Il poeta Jack Hirschmann

Addio a Jack Hirschman, il poeta rivoluzionario gentile. Dalla Beat Generation all’aiuto degli emarginati e degli oppressi

di Marina Gersony
Jack Hirschman, classe 1933, prolifico poeta e scrittore statunitense, rivoluzionario della controcultura americana e per anni molto vicino alla Beat Generation, è mancato lo scorso il 22 agosto a 87 anni nella sua abitazione di Union Street a San Francisco, lasciando in eredità una vasta produzione poetica e letteraria che ha segnato un’epoca: ha scritto più di cento libri, di cui molte traduzioni in nove lingue, tra cui diversi autori: da Majakovskij e Heidegger a Neruda agli italiani Pasolini e Alfonso Gatto, solo per citarne alcuni.

Nato a New York da una famiglia ebraica russa e comunista (pare che una volta si fosse auto-definito con la battuta ironica «sono un cattivo ebreo»), dopo aver insegnato in importanti atenei come la Ucla University di Los Angeles dal 1961 al 1966 – tra i suoi studenti figurava anche Jim Morrison – è stato licenziato per aver incoraggiato e aiutato molti studenti a evitare l’arruolamento in Vietnam. Un licenziamento dovuto a quella che a suo tempo venne definita un’«attività contro lo Stato» e che – proprio quando stava per raggiungere la gloria accademica – lo convinse a dedicarsi a tempo pieno alla scrittura e all’inseguimento dei suoi ideali di giustizia sociale a favore dei senzatetto, dei poveri e degli emarginati. Nel 1980 abbracciò le idee di Karl Marx e aderì al Communist Labor Party diventando un attivista culturale in prima linea insieme a un gruppo di «poeti attivisti», tra cui Sarah Menefee, Michael Warr, Luis Rodriguez, Kimiko Hahn e Bruno Gullì. Il gruppo si sciolse nel 1992.

 

      Jack Hirschman legge la sua poesia Blue

Chi lo ha conosciuto parla di un uomo «affascinante, iconoclasta, anticonformista, trasandato, accademico, arrabbiato, cortese, spigoloso, malinconico e non sentimentale». La sua ricca biografia, impossibile da sintetizzare in poche righe, merita di essere riscoperta e conosciuta soprattutto in Italia, il Paese dove amava ritornare e dove è rimasto relegato in ambienti letterari di nicchia: grande amico di Allen Ginsberg, Gregory Corso, Bob Kaufman, Martin Matz, dell’inseparabile Lawrence Ferlinghetti e di tutti gli altri poeti beat da cui prese a un certo punto le distanze (definì la Beat Generation una «rivoluzione borghese» fatta di droghe e misticismo orientale), lui, l’artista senza etichette, il formidabile traduttore, il pittore, il performer, il poeta-filosofo del popolo e degli oppressi contro ogni guerra e ogni sopruso, alle rivoluzioni salottiere bon chic bon genre preferiva le asprezze della strada, delle piazze e delle periferie; si trovava più a suo agio nelle scuole, nei centri sociali e nelle carceri, ambienti e situazioni più politicamente e culturalmente vicini al suo sentire. Hirschman si avvicinò quindi ai movimenti radicali afroamericani, come il Black Panther Party o a poeti come Amiri Baraka.

Nel 2009, insieme a Sarah Menefee, Bobby Coleman e Cathleen Willams, fondò la «Revolutionary Poets Brigade», organizzazione internazionale che oggi è presente in varie città.

Hirschman lascia sua seconda moglie, Agneta Falk, poetessa, scrittrice e artista anglo-svedese e una figlia. Le sue opere sono presenti in Italia, tradotte da Raffaella Marzano e pubblicate dalla Multimedia Edizioni.