Il congresso del rinnovamento

Italia

Con l’elezione del nuovo Consiglio dell’Unione delle comunità, la minoranza ebraica che vive in questo Paese apre una nuovo, difficile capitolo nella sua storia bimillenaria.
L’aria di rinnovamento, il desiderio di raccogliere le sfide che il futuro ci mette davanti, si possono ora toccare con mano, sono diventati quasi tangibili. Si tratta di un fattore importante che sembra ormai difficile negare, da qualunque punto di vista si osservi quanto accaduto. Per certi versi le scelte elettorali che hanno recentemente portato al rinnovo del consiglio della Comunità ebraica di Milano si sono riprodotte nuovamente, a distanza di poche settimane, su scala nazionale. Ha vinto, avevamo detto in quella occasione, la comunità della gente, la comunità che vuole parlare in prima persona ed è stanca di farsi rappresentare, di delegare se stessa e le proprie speranze alle prudenze e agli opportunismi di qualche paternalistico manovratore.
Il congresso dell’Unione, prima di condurre a questo risultato interessante e in ogni caso significativo, non ha rappresentato in tutte le sue giornate un dibattito di grande qualità. Troppo chiacchiericcio di corridoio, troppe diffidenze, troppe gelosie, troppa vetrina e troppi comizi (soprattutto da parte degli immancabili ospiti politici) hanno finito in alcuni momenti per appannarlo e per far emergere aspetti e comportamenti a volte francamente imbarazzanti.
Ma anche questo, forse, era un prezzo da pagare perché il nuovo si potesse fare strada. E ci resta in ogni caso la speranza che il fatto di essere andati a fondo dei nostri vizi e di una propensione alla polemica talvolta degna di miglior causa possa essersi rivelato, in definitiva, l’occasione di una maggiore maturità.

Mai come questa volta il congresso ha toccato numerosi temi complessi e controversi. Ha fissato mete da raggiungere, ha scritto nuove pagine nel libro dei nostri desideri. Ha sollecitato obiettivi raggiungibili e meno facilmente raggiungibili.
Mai come questa volta l’irrequietudine si è tramutata in proposte, in richieste, talvolta pressanti, in pretese.
Con la pacatezza e la fermezza che caratterizza il lavoro della sua redazione, Mosaico analizzerà alcuni di questi spunti nelle prossime giornate.
Adesso, in ogni caso, per chi ha partecipato al congresso e per chi lo ha seguito dall’esterno, è venuta l’ora di mettersi al lavoro, di lasciare da parte polemiche, campanilismi e gelosie. Di guardare avanti.
Il futuro sarà di chi dimostra la capacità di buttarsi dietro le spalle le beghe marginali e di guardare avanti creando ampie intese sugli ideali comuni alla stragrande maggioranza degli ebrei italiani. Sulle spalle del nuovo presidente e del Consiglio graveranno responsabilità enormi. Là dove le speranze sono in crescita, aumenta anche il rischio di commettere errori, ingenuità, di deludere. Un rischio che gli ebrei italiani oggi meno che mai possono permettersi il lusso di correre. Non si tratta solo di riuscire nei propri intenti, di realizzare i programmi su cui ci si è impegnati, ma anche di non tradire la speranza, di non chiudere la porta del nuovo che può portare gli ebrei italiani verso un futuro più ricco di occasioni e di spunti di riflessione, un futuro che continuerà a vederci come una piccola, ma irrinunciabile minoranza nella vita italiana.

Perché noi vogliamo essere antichi e nuovi, fermi e dinamici, fedeli e innovatori. Vogliamo essere ebrei a parte intera, europei a parte intera, cittadini a parte intera. Lo facciamo per rendere omaggio alla nostra vocazione e alla nostra storia, lo facciamo per servire il nostro destino straordinario. Lo facciamo per noi e per i nostri avi, che ci hanno lasciato in eredità un patrimonio immenso e tanto difficile da amministrare di idee e di speranze. Ma facendolo dobbiamo essere consapevoli che tutte le componenti sane della società circostante ci attendono a un’appuntamento, ci osservano e si aspettano il nostro contributo.
Il congresso ha segnato che questo appuntamento, con noi stessi, con il nostro domani e con chi ci vive accanto, non è più eludibile. Che è venuta l’ora, per quanto pochi siamo e nonostante tutti i difetti che ci indeboliscono, di rimetterci in marcia. Di andare incontro al futuro che ci attende.