La crisi delle videocamere di sorveglianza affossa i negoziati sul nucleare iraniano

Mondo

di Francesco Paolo La Bionda

 

L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (International Atomic Energy Agency – IAEA) delle Nazioni Unite ha annunciato il 9 giugno scorso che l’Iran sta rimuovendo ventisette telecamere di sorveglianza dell’ente dai suoi impianti nucleari. I dispositivi, a prova di manomissione, erano stati collocati nel 2015 dopo la firma del primo accordo sul nucleare iraniano (Joint Comprehensive Plan of Action – JCPOA) ed erano stati indispensabili per verificare il rispetto dei termini del trattato.

La prova di forza di Teheran per un ricatto negoziale

La decisione sarebbe una ritorsione di Teheran per la decisione dell’agenzia di pubblicare il giorno precedente una risoluzione che criticava il regime degli ayatollah per le attività nucleari portate avanti negli ultimi tempi.  Dopo la decisione dell’amministrazione Trump di sfilare gli Stati Uniti dal patto nel 2018, reintroducendo anche le sanzioni economiche, gli iraniani hanno ripreso ad arricchire l’uranio sopra i limiti consentiti, avvicinandosi sempre di più alla soglia che permetterebbe di realizzare un ordigno nucleare.

Nonostante il direttore generale della IAEA Rafael Mariano Grossi abbia definito la mossa dell’Iran “un colpo mortale” ai negoziati, il governo iraniano appare convinto di poterla invece sfruttare per mettere pressione sui negoziati per il nuovo accordo, che si stanno tenendo a Vienna ormai da un anno ma con ben pochi progressi finora raggiunti. Teheran sembra anzi convinta di poter forzare concessioni anche sull’arricchimento dell’uranio oltre i limiti, col presidente Ebrahim Raisi che ha giurato che non saranno fatti passi indietro su questo fronte.

A far arenare i negoziati, ancor più della questione nucleare in sé, in realtà è stata soprattutto l’intransigenza iraniana nel voler vedere depennate dalla lista delle organizzazioni terroristiche le Guardie rivoluzionarie, nonostante siano loro il braccio con cui Teheran finanzia, addestra e arme milizie e organizzazioni terroristiche in tutto il Medio Oriente, dagli Hezbollah libanesi agli Houti yemeniti.

Inoltre, la crisi economica che sta devastando il paese persiano, conseguenza delle sanzioni, mette fretta agli ayatollah che hanno già dovuto fronteggiare proteste interne negli ultimi due anni, represse nel sangue dal regime.

 

Israele valuta le alternative

Israele è da sempre contrario a qualsiasi accordo sul nucleare iraniano, ritenendo che Teheran, che propugna la distruzione dello Stato ebraico, porterebbe avanti in ogni caso i suoi progetti militari in tal senso. Lo stesso primo ministro Naftali Bennett, in un’intervista al quotidiano britannico Telegraph dell’11 giugno, ha avvertito l’Occidente che se non saranno intraprese immediatamente azioni per fermare la corsa alla bomba dell’Iran sarà presto troppo tardi.

Gerusalemme intanto valuta le alternative, compresa l’opzione militare. Secondo quanto riportato nei giorni scorsi, l’aeronautica militare israeliana avrebbe sviluppato la capacità di far volare i propri caccia Stealth F-35 fino al territorio iraniano senza bisogno di rifornirli di carburante in volo. I velivoli sarebbero inoltre dotati di nuove tipologie di bombe che non inficerebbero la loro invisibilità ai radar.