mancavano di alcune parti importanti.

Il compositore però non si è dato per vinto, specialmente quando si è trovato davanti ai frammenti di un brano intitolato Futile Regrets, la cui scrittura era molto simile alla sua. “Quando l’ho visto ho capito subito che era mio dovere completarlo” ha dichiarato Geyer.

Gli altri brani ritrovati erano soprattutto canzoni e arrangiamenti che le guardie davano ai musicisti per essere suonati davanti alla folla o per il semplice intrattenimento degli ufficiali. Alcuni frammenti però erano stati scritti in segreto dai prigionieri per esprimere le loro emozioni su quello che stavano affrontando.

La musica per sopravvivere

 

Uno dei compositori di questi frammenti fu il direttore d’orchestra polacco Simon Laks, venuto a mancare nel 1983 dopo essere sopravvissuto all’inferno dei campi di sterminio.

Laks era il direttore dell’orchestra maschile di Birkenau ed era costretto a comporre interi brani musicali solo per il capriccio degli ufficiali nazisti, evitando così di essere ucciso.

“Laks dovette fare cose straordinarie” ha raccontato Geyer. “Spesso un comandante delle SS si recava da lui fischiettando una nuova sinfonia e Laks aveva solo un giorno per scriverla, assegnare le parti, provarla e presentarla davanti agli altri ufficiali. Se il componimento non fosse stato all’altezza degli standard, i nazisti avrebbero ucciso il suo compositore.”

“Finché i tedeschi volevano della musica sarebbe stato controproducente ucciderci” ha affermato la violoncellista Anita

, oggi unica sopravvissuta delle orchestre dei campi di sterminio. Grazie alle sue testimonianze come membro dell’orchestra di Auschwitz, Wallfisch ha contribuito enormemente al progetto di Geyer e persino suo nipote Simon si è esibito come baritono durante la performance al Sadler’s Wells.

Wallfisch è sopravvissuta un anno intero nel campo nazista, un’impresa titanica se si pensa che l’aspettativa di vita media di un prigioniero di Auschwitz era di soli 3 mesi. “Per coloro che sapevano suonare uno strumento, far parte di un’orchestra era un modo per sopravvivere” ha spiegato Anna Shternshis, direttrice del Centro Anne Tanenbaum per gli Studi Ebraici dell’Università di Toronto. “Una sopravvivenza non solo dalle torture fisiche dei soldati nazisti ma anche dai traumi mentali che i prigionieri affrontavano tutti i giorni, cercando di rimanere umani in un luogo pieno di orrori”.

Nonostante venisse anche usata come incitamento alla resistenza, inserendo nei brani suonati alcuni frammenti dell’inno nazionale polacco, la musica poteva diventare un perfido strumento di tortura se veniva ordinata dagli ufficiali delle SS.

Durante un’intervista alla CBS, Geyer ha spiegato come la vivacità e allegria di alcuni brani era spesso in netta contrapposizione con le scene che si svolgevano in quei momenti: sparatorie di massa, marcie dei prigionieri verso i lavori forzati e il ritorno nelle baracche trasportando i morti della giornata.

Secondo Shternshis il progetto di restauro condotto da Geyer, per quanto doloroso, darà nuova vita alle storie di coloro che hanno sofferto e sono morti nei campi “dandoci un’occasione unica di rivivere le loro emozioni per non dimenticare mai quello che hanno dovuto affrontare”.