La Siria è più vicina

Mondo

di Luciano Assin

E’ notizia di qualche giorno fa della morte della prima vittima israeliana coinvolta nella guerra civile in corso in Siria. Si tratta di Zakhi Jumma’a, arabo israeliano residente in un villaggio non lontano da Afula. La notizia e’ stata riportata dai maggiori media israeliana e riporta alla ribalta la non facile convivenza fra Israele e il movimento islamico attivo nel paese.

Secondo la versione dei familiari Jumma’a ha lasciato Israele per la Turchia insieme ad almeno altri due compagni e da lì ha varcato clandestinamente la frontiera per unirsi ai ribelli. L’unico riscontro sulla morte del giovane e’ una foto in circolazione sui social network. Si calcola che vi siano almeno una decina di arabo israeliani attivi nella lotta armata contro le forze di Assad.

Il giovane proveniva da una zona ad alta densita’ di popolazione araba e conosciuta in Israele come “meshulash” (il triangolo). E’ la zona dove e’ particolarmente attivo il movimento islamico, un partito israeliano vicino alle posizioni di Hamas. Il movimento islamico opera su tre fronti:  religioso, wellfare e nazionalistico. In seguito ad un fallito tentativo terroristico sventato dalle forze di sicurezza israeliane nel 1979, il movimento islamico ha ufficialmente rinunciato alla lotta armata. Nonostante cio’, in piu’ occasioni le sue varie diramazioni hanno raccolto fondi per le vittime palestinesi, fondi che piu’ di una volta sono arrivati direttamente a Hamas e quindi sospetti di aver finanziato scopi tutt’altro che pacifici.

L’attuale leader del movimento e’ lo sceicco Ra’ad Salah, personalita’ controversa ma dotata di notevole carisma e assolutamente da non prendere sottogamba. Per i suoi vari tentativi di aprire dei canali segreti con Hamas e per aver attaccato un poliziotto durante una manifestazione a Gerusalemme, Salah e’ stato imprigionato due volte, seppure con lievi pene detentive. L’indiscusso carisma di Salah e’ alla base di un ritorno alla fede islamica piu’ ortodossa, soprattutto  fra i giovani arabo israeliani.

Ma un conto e’ il riavvicinamento alla fede religiosa, ed un altro e’ l’indottrinamento a favore di posizioni fanatiche e antidemocratiche. Gli stessi notabili della minoranza arabo-israeliana sono consci che il confine e’ molto labile ma soprattutto pericoloso da attraversare. Per le forze di sicurezza si tratta di un grattacapo in piu’, la creazione di una consistente quinta colonna all’interno di Israele e’ da sempre uno scenario preso in considerazione e fino ad oggi contenuto con successo. La maggioranza degli arabi israeliani e’ ancora indirizzata verso una coesistenza pacifica con lo Stato Ebraico, fatto sta che nonostante il fermento in atto in tutta la regione il tessuto sociale regge egregiamente e gli effetti della primavera araba in Israele sono minimi. Ma il coagularsi di una minoranza ben motivata ideologicamente puo’ portare a cambiamenti radicali anche nel breve termine.

Al di la di un accurato lavoro di intelligence e di una lotta mirata verso gli elementi radicali e’ indispensabile una maggiore cura verso i cittadini arabi israeliani, un processo che deve passare inevitabilmente attraverso la lotta alla disoccupazione e ad un maggiore inserimento nel tessuto sociale israeliano, come per esempio l’istituzione di un servizio civile in  alternativa al servizio militare.