Likud e Kadima: il compromesso storico

Israele

di Aldo Baquis

Bibi Netanyahu e Shaul Mofaz REUTERS/Ronen Zvulun

WASHINGTON – Immaginiamo per un momento di essere Barack Obama, nella Casa Bianca, nella primaverile mattinata del 7 maggio. Un consigliere trafelato lo interrompe durante una consultazione urgente.

«Mi scusi Pesidente, ci sono sviluppi politici importanti, drammatici, in Israele. Le elezioni anticipate non si faranno più…».
«Mmmh… Devo trattenere il fiato?».
«Certo che sì! Ora Mofaz entra al governo con Netanyahu…».
«Mofaz ? Chi è mai costui?».
«Da sei settimane è il nuovo leader del partito Kadima…».
«Kadima, Kadima… non è uno dei 15-20 partiti israeliani?».
«Sì, signor Presidente… Era all’opposizione, e ora va al governo con Netanyahu. Ma c’è di peggio…».
«Vediamo di stringere… ho qui al telefono altre conversazioni con Berlino, Parigi, Atene, Kabul e Baghdad… mi sembra che per quanto riguarda Israele sia tutto, o no?».
«Proprio no, signor Presidente. Gerusalemme ha in questo momento la priorità assoluta, perché questo Mofaz-guy entra nella ‘Shminiyà, che di conseguenza ora diventa una ‘Tshiyà !!!!».
«???…».
«‘Shminiyà sta a indicare il forum degli otto ministri principali che decidono tutto in Israele, innanzi tutto l’‘Iranian-job’. Ora gli otto diventano nove (‘Tshiyà). Fino a ieri Mofaz era considerato un ‘freno’ per un eventuale attacco israeliano in Iran. Ma ora che è al governo, vattelapesca, potrebbe mutare idea…».
«Basta così. Entro tre ore voglio sul tavolo un profilo dalla nostra Ambasciata a Tel Aviv su Mofaz, 150 pagine almeno. Dobbiamo sapere tutto di costui: quale asilo-nido ha frequentato, il suo after-shave preferito, cosa beve a colazione, tutto!».

TEL AVIV – Occhi puntati su Israele quindi, mentre le alchimie politiche di Gerusalemme non finiscono di sbigottire e rischiano di aver eclatanti ripercussioni di carattere regionale.
All’inizio di maggio gli israeliani erano persuasi che il premier Benyamin Netanyahu (Likud) fosse determinato ad andare ad elezioni politiche anticipate, possibilmente a settembre, per rendere ancora più stabile la già salda guida politica del Likud. Ma il 7 maggio, al termine di una nottata convulsa, i centristi di Kadima -da tre anni all’opposizione-, hanno annunciato il loro ingresso nel governo Netanyahu. Di conseguenza lo scioglimento anticipato della legislatura è stato annullato. Con la nomina a vice-premier del nuovo leader di Kadima Shaul Mofaz (che ha sostituito Tzipi Livni), le acque politiche si sono placate. Le prossime elezioni si svolgeranno dunque solo nel novembre 2013. Fino ad allora Israele sarà guidato da un governo basato sul sostegno di 94 deputati su 120: un mammuth senza precedenti nella Storia politica del Paese. Concordi nel torcere il naso di fronte al brusco volta-faccia di Mofaz (che ancora di recente aveva definito Netanyahu, scandendo le sillabe, “Un Gran Bugiardo”), ora gli analisti sono divisi nel prevedere se questo governo sarà un bene o un male per il Paese. Cerchiamo di vedere la possibile agenda del “Governo nazionale allargato”.

IRAN – Le figure chiave del nuovo governo sono Netanyahu, il suo ministro della difesa Ehud Barak e Mofaz. Tutti e tre sono cresciuti in unità scelte dell’esercito. Hanno vasta esperienza militare. Trasmettono sulla medesima lunghezza d’onda. Settimane fa Mofaz aveva detto che i progetti nucleari iraniani non hanno ancora raggiunto il punto del non-ritorno e che resta tempo per vedere se le sanzioni internazionali e i colloqui diplomatici riusciranno a fermare la leadership di Teheran. Diversamente da lui, Netanyahu e Barak avvertono un senso di grande urgenza: i prossimi mesi, dicono, saranno critici. Potrebbe rivelarsi fatale, avvertono, attendere le elezioni di novembre in Usa. Una volta entrato nel “Sancta sanctorum” del governo, Mofaz potrebbe allinearsi con Netanyahu e Barak. Guidando ora un governo di 94 deputati, essi sono persuasi di rappresentare la stragrande maggioranza in Israele: quindi si sentono moralmente autorizzati – se davvero si arrivasse al momento della verità – di ordinare un blitz in Iran. In un senso puramente meccanico, il semplice ingresso di Mofaz al governo ha già rimosso un freno.

PALESTINESI – L’ingresso di Kadima sposta considerevolmente al centro un governo il cui asse era finora vicino alle correnti nazionalistiche e religiose. Potrebbe essere uno sviluppo preoccupante, o almeno una complicazione, per i coloni della Cisgiordania. Da parte loro i palestinesi non si fanno troppe illusioni. Mofaz, lo sanno bene, non è la Livni che aveva impegnato il proprio prestigio politico nella ricerca di una intesa con il negoziatore palestinese Abu Ala (Ahmed Qreia). Nella prima conferenza stampa congiunta con Netanyahu, il vicepremier Mofaz ha evocato la necessità che israeliani e palestinesi raggiungano un “compromesso storico”. Ha anche espresso la fiducia che si possano presto disegnare i confini provvisori di uno Stato palestinese: parole che fanno inorridire i palestinesi che sanno che in questa Regione “provvisorio” e “definitivo” sono termini che giocano a rimpiattino.

SERVIZIO MILITARE, SERVIZIO CIVILE – “La distribuzione egualitaria delle incombenze”: in ebraico, Halukat ha-Netel. Questa la formula magica, l’“Apriti Sesamo” che ha spalancato per le schiere dei deputati di Kadima le porte del governo nazionalista di Netanyahu. Si tratta di riparare un’ingiustizia storica che vede da un lato i giovani sionisti fare tre anni di servizio militare obbligatorio, mentre gli ebrei ortodossi e la minoranza araba ne vengono esentati. Ora Mofaz guiderà una commissione di esperti che entro agosto rediga una nuova legge in base alla quale tutti i giovani nati in Israele daranno un contributo al Paese in cui vivono: se non in divisa, almeno in un servizio civile di pubblica utilità. Ad esempio negli ospedali, nelle guardie forestali, fra i vigili del fuoco.
Nella coalizione di governo si trovano due partiti ortodossi: Shas e il Fronte della Torah. Di fronte al tentativo di reclutare in massa gli studenti dei collegi rabbinici (anche per un servizio civile) quest’ultimo partito potrebbe passare alla opposizione ed ingaggiare una lotta tenace ed ideologica. “Siamo pronti ad intasare le carceri di Israele”, avvertono i suoi leader. Anche i partiti arabi esprimono contrarietà: “Prima ci venga assicurata una piena eguaglianza di diritti – obiettano – poi si parlerà di eguaglianza di incombenze”.
Questa riforma (se accompagnata da adeguati investimenti statali) potrebbe preludere all’ingresso massiccio nel mercato del lavoro di ebrei ortodossi ed arabi: due settori sociali afflitti da alti tassi di povertà, anche per il basso livello di occupazione.

RIFORMA ISTITUZIONALE – Un’altra priorità del Governo allargato di unità nazionale è la adozione entro un anno di una profonda riforma istituzionale che garantisca ai futuri premier di governare indisturbati per la intera legislatura (quattro anni) senza essere continuamente tenuti in ostaggio da liste parlamentari ridotte, ma capaci in ogni momento di affondare la coalizione di governo.
In che direzione procedere, non è ancora chiaro. Una ipotesi è accrescere la percentuale minima di voti per accedere alla Knesset, per ridurre il numero delle liste. Viene anche considerato un “premio” da assegnarsi al partito di maggioranza relativa, per facilitargli la composizione della formazione di nuove coalizioni.

FINANZIARIA 2013/14 – Una ulteriore priorità del nuovo governo è il varo di una finanziaria per gli anni 2013-14 che da un lato tenga conto delle istanze di giustizia popolare emerse la scorsa estate con la protesta degli “indignados” israeliani, ma che rifletta anche la crisi internazionale dei mercati. Essa ha relativamente risparmiato Israele, ma sta incidendo in maniera sensibile sulle esportazioni verso Europa e Stati Uniti.

LA “BORSa” DEI PARTITI – Considerato ormai sul viale del declino, Kadima – entrando al governo – ha guadagnato un anno di vita ma ha perso una dose sensibile di “appeal” sul pubblico. Non è escluso che alle prossime elezioni diversi deputati di Kadima possano decidere di tornare al loro partito di origine: il Likud. Lo stesso potrebbero fare i centristi di Atzmaut. Una prospettiva che forse non dispiace a Netanyahu, dopo aver constatato che nel Comitato centrale del Likud si sono insediati numerosi esponenti dei coloni. L’influsso di forze centriste servirebbe a diluire così nel Likud il peso degli infiltrati religiosi e ultra-nazionalisti. Tutto ciò apre spazi al giornalista Yair Lapid, che è alla guida di un nuovo partito centrista laico (Yesh Atid, c’è un futuro), ancora in fase di organizzazione, e alla leader laburista, Shelly Yehimovic.

SFIDE – Iran; processo di pace; economia; riforma del reclutamento; riforma istituzionale; riorganizzazione della politica interna: queste le materie su cui sarà esaminato il Governo allargato di unità nazionale. “Se farà bene in almeno una di esse – ha scritto un opinionista su Maariv – ammetteremo allora che l’espediente di Mofaz è valso la pena”.