Il quinto sottomarino: Israele e la deterrenza nucleare

di Bruno Rossetto

Malgrado la stagnazione del processo di pace, gli accoltellamenti, i boicottaggi, Israele non è mai stato così solido e forte: da un punto di vista strategico, militare, economico. È lecito quindi vedere il bicchiere mezzo pieno? Ha senso coltivare un cauto ottimismo? Forse sì. Un’analisi

 

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E’ una fredda mattina di inizio autunno al porto di Kiel, nel nord della Germania, l’ultima città ad ammainare, nel 1945, la bandiera nazista anche dopo la caduta di Berlino. Qui, da questo luogo simbolico, seguendo una procedura anonima ma consolidata, sta per salpare la RAHAV. Non una nave qualunque, ma un sottomarino classe Dolphin: il suo nome in ebraico, Rahav, significa Nettuno, dio dominatore dei mari. Non è un sottomarino qualunque: scafo amagnetico, propulsione ultrasilenziosa, gioiello (il top) della tecnologia navale tedesca a cui Israele si è rivolta per progettarlo. Può trasportare missili balistici armati con testate nucleari multiple. Il sottomarino RAHAV sta per salpare alla volta di Haifa dove verrà completato ed adattato l’equipaggiamento di bordo. Stiamo parlando dell’ultimo dei 5 sottomarini strategici in dotazione alla Marina Israeliana, quinto tassello e pilastro fondamentale della deterrenza nucleare di Israele, quell’arma-spauracchio che consentirebbe, in una remotissima occorrenza, di sgretolare l’intera civiltà del malcapitato Paese aggressore. Si vis pacem, para bellum. Come dire: “non ci provare ad attaccarmi: con 5 sottomarini nucleari in giro per mari e oceani, non identificabili dai radar, nessuno potrà pensare di farla franca”. Perché la deterrenza nucleare è proprio questo: mostrare i muscoli e non usarli, depotenziare il nemico da fermi, con un assetto di potenza che parla da solo, senza neppure bisogno di minacciare. E 5 sottomarini nucleari sono il numero perfetto e sufficiente, con la loro amplissima gittata, a coprire l’intera superficie del pianeta e raggiungere ogni più remoto luogo.
Una notizia volutamente passata quasi sotto silenzio: i vari e presunti nemici hanno abbozzato a labbra strette e preso atto. C’è anche chi ha sorriso: erano secoli che Israele (l’oppresso e l’indifeso di sempre), non godeva di una tale posizione strategica. Finalmente quindi una notizia buona tra le tante negative che provengono da quell’area? Basta con lamentazioni e annunciazioni catastrofiste? Basta preoccuparsi per Israele, mai così forte come oggi, come sostiene un articolo di Josef Joffe sul sito Tablet Magazine? Forse no, ma almeno un ragionevole ottimismo varrebbe la pena coltivarlo, e vediamo perché.
Partiamo dalla realtà militare: per prima cosa è riconfermato (oggi più di ieri) che Israele ha un esercito superiore in armamenti, tecnologia, addestramento e una capacità di dispiegamento superiore a molti Paesi della Nato. Se, nel 1948, uno dei soldati dotati di un fucile malfunzionante per combattere i tank di 5 eserciti arabi avesse potuto vedere il panorama di oggi, sarebbe trasecolato. Nessuno di quegli eserciti oggi minaccia più i confini di Israele: c’è chi sta scomparendo, come la Sira; chi ha ben altri problemi, come Egitto e Libano; chi opta per un quieto vivere e fa di necessità virtù, come la Giordania. Nel vicino Oriente, terra di fluttuanti convenienze, la Storia sembra correre più velocemente dei vari trattati e accordi internazionali. Con uno sguardo dall’alto, chi l’avrebbe mai detto che paesi come Iraq e Siria non sarebbero più esistiti?, che il conflitto Sciita-Sunnita, da sempre sottotraccia, avrebbe preso le vie di fatto, con la nascita dell’ISIS, e poi la guerra nello Yemen e in Irak… Oggi, vecchi e potenti nemici, con in testa l’Arabia Saudita, rispettano e sopratutto collaborano con Israele, anche se non ufficialmente, ovviamente.
Ma c’è un altro elemento importante: è la crescita economica di Israele, un PIL pro capite che continua a crescere ed è circa 10 volte più di quello di Egitto, Giordania e Siria (prima della guerra civile). Tecnologia, centri di ricerca universitari pubblici e privati, eccellenze nell’innovazione, investitori stranieri (Microsoft e Apple solo per citarne alcuni), Cina e India che hanno appena concluso accordi di partnership commerciale e una collaborazione a lungo termine. Senza dimenticare gli enormi giacimenti di gas che fanno di Israele una potenza energetica nonché un fornitore alternativo di gas. E poi la sfida della tecnologia, sempre più alla portata di tutti, con innumerevoli occasioni di sviluppo anche per aree marginali o depresse, rivoluzione digitale in espansione (incoraggiante l’esempio del Kenya, Paese dove il 63 per cento dei pagamenti avviene con supporto mobile. *). E poi il tema della gestione dell’acqua, da sempre la risorsa aurea per eccellenza, visto il considerevole aumento delle necessità a seguito della crescita demografica nell’area: fino a qualche tempo fa Israele doveva comprare l’acqua da Paesi come la Turchia , ora è in grado di esportarla a sua volta grazie alle nuove tecniche di dissalazione.**
A voler rileggere oggi i discorsi storici dei leader arabi del passato – quelli dal 1948 al 1967 al 1973 -, Israele avrebbe dovuto sparire mille volte dalla carta geografica, così come era già accaduto per Romani, Babilonesi Assiri, Greci, Sacro romano impero, Ottomani, Crociati… Oggi, il World Happiness Report ci dice che Israele è all’11° posto tra i paesi più felici al mondo, davanti a Canada e Usa. Sia chiaro: non è che lo Stato d’Israele non sia immerso fino al collo in problemi (gli accoltellamenti) e limiti macroscopici, in particolare quelli legati alla gestione di una vera democrazia e a quello della capacità di dialogo con il mondo palestinese.
Tuttavia, a dispetto delle apparenze, coltivare un cauto ottimismo non risulta per nulla insensato. Come diceva Emil Fackenheim, non dimentichiamoci mai della 614a mitzvà: “non darla vinta, nessuna vittoria postuma per Hitler e i suoi emuli”. Il sottomarino Rahav è giunto oggi a ricordarcelo.

Fonti: *Atlantic Council Economic Recovery and revitalization; Sherif Kamel, Christofher M. Schroeder; ** New development and strategic resources; *** Csis Center for Strategic and International Studies .