Iran: Israele dovrà agire da solo

Israele

di Giulio Meotti

È l’anno dell’Iran. O la Repubblica islamica fermerà il suo programma nucleare, oppure Israele lancerà uno strike militare alle sue installazioni atomiche. Si parla di settembre-ottobre come data possibile (lo rivela il quotidiano Maariv), oppure giugno. Oppure la prossima primavera, se Gerusalemme decidesse di attendere l’elezione del nuovo presidente americano e di abdicare a Washington la propria deterrenza. Intanto resta alta la tensione fra Benjamin Netanyahu e la Casa Bianca. È stato scritto che Barack Obama potrebbe persino accettare il nucleare “civile” di Teheran (lo ha rivelato David Ignatius sul Washington Post). Ron Ben Yishai, il giornalista di Yedioth Ahronoth più addentro alla sicurezza d’Israele, giorni fa ha scritto che “è in corso uno strike americano contro quello israeliano in Iran”, basato su informazioni passate alla stampa. Presto gli iraniani avranno portato talmente sotto terra l’arricchimento dell’uranio che sarà impossibile fermarli con un attacco dal cielo. Israele non si accontenta, come Obama e l’Europa, che l’Iran cessi l’arricchimento dell’uranio: vuole che anche quello già arricchito venga trasferito all’estero. Un missile iraniano impiegherebbe dodici minuti per colpire Tel Aviv. E anche se non si realizzasse mai lo scenario peggiore, la minaccia iraniana diverrebbe parte integrante della realtà israeliana: niente più emigrazione e investimenti stranieri, sarebbe “la fine del sionismo” tanto vagheggiata dai nostri intellos (l’intellighentzia radical-chic, ndr). Ma un conto è che un idiota che si fa chiamare “intellettuale” proclami che lo Stato ebraico è un errore da correggere, altra cosa è se a dirlo è un capo di Stato seduto su una pioggia malefica di neutroni, plutonio e uranio e che predica la fine dei tempi. La prospettiva è realistica, immediata, apocalittica. Chi avrebbe mai detto che Osama Bin Laden, quando nel 1998 dichiarava “guerra ai crociati e agli ebrei”, tre anni dopo avrebbe veramente incendiato New York? L’Europa può forse permettersi un patto col diavolo iraniano. Israele e sei milioni di ebrei no. Resta da vedere se l’Occidente, al momento del bisogno, soccorrerà in loro aiuto difendendoli all’Onu e vendendo loro armi e tecnologia adeguate (le famose “bunker busters”). Resta la possibilità che Netanyahu agisca da solo. Documenti inglesi da poco declassificati hanno rivelato che nel 1981 gli Stati Uniti erano all’oscuro dell’operazione israeliana contro il reattore iracheno di Osirak. “Menachem Begin ha perso il controllo”, disse furioso il ministro della Difesa americano Weinberger, riferito al premier israeliano. Quest’ultimo rispose: “Non ci sarà un secondo Olocausto”. L’operazione durò due minuti e costò appena due milioni di dollari. I rischi erano molti, dall’isolamento di Israele alla rabbiosa reazione del mondo arabo (che non ci fu). Ma più alto era il rischio legato al reattore nucleare che Saddam stava perfezionando grazie ai tecnici francesi e italiani. Se Israele non avesse colpito, forse Saddam sarebbe ancora al potere. O forse quel megalomane fanatico e spregiudicato avrebbe lanciato armi chimiche contro lo Stato ebraico, come fece con gli scud nel 1991. C’è qualcuno che oggi dubita ancora che sia stata la cosa giusta da fare, strategicamente e da un punto di vista morale? Potrebbe accadere lo stesso con l’Iran? Tutto dipende se il governo israeliano, a cominciare dal primo ministro, fa sul serio quando evoca l’Olocausto. Esiste la possibilità concreta che gli Stati Uniti e lo Stato ebraico decidano di convivere con un Medioriente iranizzato. In ogni caso, niente sarà più come prima. Intanto, Israele è solo.

Giulio Meotti è giornalista del Foglio dal 2003. È autore di “Non smetteremo di danzare” (Lindau), inchiesta sulle vittime israeliane del terrorismo. Il libro è stato tradotto negli Stati Uniti e in Norvegia. Meotti ha scritto anche per il Wall Street Journal, Commentary, National Review, Arutz Sheva, Jerusalem Post, Fox News, Jüditsche Allgemeine e per Yedioth Ahronoth, primo quotidiano israeliano.