In tempi di crisi, qualcuno in Europa pensa al kibbutz…

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Tra i paesi maggiormente colpiti crisi economica, c’è senz’altro la Grecia, ma c’è anche la Spagna. Qualche settimana fa,  le immagini delle migliaia di spagnoli scesi nelle piazze a protestare contro i tagli imposti dal governo di Rajoy hanno fatto il giro del mondo.

Proprio in Spagna, dove nei primi tre mesi del 2012 si è registrata una media di 517 sfratti ogni giorno, i giovani, i “figli della decrescita” come li definisce il giornale “La Vanguardia”, stanno cercando soluzioni per affrontare la crisi che li sta colpendo. Alcuni decidono di emigrare all’estero, altri invece di lasciare le città e di tornare alle campagne. Ciò sta avvenendo specialmente in Catalogna dove questo tipo di scelta sta portando alla nascita qua e là di esperienze collettiviste che qualcuno definisce come dei novelli “kibbutzim”. Giovani con curriculum ed esperienze di lavoro di tutto rispetto, decidono di dedicarsi all’agricoltura, alla produzione, al consumo e alla vendita di prodotti ecologici. Il tutto, appunto, in un’atmosfera e dimensione “collettivistica”. Le parole chiave di queste esperienze, in Spagna come in Israele, sono: auto-produzione agricola, vita associativa, vendita di prodotti ecologici e in alcuni casi nuove tecnologie a servizio dell’ambiente e di nuovi sistemi industriali su scala ridotta.
Nella ex colonia industriale tessile di Calafou, per esempio, i residenti hanno cominciato a riconvertire l’area recuperando le vecchie abitazioni e adottando il baratto e la vendita diretta dei prodotti agricoli come sistema economico. Il progetto, chiamato Colonia Econdustrial Postcapitalista, è stato avviato grazie ad un credito di 400.000 euro ottenuto dalla cooperativa promotrice presso una banca etica.