Il complesso persiano

Mondo

Questo articolo di Abbas Amanat docente di storia a Yale, pubblicato dal New York Times, aiuta a comprendere alcuni aspetti della mentalità che pervade l’attuale politica iraniana. Se non è tutto condivisibile nella sua interpretazione storica, va d’altronde tenuto presente che questa analisi illustra fatti del passato che sono incontestabili, né va dimenticata la testata che ha ospitato questo articolo.

“Se è facile etichettare la corsa al nucleare dell’Iran come pericolosa avventura dalle conseguenze imprevedibili sul piano regionale e internazionale, così come è confortante denigrare Ahmadinejad per la sua negazione dell’Olocausto o per il suo odioso invito a cancellare lo stato di Israele, vi è tuttavia qualcosa di più profondo nella storia dell’Iran che non le estremistiche esternazioni di un presidente messianico e gli intrighi sapientemente calcolati dell’intransigente leadership clericale che gli sta dietro.

Tendiamo a dimenticare che l’insistenza iraniana al suo diritto sovrano di sviluppare l’energia nucleare è in realtà la ricerca di affermazione, la cui origine va cercata in almeno due secoli di aggressione militare e ingerenza interna, e non ultimo nella negazione della tecnologia da parte dell’occidente. Anche un bambino in Iran sa del colpo di stato sponsorizzato dalla CIA nel 1953 che fece cadere l’allora Primo ministro Mossadeq, e anche chi non è particolarmente interessato al proprio passato sa che per tutti gli ultimi due secoli l’Iran fu campo di gioco delle grandi potenze.

Gli iraniani sanno anche – per quanto gli americani e gli europei di oggi facciano fatica a crederlo – che dal 1870 al 1920 la Russia e l’Inghilterra hanno privato l’Iran persino della tecnologia di base, come per esempio le ferrovie che allora costituivano la chiave dello sviluppo tecnologico: in varie circostanze questi due stati si opposero alla costruzione della transiraniana che avrebbe minacciato la continua espansione delle loro frontiere imperiali. Quando finalmente fu costruita, le forze di occupazione britanniche e russe (e poi americane) durante la seconda guerra mondiale se ne servirono (senza pagare un soldo) chiamando l’Iran ‘ponte di vittoria’ sulla Germania nazista. Naturalmente ciò avvenne dopo che Churchill costrinse il creatore della ferrovia, Reza Shah Pahlavi, ad abdicare e dopo averlo senza tante cerimonie cacciato dal paese.

Non molti anni dopo, una simile violazione della sovranità economica iraniana da parte dell’occidente portò a una resa dei conti che ebbe conseguenze fatali per la fragile democrazia del paese e che lasciò cicatrici indelebili nella coscienza nazionale. Parliamo del movimento per la nazionalizzazione del petrolio (’51-‘53) sotto Mossadeq che fu avversato dall’Inghilterra e successivamente dagli Stati Uniti con lo stesso moralismo che oggi caratterizza il loro punto di vista sulla ricerca iraniana per l’energia nucleare.

Mossadeq fu processato e confinato, mentre lo Scià venne reintegrato, soprattutto in qualità di gendarme degli interessi geopolitici americani senza la minima preoccupazione per le istanze del popolo iraniano.

Un quarto di secolo più tardi, toccò all’America essere colta di sorpresa quando la rivoluzione islamica rovesciò lo Scià e trasformò uno stato che sembrava così amico degli Usa. Ma se gli americani soffrivano di amnesia storica, per molti iraniani, fra i quali l’Ayatollah Khomeini, il filo della memoria legava inevitabilmente il Grande Gioco al Grande Satana.

E’ difficile per un paese come gli Stati Uniti che si regge su paradigmi di progresso e pragmatismo, comprendere appieno quale dimensione mitica e psicologica ha la sconfitta e la privazione a opera di stranieri. Eppure la memoria collettiva dell’Iran è pervasa di questi temi. Fin dal 18° secolo l’Iran è stato sconvolto da quattro devastanti guerre civili, i cui protagonisti principali furono – a differenza della guerra civile americana che fu solo una questione interna – turchi, afgani, russi e inglesi. E prima dell’arrivo delle potenze occidentali gli iraniani conservavano amari ricordi degli ottomani, dei mongoli, degli arabi.

Queste invasioni hanno punteggiato la moderna narrazione storica degli iraniani di paure cospiratorie. Tali dolorose memorie collettive hanno fatto della corsa all’energia nucleare dell’Iran un simbolo nazionale di sfida che è andato al di là delle motivazioni dell’attuale regime islamico.

Se gli Usa faranno ricorso alle sanzioni o peggio a qualche risposta militare, l’esito sarà non solo disastroso, ma sulla distanza anche inutile. E proprio come è successo per le ferrovie e l’industria petrolifera, l’occidente potrà fermare la ricerca nucleare per un certo tempo ma non potrà cancellare le angosciose memorie. Memorie che il regime islamico ampiamente sfrutterà per fare avanzare il suo programma nucleare anche a costo di soffocare voci di dissenso interno. E ancor più di prima gli iraniani scaricheranno sulle potenze straniere la colpa del loro destino e sceglieranno di non puntare sul loro tormentato cammino verso la modernità.

E se si continua così con ogni verosimiglianza l’Iran arriverà bene o male a raggiungere il suo Santo Graal nucleare”.