di Anna Lesnevskaya
Il nuovo ambasciatore israeliano in Gran Bretagna, Mark Regev, ha presentato le credenziali alla Regina d’Inghilterra il 24 giugno, in una giornata storica per il Paese che col referendum del 23 giugno ha scelto Brexit, abbandonando l’Ue con una mossa senza precedenti. Come sottolineano numerosi esperti, con l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, Israele ha perso non soltanto un grande alleato alla sua causa, ma dovrà anche affrontare le conseguenze economiche dell’indebolimento dell’Ue, che è il suo maggiore partner commerciale.
Nello stesso tempo le organizzazioni ebraiche britanniche hanno reagito senza schierarsi, ma facendo appelli all’unità post voto. Nonostante ciò gli ebrei britannici sembrano divisi: per gli uni ha vinto il populismo e l’estrema destra, per gli altri è stato finalmente dato il voto al popolo, ed è solo così, a loro dire, che si possono arginare le tendenze xenofobe.
“Amici di Israele anche fuori dall’Ue”
Israele ha reagito alle dimissioni del premier britannico David Cameron, ma non ai risultati del referendum. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione in cui ha definito Cameron “un leader rispettato e un vero amico di Israele e del popolo ebraico”. Durante il suo mandato, ha sostenuto ancora Netanyahu, “la cooperazione nell’ambito della sicurezza, dell’economia e della tecnologica tra il Regno Unito e Israele è cresciuta molto” e “insieme abbiamo creato una forte base per una cooperazione continuativa”.
L’ambasciatore britannico in Israele, David Quarrey, intervistato dal Channel 2, ha rassicurato il governo israeliano, dicendo che niente cambierà nei rapporti tra i due Paesi. “Siamo stati amici di Israele nell’Ue, lo saremo fuori dall’Ue, ma i rapporti tra Israele e l’Ue in futuro dovranno essere determinati senza la Gran Bretagna al tavolo dei negoziati”.
Eppure lo stesso Cameron, scrive Haaretz, partecipando nei giorni scorsi ad un evento di beneficenza promosso dalla comunità ebraica a Londra, ha sottolineato come Israele abbia bisogno del sostegno della Gran Bretagna nell’Ue per affrontare la lotta contro il movimento Bds, favorevole al boicottaggio e a sanzioni economiche anti-israeliane.
Senza la Gran Bretagna un’Europa più ostile
“Tolta la Gran Bretagna dall’Ue, quello che ne rimarrà sarà sempre una grande entità, che, tutto sommato, si farà più ostile nei confronti di Israele”, rifletteva, ancora prima del referendum, in un’intervista a The Jerusalem Post Arieh Kovler, impegnato nella advocacy di Israele e nei rapporti israelo-britanici. Opinione condivisa anche da Alex Benjamin, direttore di EIPA, gruppo di advocacy pro-Israele a Bruxelles, che in un intervento su The Times of Israel sostiene che con l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, Israele “ha perso una buona, solida e significativa voce pro-israeliana nelle istituzioni europee”.
Sembra che l’unica a gioire per l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue sia Regavim, Ong israeliana di estrema destra, che ha rilasciato una dichiarazione giubilante per commentare la vittoria del Brexit. L’Ong, che ha sempre accusato l’Ue di “finanziamenti illegali alle costruzioni palestinesi”, aveva lanciato la campagna “Support Israel-Leave Europe” (“Sostieni Israele-Fuori dall’Europa”) tra gli espatriati britannici in Israele.
Sulle conseguenze economiche del Brexit per Israele si sofferma Sharon Pardo, direttore del Centro per le politiche e le società europee dell’Università Ben Gurion del Negev. “Dobbiamo ricordare che l’Ue è il più grande partner commerciale di Israele”, ha detto in un’intervista a The Times of Israel. Quindi, “quando l’Ue è malata, anche Israele ne soffrirà”.
Diritti religiosi degli ebrei europei a rischio
Tornando alla Gran Bretagna, i rappresentanti delle comunità ebraiche britanniche, che non si sono schierati apertamente (a parte alcune comunità riformate), ora accolgono con cautela i risultati del voto. Il rabbino capo della Gran Bretagna, Ephraim Mirvis, ha rilasciato una dichiarazione dicendo che la fase della campagna pre-referendum “ha profondamente diviso il nostro Paese” e che “ora i tempi dei disaccordi e delle divisioni sono finiti”.
Il Board of Deputies of British Jews, organizzazione che rappresenta gli ebrei britannici, ha espresso l’auspicio che il Paese “si stringa” dopo la campagna, che è stata “divisiva e traumatizzante”. L’organizzazione ha anche sostenuto che, nonostante il Brexit, “continuerà a lavorare con i colleghi e le organizzazioni attraverso l’Europa come parte del nostro programma più ampio sulle questioni internazionali riguardanti il popolo ebraico”.
Comunque, parlando con The Times of Israel, alcuni leader ebraici della Gran Bretagna si sono detti preoccupati per alcuni diritti religiosi degli ebrei europei, come il brit milah (circoncisione) e la shechitah (macellazione rituale), visto che sono state proprio le organizzazioni britanniche a difenderli in seno all’Ue e ad assistere alcuni Paesi europei che si erano trovati in difficoltà con la macellazione rituale, come Irlanda, Polonia, Olanda, Lituania, Belgio, Danimarca e Francia.Ebrei britannici divisi
Secondo il sondaggio commissionato a metà maggio dal principale quotidiano ebraico inglese The Jewish Chronicle, quasi la metà degli ebrei della Gran Bretagna – il 45% – volevano che il Paese rimanesse nell’Ue, mentre il 38% tifava Brexit. La maggioranza degli ebrei britannici quindi non sosteneva l’uscita dall’Unione Europea, o per paura degli euroscettici xenofobi, oppure perché avrebbe preferito tenersi l’Europa con i suoi pro e contro piuttosto che affrontare l’ignoto, non ultimo per l’importanza della Gran Bretagna in seno all’Ue per perorare gli interessi di Israele.
La questione dell’immigrazione però ha diviso gli ebrei britannici, come tutto il resto della popolazione. Usciti i resultati del voto, l’editore di The Jewish Chronicle, Stephen Pollard, è uscito alla scoperto, dichiarando la sua posizione in un articolo intitolato “Brexit: è un giorno meraviglioso per la Gran Bretagna e i suoi ebrei”. Pollard ha sostenuto che la richiesta del referendum di ottenere il controllo sull’immigrazione “non è un attacco contro gli immigrati, stranieri o ebrei”, ma la protesta del popolo che vuole “avere voce in capitolo su questioni politiche cruciali”. “La nostra libertà dall’Ue renderà l’estremismo meno probabile, offrendo una valvola di sfogo”, ha scritto.
Tra gli oppositori del Brexit e dello spauracchio dell’immigrazione c’è l’autorevole storico britannico di discendenza ebraica Simon Schama che ha parlato al riguardo del “ritorno dell’atavismo”. In un articolo per il Financial Times ha ricordato come all’inizio del Novecento quando l’afflusso degli ebrei russi che fuggivano dalle persecuzioni nella Gran Bretagna ha provocato la creazione della Lega dei Fratelli Britannici. Organizzazione, questa, che definiva gli immigrati come “la feccia dell’Europa”. Secondo Schama, la storia si ripete.
Anche il corrispondente di Haaretz a Londra, Anshel Pfeffer, ha scritto prima del referendum un articolo dal titolo “Votare per uscire dall’Europa è la cosa più non-ebraica che si possa fare”. “Lasciando l’Europa, commetteremmo l’atto di tradimento più grande dell’eredità felice degli ebrei britannici, nella speranza che questo possa negare ai rifugiati dalla guerra e dalla dittatura la protezione che i nostri bisnonni avevano ricevuto, – ha sostenuto. – Ogni tentativo di giustificarlo è un’ipocrisia assoluta sconfinante nel razzismo”.
Infine, molti tra gli oppositori ebrei del Brexit hanno pensato alla solidarietà nei confronti degli ebrei europei che sul continente sono sempre più esposti agli attacchi di matrice antisemita. L’uscita della Gran Bretagna dall’Ue è stata un duro colpo per i migliaia di ebrei francesi espatriati, che ora sono di fronte ad un futuro incerto.