Chayim – Sentieri ebraici ad Ancona

Italia

Si è inaugurato il 23 settembre il primo itinerario del Museo Diffuso di Ancona: “ Chayim, sentieri ebraici”. L’evento è stato preceduto il 20 settembre da un convegno al Ridotto delle Muse.

Il programma delle iniziative promosse dal Comune di Ancona è finalizzato a presentare i primi risultati del progetto Museo Diffuso di Ancona. Un progetto strategico per il sistema culturale urbano che nasce e si sviluppa a partire dal Museo della Città, fulcro del Museo Diffuso e polo di riferimento di itinerari tematici concepiti come veri e propri sentieri di scoperta e conoscenza della storia di Ancona.
Il progetto ha portato alla creazione di un primo nucleo del network culturale urbano – con la messa in rete del Centro di Documentazione Storico Comunale (presso la Mole Vanvitelliana) e dell’area del Campo degli ebrei al Cardeto – e alla realizzazione del primo percorso “in esterno” del Museo della Città dedicato alla storia e ai luoghi della presenza ebraica in Ancona: “Chayim”.

Il primo itinerario del Museo Diffuso urbano

Chayim – la cui radice ebraica “chai”, “vivere”, ci ricorda la vita – è la prima sezione in esterno del Museo della Città che, attraverso il tema dell’ebraismo, restituisce alla cittadinanza una parte importante della sua memoria storica valorizzando uno straordinario patrimonio di tradizione, arte e cultura.
Chayim è un sentiero museale – reale e virtuale – che annoda fatti, personaggi e testimonianze ai diversi luoghi della vita civile e religiosa della Comunità ebraica locale e che mette in luce la sua importanza sociale e culturale e la forte influenza che essa ha esercitato nei secoli sulla vita di Ancona.
Il percorso si snoda tra il Campo degli ebrei, il ghetto e le sinagoghe: luoghi notevoli, intrisi di una storia e portatori di una memoria testimoniata non solo dai tanti reperti e documenti conservati nei musei, nelle biblioteche e negli archivi, ma anche dal racconto vivo di una Comunità presente ad Ancona fin dal X secolo, sopravvissuta a ghettizzazioni e tentativi di soppressione.
Attraversando l’antico cimitero al Cardeto, il visitatore può comprendere il significato attribuito alla sepoltura e alla morte da una millenaria tradizione religiosa che considera il cimitero Bel Hachaim, “casa della vita” o “casa dei viventi”. Ciò a sottolineare che il defunto è considerato un vivente tra i viventi e la morte non è un evento drammatico, ma il ricongiungimento dello spirito a quello dei padri. All’interno del Campo si possono osservare le geometrie, gli stili, le decorazioni delle tantissime lapidi in pietra d’Istria che sono disseminate lungo il pendio verde dei Cappuccini, o ancora si possono interpretare le scritte che affiorano o si scavano nella pietra, leggendo nomi e dediche che richiamano voci lontane nel tempo, dal ‘500 sino a metà dell’800.
Il percorso prosegue entrando nelle due sinagoghe di via Astagno, l’una di rito italiano e l’altra di rito levantino, per comprendere le ragioni dell’articolazione e le funzioni degli spazi, il valore degli arredi e degli oggetti liturgici, i significati dei simboli, le tradizioni e gli usi di un luogo spirituale e di vita che ha anche un valore di quotidianità.
All’interno della Biblioteca civica Benincasa si possono rintracciare i numerosi contratti matrimoniali – le preziose ketubbot – ed altri atti notarili riguardanti la Comunità anconetana, mentre nella Pinacoteca civica Podesti due notevoli dipinti, La Circoncisione del Gentileschi (1563 c.-1638 o 46) e la Dormitio Virginis di Olivuccio da Ciccarello (XV sec.), ci sono testimoni dei riti della cultura ebraica.
La raccolta di immagini, cartografie e fotografie del Centro di Documentazione Storico Comunale consente di rileggere l’evoluzione dello spazio cimiteriale e dell’antico ghetto. Si scopre così che l’area delle sepolture giudaiche compare nella carta del Fontana del 1569 e che alla metà dell’800 il Grassellini aveva evidenziato sullo stesso colle quattro aree di sepoltura diverse: ebraica, cattolica, ortodossa, protestante. Nel dipinto settecentesco del De Giardinis si possono vedere i diversi portoni che di sera chiudevano l’antico ghetto e leggere la sua estensione ed evoluzione nei disegni urbanistici che hanno portato al suo sventramento nella prima metà del ‘900, durante il Ventennio fascista.
Il risultato è un ingente patrimonio di conoscenze, informazioni e notizie relativi alla storia della presenza ebraica in Ancona che, affiancato da un ricco corredo iconografico e fotografico, è stato organizzato tematicamente e cronologicamente, trattando sempre in parallelo le principali vicende della città.
Non solo la storia e i luoghi, quindi, ma altresì i riti, gli usi e le tradizioni, raccontati anche attraverso contributi audiovisivi d’archivio, questi ultimi messi a disposizione dall’Istituto Luce e dai RAI Teche.
Tutto questa eterogenea documentazione è stata quindi organizzata all’interno di un sistema di consultazione multimediale di facile accesso e navigabilità, utilizzando la rete informatica come veicolo principale dei flussi di conoscenza.
Attualmente sono previsti tre terminali di accoglienza, connessi alla rete, con diversi livelli e modalità di fruizione: all’interno del Deposito Militare (Campo degli Ebrei/Parco del Cardeto) è disponibile una postazione multimediale interattiva ed è possibile assistere alla proiezione di un audiovisivo che comunica, in un breve lasso di tempo, la storia del luogo, i significati e i valori di cui esso è portatore; nel Centro di Documentazione di Storia Urbana, all’interno del Lazzaretto vanvitelliano, altre due postazioni consentono al visitatore di approfondire i contenuti dell’itinerario ebraico e di accedere alla banca dati del sistema catalografico.
Per la realizzazione dei contenuti multimediali è stata svolta un’approfondita azione di ricerca grazie ai contributi scientifici di Viviana Bonazzoli (professore Associato di Storia Economica all’Università degli Studi di Urbino) per la parte relativa alla storia e ai luoghi della presenza ebraica in Ancona, e di Mauro Perani (professore Ordinario di Ebraismo dell’Università degli Studi di Bologna) e Roberta Tonnarelli per la parte relativa all’analisi e all’interpretazione del patrimonio lapideo.
Una ricerca che ha restituito alla storia della Comunità ebraica la sua rilevanza sociale e culturale nel complesso sistema di relazioni interne ed esterne alla città.
Un passo in più per l’elaborazione di una “biografia culturale” di Ancona, una città la cui identità deriva dai continui scambi tra culture, ciascuna delle quali ha contribuito, e contribuisce ancor oggi, alla formazione di quella coscienza, religiosa e civile, che è misura del grado di progresso di una civiltà.

LA VALORIZZAZIONE DELLA CULTURA EBRAICA
Per un’Europa che dialoga


La metà del patrimonio artistico del mondo è concentrato in Italia. Il patrimonio artistico ebraico ne rappresenta una parte importante: è infatti composto da una settantina di sinagoghe costruite tra il Medioevo e il XIX secolo, due addirittura risalgono al periodo romano. Una dozzina di musei, sparsi in tutto il territorio, offrono in esposizione oggetti legati al culto e alla vita quotidiana ebraica, arredi, tessuti, libri, documenti, alcuni dei quali di particolare importanza per le loro preziose decorazioni. Si tratta di un patrimonio che sta assumendo un valore sempre maggiore e che il grande pubblico non ebraico sta scoprendo, considerandolo sempre più parte integrante del patrimonio artistico del Paese.
Lo stesso Stato italiano, con legge 175 per il triennio 2002-2005, ha riconosciuto il valore artistico e culturale del patrimonio artistico ebraico, promuovendo restauri e recuperi. Il rinnovo di questa legge per il prossimo triennio è ora in discussione in Commissione parlamentare.
Sinagoghe e siti ebraici sono sparsi in tutta la penisola, con massime concentrazioni nell’Italia centro-settentrionale. Gli ebrei furono infatti espulsi (in gran numero) dall’Italia meridionale e dalla Sicilia nel 1492 e da allora in questa parte d’Italia sono rimaste solo tracce e ricordi sia pure di gran valore artistico e documentario. La Comunità ebraica di Napoli (riformatasi nell’Ottocento) è stata a lungo l’unica comunità con sinagoga funzionante nel sud Italia. Da poco più di un anno, però, si è formato un nuovo gruppo ebraico organizzato a Trani, in Puglia, che ora è diventato sezione della Comunità ebraica di Napoli. A Trani è stata riaperta un’antica sinagoga, Santa Maria Scola Nova, che era stata trasformata in chiesa al momento della cacciata degli ebrei del 1500. Anche in Sicilia stanno rinascendo gruppi ebraici che vogliono riorganizzarsi.
Ancona è parte integrante di questo patrimonio ebraico per l’importanza che la sua Comunità ha rivestito nel corso dei secoli con le sue sinagoghe e il vecchio cimitero del Cardeto che rappresenta un po’ il cuore del progetto “Chayim”. Certamente l’Ancona ebraica che possiamo visitare e ammirare oggi è ben diversa da quella originaria. Anche Ancona, come molte altre città italiane (vedi Roma o Firenze), alla fine dell’Ottocento decise di riorganizzare urbanisticamente il proprio territorio, sventrando i vecchi quartieri all’interno dei quali si trovava anche il quartiere ebraico, il ghetto nel quale gli ebrei erano stati costretti a vivere fin dal 1555. Scomparvero così ad Ancona, come nelle altre città italiane, vecchie case, sinagoghe, monumenti, stradine per lasciare spazio alle nuove arterie, più adatte allo sviluppo economico delle città.

Oggi gli urbanisti farebbero certamente scelte ben diverse di riorganizzazione del territorio urbano. Il progetto “Chayim”, che oggi viene presentato, assume una particolare importanza; è infatti un progetto pilota che utilizza tecnologie innovative ed un articolato sistema informativo-comunicativo. Dunque un progetto innovativo, di alto valore culturale, che la stessa Unione europea ha riconosciuto offrendo un proprio sostegno finanziario per la sua realizzazione.
Ma anche in questo caso il riconoscimento europeo va ben al di là del semplice contributo finanziario, ha un valore politico di prim’ordine. Esiste infatti una rete di rapporti e realizzazioni comuni già in atto tra paesi europei, che lavorano ormai da anni con progetti comuni. Rapporti analoghi esistono anche per la salvaguardia del patrimonio artistico e culturale ebraico. Per l’Italia è l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei) l’organizzazione centrale che rappresenta tutte le comunità italiane e che tiene i rapporti internazionali a nome dell’Italia ebraica. In particolare è la stessa Ucei che da otto anni ha aderito alla Giornata europea della cultura ebraica, organizzata dall’Associazione europea per la preservazione e la valorizzazione della cultura e del patrimonio ebraico (AEPJ), durante la quale vengono aperti in contemporanea in trenta paesi sinagoghe, musei, biblioteche, cimiteri e luoghi con ricordi ebraici, con un pubblico di visitatori che in un giorno arriva a 150 mila persone in tutta Europa (45 mila nella sola Italia).
Nel 2005 fu proprio Ancona la città italiana “capitale” nella quale si svolsero le principali manifestazioni nazionali di quell’edizione della Giornata europea della cultura ebraica. Per l’occasione fu aperto al pubblico per la prima volta l’appena restaurato “Campo degli ebrei”, il vecchio cimitero ebraico di Monte Cardeto. L’AEPJ, con sede a Lussemburgo e che ha come soci fondatori tre organizzazioni, due ebraiche ed una governativa spagnola, sta ora lavorando per la realizzazione di un primo “itinerario ebraico europeo”, che inizialmente toccherà Italia, Francia e Spagna, ma che in prospettiva si estenderà a tutti i paesi dell’Unione Europea. L’idea di creare un itinerario europeo ha trovato l’appoggio del Consiglio d’Europa che nel dicembre 2005 a Strasburgo ha ufficialmente consegnato all’Itinerario europeo del patrimonio ebraico (e cioè ai rappresentanti dell’AEPJ) il diploma dei “Grandi itinerari culturali del Consiglio d’Europa”. Il turista potrà così, per tutto l’anno, girare l’Europa alla scoperta del patrimonio ebraico europeo.

Dalle sinagoghe italiane più note, come quelle di Venezia e Roma ai quartieri ebraici spagnoli, alle sinagoghe in legno della Lituania, passando per i cimiteri alsaziani, al museo ebraico di Praga, inaugurando una politica di “porte aperte” per la diffusione della conoscenza del patrimonio ebraico. Sinagoghe, cimiteri, bagni rituali, ghetti, monumenti, luoghi della memoria ma anche archivi, biblioteche, musei che si dedicano allo studio, alla protezione e alla promozione della vita delle comunità ebraiche europee saranno valorizzati, uniti da un unico filo comune. L’Europa ebraica lavora insieme anche nel campo museale: esiste un’Associazione europea dei musei ebraici che riunisce 30 Paesi, tra i quali l’Italia. Il progetto “Chayim” ha un valore particolare: è un progetto colto, che parla di storia, cultura, usi e costumi, uomini arrivati da lontano (Spagna, Portogallo) e della loro vita. Ma non si limita a raccontarne le vicende come un qualunque libro di storia, utilizza le moderne tecnologie, le usa per diffondere conoscenza.

Annie Sacerdoti, Vicepresidente della Fondazione per i Beni Culturali Ebraici onlus

IL CAMPO DEGLI EBREI DOPO L’INTERVENTO DI RECUPERO

L’antico Campo degli ebrei si trova in un terreno direttamente affacciato sul mare di circa 15.000 mq di superficie, con un dislivello di circa 10 metri tra la parte più alta e quella più bassa. La vegetazione è bassa e rada, ad eccezione di un boschetto di faggi.
Verso la città e verso le vecchie caserme ci sono ancora i resti del muro di cinta costruito nell’Ottocento, all’epoca del negoziato con i militari. A monte il cimitero confina col bastione cinquecentesco, detto Baluardo dei Cappuccini.
Le tombe sono più o meno regolarmente distribuite lungo la superficie inclinata, le più antiche si trovano nell’area a monte, sotto il Baluardo dei Cappuccini.
Complessivamente sono state ritrovate circa 1058 tra lapidi e cippi. Di queste solo 735 si trovano ancora nella loro collocazione originale, all’interno del Campo, sebbene in molti casi spezzate o sradicate dal terreno. Altre sono state ritrovate di recente, quando è cominciato il programma di riqualificazione del Parco, precipitate in riva al mare o lungo il pendio ripidissimo della falesia.
Le lapidi ritrovate coprono quasi l’intero periodo in cui il cimitero è stato in uso. Le più antiche risalgono al XVI secolo, le più recenti agli ultimi anni in cui funzionava, alla metà dell’ottocento.
E’ stato possibile rilevare una specie di ordine cronologico nei differenti tipi di pietre tombali rinvenute. Quelle cinquecentesche sono in genere delle lapidi molto semplici, con iscrizioni in ebraico. Verso il Settecento, mano a mano che la comunità ebraica anconetana cresce (e quindi il suo cimitero diventa più importante), troviamo pietre funerarie più elaborate, a forma di cippi cilindrici, con ampie iscrizioni e decorazioni particolarmente elaborate. Nell’Ottocento compaiono per la prima volta tombe con iscrizioni bilingue, in ebraico e in italiano.
L’intervento promosso dal Comune di Ancona ha consentito la catalogazione scientifica delle stele in ambiente S.I.R.Pa.C. (Sistema Informativo Regionale per il Patrimonio Culturale) con la trascrizione e la traduzione dell’epigrafe di più di 350 stele. La documentazione relativa è stata quindi trasferita nell’archivio digitale del Centro di Documentazione Storico Comunale e resa accessibile, oltre che all’interno del Deposito del Tempo al Cardeto, anche nella banca dati del sistema museale regionale.
L’idea di creare un percorso allestito della musealizzazione nell’Antico Cimitero Ebraico è nata per rendere possibile la comprensione e la comunicazione dei numerosi dati, di notevole interesse, raccolti durante la campagna di catalogazione delle antiche lapidi funerarie e della trascrizione delle epigrafi in esse contenute.
Nelle pedane a cielo aperto, che precedono l’ingresso al Campo, vengono illustrati sia la struttura degli accessi e dei percorsi creati per la fruizione diretta dell’antico Cimitero degli Israeliti, sia i dati specifici riguardanti la consistenza, lo stato di conservazione, la tipologia, la datazione e la trascrizione delle iscrizioni delle lapidi. Superata quest’area esplicativa, il percorso continua all’interno del Campo sulla passerella in legno ai lati della quale sono state ricollocate alcune delle lapidi recuperate dalla battigia, disposte in ordine cronologico ed adagiate sul terreno in modo che sia possibile ammirarle nella loro consistenza attuale, dopo l’intervento di restauro.
Giovanna Salmoni, Studio Salmoni Architetti Associati

LE STELE FUNERARIE: UN ARCHIVIO SU PIETRA

Le tipologie
L’antico cimitero conserva un patrimonio lapideo ricco e di notevole valore documentario: una vera e propria anagrafe su pietra che restituisce alla città parte della sua memoria, testimoniando la secolare presenza e l’importanza della Comunità ebraica di Ancona.
Diverse sono le tipologie delle stele funerarie dell’antico cimitero ebraico. Molte sono a forma quadrangolare, variando dal tipo semplice, con lato superiore arrotondato, al tipo a frontone o a tempietto, in cui sono scolpiti cartigli, nastri, fiori, stemmi o motivi più semplici. Soltanto 4 pietre funerarie presentano la struttura a sarcofago, ossia sono posate orizzontalmente sulla terra che raccoglie le spoglie mortali del defunto. Prevalgono invece i cippi cilindrici, tipologia presente anche in altri cimiteri marchigiani (ad es. a Pesaro e Senigallia) e, seppur in misura minore, in cimiteri di altre regioni. Ad Ancona questa particolare forma risulta attestata a partire dal 1591, anno a cui risale il più antico cippo cilindrico presente nel campo. Ciò fa supporre che verso la fine del Cinquecento si sia passati da una prevalenza di lapidi a stele, ad una prevalenza di tipologia a cilindro. La cosa desta particolare interesse perchè segna per la prima volta la comparsa di una tipologia che diventerà predominante nei secoli successivi. Nei cimiteri ebraici dell’Europa centro-orientale, infatti, lo stile a stele è pressoché esclusivo, quindi, tale presenza ad Ancona dimostra come dal punto di vista tipologico questa predominanza rappresenti una vera e propria rivoluzione stilistica e del gusto. L’origine della preponderanza del cippo cilindrico nel cimitero di Ancona potrebbe essere una derivazione orientale, in particolare turca, dove tale forma è pure ampiamente documentata. Ma, considerando che notevoli nuclei di popolazione ebraica si trasferirono a Costantinopoli e in Turchia in seguito all’espulsione degli ebrei dai domini della Corona di Aragona, avvenuta nel 1492, si potrebbe ipotizzare anche una derivazione sefardita, portata in oriente e di là passata nelle città della costa marchigiana. Queste ultime, infatti, avevano continui traffici con il levante e accoglievano mercanti sefarditi o orientali, compresi diversi marrani.

Le decorazioni
Le numerose e affascinanti decorazioni che adornano le lapidi del Campo anconetano dimostrano la cura delle maestranze lapicide ed una notevole ricerca di eleganza e originalità. Esistono più di venti variazioni sul tema della cornice che racchiude il testo epigrafico, ognuna diversa anche per un solo particolare, mentre tra i motivi decorativi spiccano il giglio e soprattutto un fiore, per lo più a otto, o anche a sedici petali, con due corolle in sovrapposizione alternata. Stilema non riferibile a particolari significati o simbologie, il motivo iconografico del fiore riveste un valore puramente ornamentale, anche se, indubbiamente, dovette essere particolarmente prediletto dai lapicidi e gradito e richiesto dai committenti.

I caratteri stilistici
Come “manoscritti litici”, le lapidi sono per noi fonti di preziose informazioni, ma anche motivo di godimento estetico. Ogni elemento compositivo, infatti, oltre a comunicare un significato, è motivo di decorazione. La scrittura, in particolare, oltre che testo portatore di significato, attraverso particolari apicature e abbellimenti, svolgeva a tutti gli effetti anche la funzione di elemento decorativo; la mise en page dell’epitaffio, ovvero la distribuzione dello spazio scrittorio occupato dalle lettere ebraiche, era curata in ogni minimo dettaglio.
Esaminando la caratterizzazione stilistica delle grafie delle lapidi, sono state rilevate fondamentalmente tre tipologie stilistiche: la scrittura sefardita, maestosa e fluente, dalle linee per lo più arrotondate e tracciate con ampi tratti; la scrittura di tipo italiano pacata e lineare con un’impostazione meno rotondeggiante; la scrittura aškenazita spigolosa e fortemente influenzata dalla scrittura gotica. L’alternarsi del loro uso derivava solo dalla scelta, dallo stile e dal gusto di chi preparava il modello al lapicida e non aveva alcuna relazione con il paese di origine del defunto.
Anche la tecnica incisoria manifesta diverse varianti, che hanno dato origine a risultati stilistici differenti. Una prima tipologia è quella della semplice scultura lineare dei tratti delle lettere ebraiche, mentre più elaborata è quella del cosiddetto “carattere gemmato”, ossia una lettera ebraica i cui tratti verticali e orizzontali sono incisi con tagli obliqui nella materia marmorea, simili agli effetti prodotti dai tagli sulle pietre preziose. Infine, lo stile “traforato” prevede incisioni dei fori tondi nei punti di connessione fra i vari tratti che compongono la lettera ebraica al fine di abbellirla.

Le maestranze lapicide
Un aspetto estremamente curioso ed interessante relativo alle lapidi del Cimitero ebraico di Ancona è il fatto che normalmente i cippi funerari ebraici non erano eseguiti da lapicidi di origine ebrea, ma da artigiani del marmo cristiani esperti nell’incisione delle lettere. I saggi e i rabbini della comunità, infatti, fornivano ai maestri lapicidi i modelli, probabilmente dei cartoni con su scritta l’epigrafe che desideravano fosse incisa sul marmo. Quindi, i lapicidi cristiani copiavano fedelmente, molto probabilmente incidendo, senza capire il senso di una scrittura che di fatto non conoscevano. Da ciò derivano gli errori e le imprecisioni, peraltro non frequenti nelle epigrafi del cimitero di Ancona.

Gli epitaffi
I testi degli epitaffi sono una sorta di anagrafe epigrafica che ci racconta delle relazioni parentali e dei legami sociali esistenti tra persone, famiglie e casati ebrei di un tempo. Il loro esame è molto utile anche per ricostruire la genealogia, i matrimoni e gli spostamenti delle famiglie.
Il contenuto è generalmente standardizzato: si ripetono formule e lode di rito secondo un genere letterario codificato. Ogni epigrafe inizia con l’indicazione della persona cui è dedicato il cippo funerario, informando anche di chi era vedova o moglie, fratello o figlio, e sempre chi ne era il padre. Ciascun nome è seguito da una particolare eulogia, una lode al defunto, che si distingue se si tratta di persona viva o morta, uomo o donna. Lo schema prosegue con un epiteto di lode delle virtù, delle qualità e del merito dell’estinto; si allude al vuoto che la sua dipartita ha lasciato nella comunità e al dolore dei parenti che si trasforma in preghiera e supplica perché il caro estinto possa raggiungere la vita eterna e godere della pace e delle delizie del giardino dell’Eden.
Non di rado l’epitaffio è in rime baciate ad ogni riga o a righe alterne; a volte contiene citazioni da testi biblici, più raramente, liturgici o tratti dalla letteratura rabbinica. La struttura si conclude sempre con l’indicazione precisa e puntuale del giorno, mese e anno in cui è avvenuto il suo passaggio alla vita eterna, aggiungendo anche se ciò è accaduto in concomitanza con qualche festa, all’inizio del giorno santo del Sabato, o in altra occasione.

I cognomi
Lo studio delle lapidi ha riportato in luce i principali cognomi dei componenti della Comunità ebraica di Ancona ed ha contribuito ulteriormente a farci comprendere le sue origini, le vicende storiche e gli aspetti curiosi che da secoli la caratterizzano. Alcuni, come Cohen o Levi, sono cognomi comuni agli ebrei di tutta Europa; altri come Anau o Gallico, sono legati alla prima diaspora dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme (70 e.v.), altri ancora riprendono nomi di città europee soprattutto spagnole, ma anche appartenenti all’impero ottomano e alla stessa regione Marche. L’uso di prendere come proprio cognome quello della città in cui si viveva e che veniva abbandonata, è comune in tutte le regioni d’Italia.