Hamas

Londra, Hamas presenta ricorso contro la sua designazione terroristica

Mondo

di Davide Cucciati
Secondo quanto riportato dal Guardian e da Drop Site News, Hamas ha depositato al Secretary of state for the home department britannico una richiesta formale, datata 26 marzo 2025, per essere rimosso dalla lista delle organizzazioni proscritte per terrorismo. La domanda è firmata da Mousa Abu Marzouk, capo delle relazioni internazionali di Hamas, ed è accompagnata da una memoria legale redatta dallo studio Riverway Law.

Nel Regno Unito, l’inserimento nella lista delle organizzazioni terroristiche comporta gravi conseguenze legali, tra cui il divieto di sostenere, rappresentare o promuovere l’organizzazione stessa, con pene fino a 14 anni di carcere. Nel novembre 2021, il governo britannico ha esteso la designazione terroristica, fino ad allora limitata al solo braccio armato di Hamas, all’intero movimento politico.

Abu Marzouk intende chiaramente affermare l’assenza di qualsivoglia pericolo per la Gran Bretagna proveniente da Hamas: “La decisione del governo britannico di proscrivere Hamas è ingiusta ed è sintomatica del suo incrollabile sostegno al sionismo, all’apartheid, all’occupazione e alla pulizia etnica in Palestina da oltre un secolo. Hamas non rappresenta e non ha mai rappresentato una minaccia per la Gran Bretagna, nonostante la continua complicità di quest’ultima nel genocidio del nostro popolo”. Nel testo, Hamas si definisce un “movimento islamico palestinese di liberazione e resistenza” e afferma di agire solo all’interno della Palestina storica, senza aver mai condotto operazioni armate in altri Stati. A sostegno della propria tesi, il legale Franck Magennis ha paragonato Hamas all’ANC sudafricano e all’IRA irlandese, ricordando che oggi sono considerati legittimi protagonisti politici, pur avendo fatto ricorso alla lotta armata. Inoltre, secondo i legali di Hamas, l’attuale proscrizione impedisce un dibattito libero sulle sue posizioni, criminalizzando chiunque esprima anche solo simpatia o solidarietà.

Il gruppo terroristico rivendica, inoltre, la giurisdizione della Corte Penale Internazionale e dichiara di essere pronto a collaborare con eventuali indagini internazionali sulla strage del 7 ottobre 2023. Marzouk afferma che i “soldiers” (così vengono chiamati nel documento) di Hamas avevano ricevuto ordini specifici di colpire solo obiettivi militari israeliani e che le uccisioni di civili sono avvenute per errore o in seguito a scontri a fuoco. Hamas denuncia anche il ricorso da parte di Israele alla cosiddetta Hannibal Directive, cioè la possibilità di neutralizzare gli ostaggi pur di impedirne la cattura. Dopo il 7 ottobre, sono circolate diverse speculazioni sull’applicazione di tale direttiva da parte di Tzahal ma, secondo quanto riportato dal Jerusalem Post e dal Times of Israel, non esistono, ad oggi, prove concrete né conferme ufficiali che essa sia stata effettivamente attivata durante i combattimenti. Inoltre, i crimini perpetrati da Hamas il 7 ottobre 2023 sono noti e sono già stati descritti da numerose fonti internazionali.

La questione del riconoscimento giuridico di Hamas è al centro di un lungo contenzioso anche davanti ai tribunali europei. Già nel 2010, Hamas aveva presentato un primo ricorso al Tribunale dell’UE (causa T-400/10), chiedendo l’annullamento degli atti con cui il Consiglio dell’Unione Europea l’aveva inserita tra le organizzazioni terroristiche. Nel 2014, il Tribunale accolse la domanda, ritenendo che le prove addotte dal Consiglio fossero insufficienti: si basavano prevalentemente su notizie di stampa, senza il sostegno di decisioni giudiziarie aggiornate da parte di autorità competenti, come richiesto dalla normativa europea. Tuttavia, nel 2017, la Corte di Giustizia ha annullato quella sentenza (causa C-599/14 P), confermando che l’inserimento nella lista poteva basarsi anche su elementi di fatto provenienti da fonti diverse, purché ritenuti affidabili dal Consiglio. Va precisato, comunque, che nel periodo tra la sentenza del 2014 e quella del 2017 Hamas non fu mai effettivamente rimosso dalla lista, poiché il Consiglio mantenne le misure in vigore e la Corte dispose la sospensione dell’annullamento.

Nel 2018 Hamas ha avviato un nuovo ricorso (causa T-308/18) per contestare il mantenimento del proprio nominativo nelle liste europee delle sanzioni. Il Tribunale, nel 2019, aveva accolto uno degli otto motivi proposti, rilevando un vizio formale: le notifiche individuali inviate a Hamas, che spiegavano i motivi della sua inclusione nella lista, non erano state debitamente autenticate con firma. Tuttavia, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ribaltato tale sentenza nel novembre 2021 (causa C-833/19 P), chiarendo che il Consiglio può adottare gli atti anche con procedura scritta e firma elettronica, secondo l’articolo 297 del TFUE, purché sia garantita l’integrità del documento. Anche in questo caso, Hamas non fu mai rimosso dalla lista: la sentenza del Tribunale fu sospesa e la Corte, nel 2021, ha confermato la legittimità degli atti del Consiglio, respingendo definitivamente il ricorso.

All’istanza di Hamas seguirà una decisione dall’home secretary britannico che, secondo la procedura, ha 90 giorni di tempo per rispondere. Qualora la richiesta fosse rigettata e la designazione come organizzazione terroristica fosse confermata, Hamas potrà ricorrere in appello presso il tribunale competente. Il fatto stesso che Hamas abbia deciso di intraprendere questo iter legale suggerisce che il movimento stia cercando di accreditarsi come attore politico in vista di un possibile futuro mutamento degli equilibri diplomatici. Le proposte sugli assetti del Medioriente si stanno susseguendo e ognuna di esse rappresenta un’opportunità di legittimazione per ogni movimento o forza politica. L’ultima è quella del 9 aprile di Macron secondo cui la Francia potrebbe riconoscere formalmente lo Stato di Palestina entro il mese di giugno 2025. In un’intervista a France 5, il presidente francese ha spiegato di voler promuovere “una dinamica collettiva” che porti anche diversi Paesi arabi a riconoscere, in parallelo, lo Stato di Israele. L’obiettivo, ha dichiarato, è organizzare una conferenza con l’Arabia Saudita per finalizzare “un percorso di riconoscimenti reciproci” tra Stati che oggi non si riconoscono a vicenda.