di David Zebuloni
Come previsto, la notizia che il presidente degli Stati Uniti entrante Donald Trump abbia proposto di trasferire più di un milione di palestinesi dalle “rovine di Gaza” ai “paesi vicini”, ha suscitato scalpore in tutto il mondo. C’è chi ha parlato di “deportazione” e chi ha preferito usare il termine “rilocazione”. Alcuni hanno affermato che questa sarebbe la soluzione ultimativa al conflitto, mentre altri hanno osservato che si tratta di una soluzione impossibile da applicare. Di fatto, ancora si sa quale sia il vero piano di Trump. Secondo quanto riportato dai media, il presidente americano vorrebbe spostare la popolazione palestinese in vari paesi del Medio Oriente e dell’Europa come l’Egitto, la Giordania e l’Albania, per poter ricostruire Gaza.
Tuttavia, prima ancora di discutere circa il futuro dei gazawi, dobbiamo capire quali sono le attuali condizioni del popolo in questione. Qual è il numero dei morti, il tasso di natalità, il numero di rifugiati e dei richiedenti asilo. D’altronde, i dati riportati dai media internazionali si basano su quelli pubblicati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA), che fa a sua volta riferimento ai dati pubblicati dal Ministero della Salute palestinese a Gaza, noto per essere sotto il pieno controllo di Hamas. Secondo molti esperti, infatti, i numeri di Hamas sono completamente infondati e sconnessi dalla realtà.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, su una popolazione composta da 2,3 milioni di gazawi, 45.936 sono morti dall’inizio della Guerra ad oggi. Il numero dei feriti è, secondo quanto riportato, di 109.274 e, sempre secondo Hamas, ci sono oltre 10.000 dispersi e sepolti sotto le macerie. “Questi dati non possono essere presi seriamente”, spiega Eyal Ofer, esperto di economia palestinese e di Hamas, in un’intervista a Makor Rishon. “Innanzitutto, l’ente che dovrebbe fornire le statistiche esatte sulla situazione a Gaza, ha bloccato il suo sito web in Israele. Oltre a questo, la divulgazione che fa Hamas non è certo attendibile”.
Secondo l’esperto, l’uso che l’organizzazione terroristica fa dei numeri dei morti, dei feriti e degli sfollati è meramente propagandistica. E non è tutto. Mentre il mondo accusa Israele di genocidio, è possibile che la popolazione di Gaza sia invece aumentata nell’ultimo anno. “Secondo gli ultimi dati divulgati da Hamas, seppur non esatti, durante l’ultimo anno sono morte circa 45.000 persone a Gaza”, spiega Ofer. “Per quanto riguarda la natalità, invece, sempre secondo il Ministero della Salute palestinese gestito da Hamas sono nati tra i 60.000 e i 70.000 bambini nella Striscia dall’inizio della guerra. Questo significa che il numero degli abitanti di Gaza durante la guerra è in realtà aumentato”.
In cerca della verità, non potendo fare affidamento sui dati pubblicati dall’organizzazione terroristica, Eyal Ofer ha imparato a utilizzare alcuni strumenti alternativi che lo hanno aiutato a comprendere e misurare i cambiamenti demografici avvenuti all’interno della società palestinese dal 7 ottobre in poi. “Lo scorso agosto, l’Organizzazione Mondiale della Sanità in collaborazione con l’UNICEF, ha svolto una campagna contro la polio, vaccinando ogni bambino gazawo sotto i dieci anni. Complessivamente, 600.000 bambini sono stati vaccinati in quel mese”, racconta. “Questo dato diventa un importante indicatore che ci permette di conoscere la reale dimensione della popolazione a Gaza”.
Un altro dato importante, ma difficile da misurare, è il numero di gazawi che hanno lasciato la Striscia nei mesi in cui il valico di Rafah era aperto. “Secondo le stime, sono usciti da Gaza tra i cento e duecento civili al giorno, ma non ogni giorno”, osserva Ofer. “Possiamo dedurre che, in totale, alcune migliaia di persone hanno lasciato la Striscia ogni mese – nei primi otto mesi dall’inizio della guerra. Si può dunque supporre che siano in tutto 50.000 persone all’incirca, ma è molto difficile definire se questo numero sia esatto. Potrebbero anche essere 100.000 i gazawi fuggiti in Egitto e poi partiti verso altre destinazioni in Medio Oriente e in Europa”.
Per quanto riguarda invece la possibilità che Donald Trump riesca a realizzare il suo piano di trasferire gli abitanti di Gaza altrove, l’esperto si dice molto scettico. “La domanda reale non è se Trump vuole o non vuole trasferirli, ma chi ha intenzione di accoglierli”, sottolinea Eyal Ofer. “Abbiamo già visto l’immediata reazione dei vari paese candidati. Il presidente dell’Albania Edi Rama, per esempio, ha subito negato ogni potenziale coinvolgimento nell’iniziativa americana”. Vero. Dopo essere stato citato da Trump, Rama ha reagito con un semplice tweet: “Fake news”, scritto a caratteri cubitali.
“Anche l’Egitto, con grande astuzia, ha sempre cercato di mantenere il distacco da Gaza. Cosa che continua a fare anche oggi”, conclude Ofer. “Il presidente egiziano Al-Sisi non ha accolto nemmeno un rifugiato gazawo in un anno e quasi cinque mesi di guerra, per il timore che tra loro vi fossero anche degli infiltrati di Hamas. In sostanza, tutti vogliono che i palestinesi rimangano sotto la responsabilità dello Stato di Israele. Pertanto, nessuno accoglierà la proposta di Trump”.
In poche parole, questi palestinesi, tutti li amano, ma nessuno li vuole. Dopo essersi autonominati portatori sani di pace e aver demonizzato Israele in ogni modo possibile, infatti, oggi i grandi leader del mondo si rifiutano di compiere il più piccolo gesto a favore di quel popolo che tanto hanno martirizzato. Sorprendente? Niente a fatto. Chi predica bene, si sa, razzola male.
Una zona di Gaza dopo un bombardamento israeliano. Ottobre 2023. (Wikimedia Commons. Naaman Omar \ apaimages)