Livorno, tra mare e mito

Italia

di Daniel Fishman

Squisita questa crème caramel! “Ma no, guarda che è un Latte alla Portoghese”, mi corregge gentilmente Silvia Guastalla. Alzi la mano chi sa spiegare la differenza tra le due specialità. Ma in fondo, poco importa. Qui non si tratta più di dessert ma di capire che, tra storia e mito, stiamo entrando nella tipicità di una di quelle situazioni ebraiche che trovano radice nei tempi dei tempi. Ad esempio immaginando che al momento della cacciata degli ebrei dalla penisola iberica gli sgherri della cattiva Regina Isabella inseguissero, come in un cartone animato, una antenata di Silvia Guastalla mentre fugge reggendo in mano il prezioso “manoscritto ebraico” contenente la ricetta che la famiglia si tramanderà poi nei secoli. Di fatto, il “Latte alla portoghese” non è altro che una specie di pozione magica famigliare che racchiude un patrimonio ricco di altri aneddoti. Nel parlare della Livorno ebraica e delle famiglie di questa Comunità, si scopre che ci sono tante altre pozioni magiche, numerose come lo sono le possibili ricette del riso pilaf. Tutti hanno una storia da raccontarti ed è difficile che si fermino a prima del ‘700.

Anche oggi, tra le migliaia di croceristi che sbarcano ogni anno a Livorno, vi è una interessante percentuale di ebrei curiosi di scoprire le loro origini. Il “mito” di questa Capitale del mondo sefardita resiste anche se non si è più ripetuto il fenomeno dell’arrivo di intere comunità ebraiche (fatta eccezione forse per il secolo scorso con il’arrivo dei Turchi negli anni ‘20 e dei Libici negli anni dopo il ‘67). Il glorioso passato, che è bene rappresentato dalle stampe dell’antico Tempio, non trova agli occhi dei turisti grande riscontro nell’attuale Sinagoga, la più recente costruita in Italia (1962). Eccola, nel mezzo di Piazza Benamozegh: una specie di brutto tartufone con pessima acustica, grandi difficoltà di riscaldamento e di manutenzione (per cambiare una semplice lampadina bisogna mettere su delle impalcature). Spicca nella moderna struttura l’antico, splendido Aron Hakodesh di legno intagliato e dorato, situato in origine nella sinagoga levantina di Pesaro e qui portato da Rav Giuseppe Laras quando, da rabbino capo della Comunità di Ancona, venne a ricoprire la stessa carica a Livorno.

Tra chi invece è tornata a vivere a Livorno c’è Loretta Modigliani che insieme al marito David Novelli (ora consigliere della Comunità labronica), incontro nel loro negozio di casalinghi in Piazza Grande: “A Milano siamo stati bene ma Livorno significa migliore qualità di vita; l’aria, il cibo, i costi. Per noi, gente di mare, questi elementi concreti sono importanti. Tra gli iscritti alla Kehillah c’è un consigliere che possiede uno stabilimento in piena città. Ai Bagni Giachetti facciamo diverse iniziative comunitarie quando inizia la bella stagione”. Loretta mi cita anche i barbecue e, aggiungo io, tra i fattori positivi si può aggiungere che qui si trova la migliore carne Kasher d’Italia.

Di sole e caldo però non si vive. Il primo impatto entrando in città sono alcune pubblicità per prestiti e “compro oro”, fattori indicativi delle difficoltà di una città che è sempre vissuta quasi esclusivamente sull’attività portuale. Una realtà ora in crisi per diversi motivi, come spiega Gadi Polacco, ex consigliere dell’Unione che nella vita si occupa di rifornimenti per le navi. “Il lavoro scarseggia e i giovani, soprattutto quelli più intraprendenti, tendono ad andarsene. I problemi? La concorrenza di città vicine (La Spezia, Civitavecchia) e l’interramento del porto che si è venuto a creare senza che vi fossero interventi strutturali”. “Ma anche a causa di un sistema politico e imprenditoriale bloccato”, aggiunge Guido Guastalla, editore e nota figura della Comunità, già a capo dell’opposizione nel Consiglio comunale, in una città tradizionalmente schierata fortemente a sinistra. In giro noto ovunque spassosissime scritte sui muri, ma in effetti i graffiti a spray che imbrattano tutto, compresi i monumenti, non aiutano a rendere più bella una città che, dopo i bombardamenti della Seconda Guerra è rinata con una certa caotica confusione e con poco gusto. Cosa che forse ben rappresenta lo spirito anarchico dei suoi abitanti, ancor più che comunista, e che nel parlare schietto del Vernacoliere trova una delle sue massime espressioni. Anni fa, andai a presentare un libro a Livorno. Proprio quel giorno arrivò in città Rav Didi. Facemmo due passi insieme, e parlando di quella che sarebbe stata la sua nuova sede di lavoro, mi disse “Maqom iafè!” (è un bel posto). In quel momento pensai a cosa mi avrebbe detto se avesse visto Roma, ma stimai anche che probabilmente sarebbe rimasto a lungo a Livorno.

“Sono passati cinque anni dal mio insediamento e non ho cambiato idea”, mi dice sorridente, aggiungendo con molta modestia “il mio compito non è facile perché sono stato preceduto da una serie di grandi rabbini”. Il suo predecessore, Rav Leone Kahlon, scomparve prematuramente. Nel suo breve mandato era riuscito a compiere un piccolo miracolo. Lavorando su vecchi archivi comunitari era andato a ripescare, ad uno ad uno, decine di ebrei che si erano del tutto allontanati dalla Comunità. Si trattò di una “primavera” di vita ebraica che da tempo non si registrava.

Il problema attuale è legato al più generale destino della città, che sembra perdere velocità e che non garantisce lavoro e occasioni. “Per questo assistiamo ad un invecchiamento della nostra popolazione”, prosegue Rav Didi, “e questo significa ripensare a che tipo di attività comunitaria proporre oggi. Da una parte garantiamo tutti i servizi religiosi, minian tre volte a settimana, mikve, carne kasher (Rav Didi, è anche shochet e dayan-ndr). Dall’altra cerchiamo di creare altre occasioni di socialità. Nei locali comunitari abbiamo sviluppato un progetto per gli anziani, un corso di pilates per le persone di mezza età e un corso di krav-magà per i più giovani. Arrivano qui attatti da per un motivo ‘generico’ ma una volta che si abituano a stare in Comunità, gli proponiamo dell’altro”.

La madrichà Hillà Lavy si occupa dei più giovani della Comunità; Piero Cassuto coordina le attività del Bené Berith; mentre Daniela Mosseri mi racconta del bel momento che la Comunità ha appena vissuto in coincidenza con il Congresso nazionale Adei e il Premio Letterario “Adelina Della Pergola”. In Comunità non mancano locandine di altre iniziative, ma va anche detto che ultimamente il clima tra gli iscritti si è fatto un po’ pesante. Le elezioni comunitarie hanno per il momento visto confermato il Presidente uscente Samuel Zarrugh, che è però in minoranza nella Giunta. La sua scelta ha infatti lasciato vari strascichi e al momento vige una “tregua” in attesa di elezioni che sono state indette per il prossimo giugno.

Interi gruppi comunitari sembrano scomparsi, ad esempio quello dei venditori ambulanti, che non si vedono più in Comunità. E tra chi partecipa si segnalano fratture politiche o personali. Il Consiglio è spaccato a metà, ma visto che gli ebrei livornesi le cose per lo meno se le dicono in faccia, i motivi di contrasto sono manifesti e chiari a tutti. Schiettezza, personalità forti, egocentrismi, clan contrapposti; ingredienti ebraici e comunitari già noti. Ma come avviene spesso tra gli ebrei, anche in questi frangenti si trovano momenti di  unità e la capacità di trovare forza nel gruppo. Un coro, quello intestato a Ernesto Ventura, si è appena esibito in una gremita sala comunale. Ne parla Daniel Bedarida, che è anche voce solista del Coro.“Un coro che ben simboleggia il legame della città con gli ebrei, ma anche il fatto che, pur litigiosi, noi ebrei livornesi sappiamo anche fare squadra. Una ventina tra donne e uomini della Comunità si esibisce periodicamente per presentare uno straordinario patrimonio di compositori ebrei livornesi. La maggior parte delle opere è dell’‘800 e del ‘900 ma abbiamo anche brani anteriori”. Bedarida è anche apprezzato hazan. Sarà perché è anche dentista, ma ci assicura che il Coro Ventura lascia veramente tutti a bocca aperta.