di Marina Gersony
Il segreto? Resilienza e comunità. Se c’è una cosa che gli israeliani sanno fare bene, è adattarsi e non perdere mai la speranza. Vivere in un contesto complesso ha sviluppato in loro una capacità unica di affrontare le difficoltà. E non solo sopravvivere, ma trovare momenti di gioia anche nei periodi peggiori. Non è un caso che Israele sia al quinto posto al mondo per supporto sociale. Qui, se hai un problema, non sei mai davvero solo. Dopo ogni crisi, la solidarietà cresce.
Israele è uno dei Paesi più felici del pianeta. Da non credere, vero? Eppure, nonostante il conflitto in corso, le tensioni politiche, un contesto geopolitico complicato e le tragedie che hanno colpito le famiglie, gli israeliani sorridono decisamente più di tanti europei e americani. Tanto da classificarsi come ottava nazione più felice nel sondaggio globale, in netta controtendenza rispetto agli Stati Uniti che sono al 24° posto. Ma com’è possibile che un Paese costantemente sotto pressione riesca a essere così in alto nella classifica? Come si misura la felicità? Le risposte sono meno ovvie di quanto sembra.
Il World Happiness Report 2025, che ogni anno misura il benessere delle nazioni, non si basa su semplici interviste a persone di buon umore. Il livello di felicità viene calcolato tenendo conto di sei fattori: reddito (più soldi, più serenità… almeno fino a un certo punto); salute e aspettativa di vita; supporto sociale e fiducia (avere qualcuno su cui contare); libertà personale; assenza di corruzione; generosità (sì, aiutare gli altri rendere più felici).
Ora, osservando questi parametri, è chiaro che Israele ha qualcosa di speciale. Il 2022, prima dell’attacco di Hamas, è stato l’anno migliore per Israele, classificandosi al secondo posto. Nel 2023 era al 21° posto (un calo drammatico dovuto alla controversia interna derivante dalla riforma giudiziaria promossa dall’attuale governo israeliano, alla guerra scatenata da Hamas e alle dimensioni assunte dal conflitto armato); nel 2024 è salito al 7°, nel 2025 è previsto all’8°. Un’ascesa notevole, soprattutto considerando le sfide che il Paese affronta.
Ma cosa c’è dietro questa felicità? Il segreto? Resilienza e comunità. Se c’è una cosa che gli israeliani sanno fare bene, è adattarsi e non perdere mai la speranza. Definiti come noto “sabras” o fichi d’india, nessun altra espressione riflette il carattere tipico degli israeliani nati in Eretz Israel: possono sembrare diretti, schietti e talvolta bruschi, ma sono anche calorosi, leali e generosi.
Vivere in un contesto complesso ha sviluppato in loro una capacità unica di affrontare le difficoltà. E non solo sopravvivere, ma trovare momenti di gioia anche nei periodi peggiori. Non è un caso che Israele sia al quinto posto al mondo per supporto sociale. Qui, se hai un problema, non sei mai davvero solo. Dopo ogni crisi, la solidarietà cresce: le persone si aiutano tra loro, il volontariato aumenta, le donazioni fioccano. C’è un senso di appartenenza che in molti altri Paesi si è perso. Lo si è visto dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023, con migliaia di persone in fila per donare il sangue o volontari che preparavano pasti per i soldati, pacchi per gli sfollati o andavano a lavorare nei kibbutzim colpiti.
Secondo uno studio dell’Università di Tel Aviv, nei momenti difficili l’empatia sociale in Israele sale alle stelle. Come hanno sottolineato in modi diversi numerosi pensatori e filosofi, le difficoltà comuni rafforzano i legami all’interno della comunità, favorendo la solidarietà e il benessere collettivo, dove famiglia e tradizione rappresentano i veri pilastri di questo equilibrio. Se chiedi a un israeliano qual è la cosa più importante nella sua vita, quasi sempre ti risponderà: la mishpacha, la famiglia. Mentre in molti Paesi occidentali si parla di crisi dei rapporti familiari, in Israele i legami restano forti e profondi. Un modo per ritrovare equilibrio, rafforzare i legami e sentirsi parte di qualcosa di più grande.
Non a caso, secondo il Jerusalem Institute for Policy Research, il 78% degli israeliani considera la famiglia la principale fonte di felicità. Ma la felicità, qui, ha un significato diverso rispetto ad altre parti del mondo. Non è l’assenza di problemi, ma la capacità di affrontarli. Il concetto di Tikun Olam – di “riparare il mondo” – è profondamente radicato nella cultura israeliana. L’idea di fondo è semplice: anche nei momenti più difficili, c’è sempre qualcosa che si può fare per migliorare la propria vita e quella della comunità.
E poi c’è il servizio militare. Anche se può sembrare un’esperienza dura, crea legami fortissimi tra i giovani. «Nel momento in cui sai di poter contare sugli altri, affronti la vita in modo diverso», spiega la sociologa Anat Fanti dell’Università Bar-Ilan.
Felici nonostante tutto, Israele ci insegna che la felicità non è solo una questione di comfort o stabilità. È la forza di un gruppo, il supporto degli amici e della famiglia, la resilienza che nasce dalle difficoltà. In molti Paesi, la felicità è vista come qualcosa da raggiungere individualmente. In Israele, è un’esperienza collettiva.
In termini di libertà, tuttavia, gli israeliani hanno classificato il loro paese all’87° posto su circa 130 paesi studiati, mentre in termini di corruzione è visto solo come il 32° posto più corrotto. In termini di disuguaglianza, ha ottenuto il 15° punteggio più alto, dove un punteggio più alto significa meno disuguaglianza.
(Foto Boris B, Shutterstock)