Gli ebrei a Melegnano, una storia dimenticata

di Nathan Greppi
Sebbene oggi ospiti la seconda comunità d’Italia, per secoli gli ebrei non potevano vivere a Milano. La presenza in Lombardia, dapprima molto scarsa nel Medioevo, incominciò ad aumentare considerevolmente nel ‘300, in particolare in centri quali Pavia e Cremona. A questi si aggiungevano paesi minori, anche nel milanese, come Melegnano, piccola cittadina a metà strada tra Milano e Lodi. Una storia, quella degli ebrei a Melegnano, che già nell’ottobre 1979 era stata raccontata dallo storico Giuseppe Gerosa Brichetto in un lungo articolo sulla rivista locale Il Melegnanese.

Stando ai documenti storici, il primo flusso consistente ad arrivare in Lombardia si attesta nel 1387, anno in cui il Duca di Milano Gian Galeazzo Visconti (che proprio a Melegnano morì di peste nel 1402) permise loro di insediarsi e aprire banchi di pegni in varie città poiché aveva bisogno delle loro risorse economiche. Ma è nel ‘400 che, sotto la guida prima di Francesco Sforza e poi dei suoi discendenti, si hanno le prime testimonianze scritte della presenza ebraica a Melegnano. Lo fecero perché nei piccoli centri l’antisemitismo era molto meno diffuso che a Milano. Per consentirne l’insediamento, Sforza cercò riuscendovi di ottenere il consenso della Chiesa, cosa non scontata ai tempi.

Ma nonostante il clima di maggior tolleranza rispetto ad epoche passate, non mancavano le discriminazioni ai danni degli ebrei: secondo la legge, potevano ristrutturare le vecchie sinagoghe ma non fondarne di nuove; dovevano portare segni identificativi sui vestiti; non potevano avere rapporti carnali con i cristiani; e un medico ebreo non poteva visitare malati cristiani (su quest’ultima regola si potevano fare eccezioni solo se era un principe o, in generale, una figura importante ad avere bisogno di cure urgenti).

Come ha spiegato lo storico israeliano Shlomo Simonsohn nel suo libro The Jews in the Duchy of Milan, durante quel periodo a Melegnano spiccano testimonianze di ebrei facoltosi che riscossero un certo successo come banchieri: tra questi vi era Benedetto da Cremona, che ottenne dal Duca Galeazzo Maria Sforza in persona il permesso di aprire un banco di prestito. Dalle documentazioni, non mancarono gesti d’intolleranza nei suoi confronti: nel 1472, denunciò un’aggressione subita durante la Settimana Santa, nella quale era vietato agli ebrei farsi vedere in pubblico. In tutto, egli gestì la sua attività per una decina d’anni fino a quando, il 18 febbraio 1482, ricevette una lettera dal Duca che, su richiesta dei melegnanesi che non accettavano di convivere con dei non cristiani, gli intimava di cessare il banco altrimenti avrebbe dovuto pagare delle multe.

In seguito, ci sono stati altri casi di ebrei che vissero a Melegnano, alternando periodi di tolleranza e di discriminazione. Bonomo da Melegnano, il cui vero nome era Lazzaro e secondo alcune fonti era il genero di Benedetto, esercitò la stessa professione in paese, dove non mancarono episodi di antisemitismo: nel 1474, denunciò delle molestie contro di lui, e i colpevoli furono condannati a pagare 25 ducati di multa. 

Bonomo era tenuto in grande considerazione alla corte del Duca: il 5 maggio 1479, ricevette da Gian Galeazzo Sforza un lasciapassare per recarsi, sia per affari privati che per conto della famiglia Sforza, in Germania, accompagnato da una richiesta di agevolazioni alle autorità dei territori che avrebbe dovuto attraversare. Inoltre, gli fu concesso il permesso di portare armi per difendersi e fu esentato dal pagare pedaggi e tasse doganali. Nello stesso anno, gli fu concesso dal Duca di prendere in affitto una casa a tempo indeterminato e di acquistare un terreno da utilizzare come cimitero. Purtroppo, nel 1482 anche lui venne cacciato come Benedetto, a causa dell’intolleranza dei suoi concittadini.

In seguito, raramente ci sono state testimonianze dirette sulla presenza ebraica nel paese lombardo, e quasi sempre si trattava di banchieri. Nell’elenco dei banchieri del Ducato di Milano del 1522, figurava un certo Jacopo Marignano (“Marignano” è l’antico nome di Melegnano), mentre nell’elenco dei proprietari dei banchi del 1558 figuravano Isepo Mozo Suave e i suoi fratelli.

Ugo Samaja con la moglie Lucilla

 

Per trovare nuove informazioni su ebrei che hanno vissuto a Melegnano, bisogna fare un salto temporale fino al periodo fascista: nel febbraio 1941, l’Ospedale di Melegnano offrì un posto di lavoro a Ugo Samaja (1914 – 1995), un medico ebreo triestino che a seguito delle Leggi Razziali del 1938 non poteva esercitare la professione; il padre, medico anche lui, era stato licenziato dall’Ospedale di Trieste. Nella sua autobiografia Autopsia di una vita, Samaja ricordava con calore il modo in cui i medici del posto lo accolsero, incuranti delle sue origini. Rimase lì fino al marzo 1942, quando dovette fuggire e nascondersi a Milano in quanto quando l’Ufficiale sanitario lo avrebbe costretto a firmare per richiedere il suo titolo di studio su cui si sarebbe potuto leggere il titolo ‘infamante’ di ebreo. 

Tra l’altro, la sua storia è interessante anche perché a Trieste conobbe una donna, Lucilla, che era sposata con un gerarca nazista, ma si innamorarono al punto che lei accettò di fuggire con Ugo e di nascondersi con lui durante la guerra. Dopo la liberazione, lui riprese ad esercitare la professione medica a Milano, e dopo essersi sposati rimasero insieme fino alla morte di Lucilla, avvenuta nel 1987. Il 27 gennaio 2015, in occasione della Giornata della Memoria, gli studenti del Liceo Vincenzo Benini di Melegnano hanno organizzato una lettura dell’autobiografia di Samaja.