Incredulità e sgomento: voci da Israele

Israele

di Ilaria Myr

Sgomento, shock, incredulità: sono questi i sentimenti che dominano nella società israeliana e in tutto il mondo ebraico della Diaspora in questi giorni dominati dalla violenza. Prima il rapimento e l’uccisione a sangue freddo dei tre ragazzi israeliani; poi, il rapimento e l’uccisione del giovane palestinese vicino a Gerusalemme da parte di alcuni criminali estremisti israeliani. Fatti atroci, che hanno sconvolto la coscienza di molti e che fanno purtroppo pensare che la pace sia non solo sempre più lontana, ma addirittura quasi irraggiungibile se si continuerà da entrambe le parti a utilizzare la violenza.

Basta leggere il bell’articolo della scrittrice israeliana Zeruya Shalev pubblicato sul blog La 27esima Ora di Corriere.it, intitolato “Lettera a mio figlio soldato che vuole andarsene da Israele”, per rendersi conto di quanto prima di tutto i giovani israeliani non vedano alcuna possibilità di tregua. «Non si può andare avanti così, se non fossi un militare me ne andrei subito da Israele! – dice il ragazzo alla madre durante una visita dei genitori alla base militare -. Qui non c’è speranza. Hanno ucciso i tre ragazzi rapiti e ora estremisti della nostra parte li vendicano ammazzando un ragazzo palestinese. Quando capiranno che non importa chi ha cominciato, importa chi smette. E siamo noi a dover smettere!».

Ma nella lettera della Shalev si legge anche tutta l’ansia e l’angoscia di una persona che vede il proprio Paese avvolto in una spirale di contraddizioni. “A volte penso di non essermi mai imbattuta in una contraddizione tanto persistente tra il desiderio dei singoli e le azioni della collettività – scrive la Shalev -. I singoli, come mio figlio, i suoi amici o i miei amici palestinesi, vogliono la pace delle proprie famiglie, e dunque dell’intera regione. Eppure sembra che la collettività riesca a fonderli in un desiderio contrario, fanatico e violento. In ogni generazione si può attribuire la colpa a questo o a quel personaggio ma ecco che i personaggi cambiano, nuovi colpevoli emergono e nulla cambia”.

Ma se una madre come Rachel Fraenkel, che ha appena seppellito il proprio Naftali, riesce a denunciare con forza questo omicidio efferato – «se un ragazzo arabo è stato veramente ammazzato per motivi nazionalisti  è una cosa orribile e scioccante. Non c’è differenza tra sangue e sangue. Non c’è giustificazione, espiazione né perdono per un omicidio» allora, forse c’è speranza. “E se tutti noi, moderati di entrambe le parti, seguissimo l’esempio di questa madre – conclude la scrittrice – e cercassimo di custodire il nostro piccolo campo, di dividerlo con equità e di allontanare coloro che vorrebbero appiccare il fuoco, infonderemmo speranza nel cuore dei nostri figli. Vorrei tanto sapere come poterlo fare”.

Parla di contraddizione, ma soprattutto di contrapposizione Luciano Assin sul suo blog L’Altra Israele nell’articolo ‘Una lunga bollente estate’, in cui dice: “A più di sessant’anni dalla fondazione d’Israele il suo tessuto sociale non è mai stato così vicino ad uno strappo profondo e irreparabile come quello che sta accadendo adesso. Le due componenti della società sono tornate alle più ataviche posizioni conflittuali: noi contro voi. La nostra narrativa (giusta) , la nostra storia e le nostre ragioni contro le vostre (sbagliate). Ogni spazio al compromesso e ridotto ai minimi termini”.

Ma anche qui, non si deve perdere la speranza, anzi: bisogna cercare di contrapporre alla rabbia il dialogo. “A quasi vent’anni dall’omicidio Rabin sta nascendo una nuova “generazione delle candele”, più religiosa ma non per questo meno genuina – spiega Assin -. Gli avvenimenti di questi ultimi giorni sono il loro primo ed impegnativo esame:  trasformare la rabbia, la frustrazione ed il lutto in qualcosa che riesca a coinvolgere il più possibile tutta la società israeliana, e non solo quella ebraica. Andare nella direzione opposta e  cercare la vendetta indiscriminata non solo è politicamente controproducente e nocivo, ma soprattutto e contrario a qualsiasi morale ed etica ebraica”.

Molto interessante anche l’analisi di Fiamma Nirenstein, che in un articolo pubblicato sul Giornale e sul suo blog sottolinea come gli assassini di Mohammed Abu Khdeir non fossero coloni ultraortodossi, come è stato detto fin dall’inizio, ma dei criminali isolati, non appartenenti ad alcun gruppo organizzato. “Si tratta di sei persone di varia età arrestate ieri di cui cinque confermati, forse in parte appartenenti alla stessa famiglia nella zona di Gerusalemme, nè coloni nè religiosi, si dice, ma semplicemente un gruppo di esaltati ignoranti e razzisti, con precedenti criminali – spiega la Nirenstein -. Nessun rabbino né organizzazione cahanista (quella del rabbino Cahane, che fu espulso col suo partito razzista dal parlamento israeliano) sembra aver organizzato la spedizione assassina. Sembrerebbe (ma ancora le notizie sono incerte) che si tratti di un gruppetto autonomo, che quando sono stati ritrovati i tre ragazzi israeliani uccisi, dopo ore di urla “morte agli arabi” in una manifestazione in Piazza Sion, ha deciso di fare la sua disgustosa bravata”.

Si tratta dunque di criminali, certo, ma non di una forza al governo, come è invece Hamas. E mentre il governo israeliano ha subito cercato e individuato i colpevoli, quetso non è stato fatto dall’Autorità palestinese, dato che i colpevoli del rapimento e dell’uccisione dei tre ragazzi sono ancora in libertà. “Ma l’eco di Gaza e quello delle vicende di Gerusalemme si sommano nelle strade in cui i giovani palestinesi gridano “Intifada Intifada”, lanciano pietre e bottiglie molotov – conclude la Nirenstein -. L”impressione della vicenda è così forte da oscurare l’arresto, sempre ieri, del guidatore di taxi arabo Hussein Khalifa, sospettato di un terribile delitto antisraeliano, quello della 19enne Shelly Dadon, colpevole di aver preso due mesi fa il taxi per andare a un colloquio di lavoro. Khalifa l’ha pugnalata a morte”.