Sgombero dell’insediamento di Amona, “giorno difficile” per Israele

Israele

di Anna Lesnevskaya

amona“È un giorno difficile per il popolo di Israele”. Lo ammette Gilad Erdan, il ministro della Pubblica sicurezza dello Stato di Israele, mentre ad Amona i suoi uomini iniziano lo sgombero della quarantina di famiglie residenti in questo avamposto in Cisgiordania, e le proteste infuriano, in mezzo alle lacrime di chi deve abbandonare le proprie case per rispettare la decisione della Corte Suprema israeliana. Decisione che nel 2014 ha stabilito lo sgombero dell’insediamento riconosciuto illegale perché costruito sulle terre private dei palestinesi, ma che anche, come ha sottolineato Erdan, “ordina la distruzione di una comunità che lo Stato ha aiutato a finanziare e l’evacuazione dei residenti dalle case dove hanno vissuto per vent’anni”.

L’insediamento, che si trova all’est di Ramallah, è stato fondato nel 1995 in cima ad una collina rocciosa che guarda il villaggio palestinese di Silwad. Negli anni successivi Amona è diventata un simbolo della controversa questione degli insediamenti israeliani in Cisgirodania. Nel 2006, un anno dopo il ritiro di Israele da Gaza e lo sgombero dei civili che segnò fortemente il Paese, è stato fatto il primo tentativo di evacuare Amona. Allora la demolizione di nove case era accompagnata da violenti scontri tra la polizia e le migliaia di sostenitori degli abitanti. Più di 200 persone sono rimaste ferite.

Stavolta lo sgombero sembra definitivo. L’applicazione della decisone della Corte Suprema è stata rimandata per due anni dal governo di Benjamin Netanyahu, mentre si cercava un compromesso con i residenti. Alla fine avevano accettato il piano di trasferimento in un’area vicina ad Amona, ma proprio nel giorno in cui è cominciato lo sgombero, la Corte Suprema israeliana ha bloccato questa possibilità dopo ché i palestinesi hanno rivendicato la proprietà dei terreni. Netanyahu quindi ha promesso di creare un nuovo insediamento, che sarebbe il primo su iniziativa governativa in più di 20 anni, per ospitare gli abitanti di Amona.

La Corte ha stabilito come termine ultimo dell’evacuazione l’8 febbraio, ma già il 31 gennaio l’esercito israeliano ha ordinato ai residenti di lasciare l’avamposto nel giro di 48 ore o essere sgomberati. Ultimatum la cui attuazione è iniziata nella mattinata del 1 febbraio. Nella notte centinaia di giovani simpatizzanti degli abitanti dell’insediamento sono penetrati nell’avamposto e hanno contestato le forze dell’ordine, lanciano delle pietre e della candeggina, mentre queste ultime entravano ad Amona.

Il bilancio delle vittime in serata si aggirava intorno ad una ventina di poliziotti e due civili, 13 persone sono state arrestate. Vista l’esperienza del 2006, la polizia indossava delle tute blue e non l’uniforme, non era armata, e in cambio i residenti hanno opposto una resistenza pacifica, barricandosi nelle case e preferendo essere portati via di forza. Una dozzina di famiglie ha lasciato Amona autonomamente. Lo sgombero di Amona è continuato col calare del sole. Anche nove case del vicino insediamento di Ofra devono essere sgomberate.

“I pionieri che sono arrivati sulla montagna, l’hanno fatta fiorire e hanno messo qua le radici”, dice in una testimonianza pubblicata su Ynet Yifat Erlich, che visse i primi sette anni del suo matrimonio in una casa mobile ad Amona e che ha avuto lì tre figli. La sua casa permanente è stata demolita nello sgombero del 2006 dopo di che lei con la famiglia ha lasciato l’insediamento.

“È stato un errore insediare Amona e le parti di Ofra sulle terre registrate come private, anche se nessuno ci viveva, – dice la donna –. Un errore non può essere rimediato con un altro errore ancora più grave. Senza menzionare il fatto che i proprietari dei terreni non sapevano neanche che la terra fosse registrata a nome loro, se non fosse stato per l’organizzazione Yesh Din che si è data la briga di cercarli”. Yesh Din, un’organizzazione israeliana per i diritti umani, ha rappresentato i proprietari palestinesi nel processo che ha portato alla decisione di sgombero.

Il paragone tra Amona sgomberata e una donna violentata avanzato da Bezalel Smotrich, deputato della Knesset del partito “La Casa Ebraica”, ha suscitato molte critiche in Israele, anche se le forze politiche in modo quasi trasversale hanno espresso la loro solidarietà ai residenti dell’insediamento, pur ribadendo l’importanza di osservare la legge e di mantenere le proteste pacifiche.

“Abbiamo perso la battaglia di Amona, ma stiamo vincendo la campagna per la terra di Israele”, ha twittato dopo l’inizio dello sgombero Naftali Bennett, il ministro dell’Istruzione israeliano e leader del partito “La Casa Ebraica” che fa parte della coalizione del premier Benjamin Netanyahu. Il ministro si riferiva alla proposta di legge che è stata accettata da Netanyahu sotto la pressione della “Casa Ebraica” e che vuole legalizzare retroattivamente gli avamposti come Amona. Il voto della Knesset sul controverso provvedimento, contestato dal procuratore generale israeliano, è atteso la settimana prossima.

Alla vigilia dello sgombero il governo ha annunciato anche la costruzione di 3.000 nuove case negli insediamenti della Cisgiordania, in aggiunta alle 2.500 case già autorizzate la settimana scorsa. Decisioni rassicurate dalla svolta sugli insediamenti promessa dal nuovo presidente degli Usa Donald Trump, dopo che il suo predecessore Barack Obama con l’astensione americana ha permesso nel dicembre scorso l’approvazione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu della risoluzione che richiedeva lo stop alle costruzioni in Cisgiordania per “salvaguardare la soluzione dei due Stati”.