I due leader di Hams e Fatah

Fatah e Hamas, avanti con un’altra riconciliazione

Israele

di Avi Shalom

TEL AVIV – “È la quarta’’. ‘No, penso che sia le terza’’. “A ben vedere, sarebbe semmai la quinta’’. Pareri discordi si sono sentiti a settembre a Gaza con l’annuncio dell’intesa sulla riconciliazione fra al-Fatah e Hamas raggiunta con la mediazione attiva dell’Egitto. Ma oltre lo scontato scetticismo, nelle strade si sono avvertiti anche generali sospiri di sollievo. Negli ultimi mesi infatti la già degradata situazione era divenuta davvero insostenibile. E ciò perché oltre al blocco della Striscia mantenuto da Israele e dall’Egitto si era aggiunto un brutale braccio di ferro interpalestinese imposto a Hamas (al potere a Gaza dal putsch armato del 2007 in poi) da parte del presidente Abu Mazen (nella foto a destra con Isma’il Haniyeh, leader di Hamas).

Una rottura durata anni fra Fatah e Hamas

A 82 anni compiuti il leader dell’Olp, che talvolta viene indicato come di salute cagionevole, si era scoperto battagliero e non aveva esitato a bistrattare i due milioni di abitanti di Gaza, pur di scaraventare Hamas con le spalle al muro. Pensava infatti anche lui (come gia’ Abdel Fatah al-Sisi in Egitto) che quella fosse l’unica lingua comprensibile agli esponenti locali  dei Fratelli musulmani. Ecco così che a partire da marzo l’ira di Abu Mazen si è abbattuta sulla Striscia.

Se fino a quel momento Hamas aveva sperato di poter contare sui finanziamenti governativi dell’Anp per le esigenze correnti della popolazione e di poter utilizzare le risorse proprie a beneficio del proprio braccio armato, dei propri funzionari e dei propri leader, da marzo ha scoperto che Ramallah non stava più al gioco. Funzionari pubblici di Gaza hanno appreso con stupore di essere stati prepensionati. Altri hanno trovato buste-paga striminzite. Era solo l’inizio perché l’Anp avrebbe poi fatto sapere alla compagnia elettrica locale che non avrebbe più onorato la bolletta elettrica della Striscia di Gaza: Israele poteva scegliere se erogare corrente gratis, oppure farsi pagare da Hamas. Con la parziale riduzione della erogazione della corrente da parte di Israele, gli abitanti di Gaza sono tornati indietro di 100 anni: con sole due-tre ore di corrente al giorno, senza frigoferi, senza ascensori, con strade buie la sera da metter paura, dove era possibile girare solo alla luce di candele. Ma non e’ bastato a mettere in ginocchio Hamas. Allora Ramallah ha anche tagliato i finanziamenti agli ospedali, alle medicine. Il collasso del sistema sanitario è stato veloce, accompagnato da drammi umani per chi cercava disperatamente assistenza altrove (in Israele, in Egitto o altrove), ma veniva respinto alla frontiera. ‘’Se volete valichi aperti’’ facevano sapere da Ramallah ‘’occorrera’ che Hamas li restituisca all’Anp’’.

C’è nel mondo politico palestinese un esponente che ad Abu Mazen risulta ancora più indigesto che non Hamas: si tratta di Mohammed Dahlan, ex capo della sicurezza preventiva a Gaza e poi espulso con ignominia da al-Fatah. Da allora Dahlan vive in esilio e ha stretto relazioni con i Paesi degli emirati e con Abu Dhabi. Nei mesi estivi Hamas, in Egitto, ha tastato il terreno per verificare se potesse giocare la ‘carta Dahlan’ nell’intento di utilizzarlo come ‘canale’ di generosi finanziamenti arabi alla Striscia. L’ipotesi potrebbe anche dare frutti, in futuro.

Nuova alleanza, stessi problemi

Ma nell’immediato Hamas – energicamente sospinto dall’Egitto, a cui preme di fare buona impressione su Donald Trump – è giunto alla conclusione che solo una rapida riconciliazione con Abu Mazen poteva salvare la Striscia da un naufragio. In pochi giorni Hamas ha smantellato il proprio esecutivo a Gaza e ha consegnato ai ministri dell’Anp – che erano assenti da Gaza da oltre due anni – le chiavi dei loro uffici. Da adesso i problemi quotidiani degli abitanti saranno di loro competenza.

Terminati i discorsi di circostanza ed i bagni di folla a Gaza del nalremier Hamdallah, sono rimasti irrisolti i nodi di sempre. Il primo è un paradosso: finché Hamas resta votato alla distruzione di Israele, non può essere associato ad iniziative di pace. Se Abu Mazen si presenta al tavolo di trattative senza Hamas, Israele lamenta che rappresenta solo la metà del suo popolo. Ma se giunge con Hamas, Israele replica che va a braccetto con terroristi. Che fare? Con l’intesa attuale egli potrebbe recuperare l’invenzione del ‘’governo di tecnocrati sostenuto dall’esterno’’ dalle varie forze politiche. Oppure andare a colloqui di pace ‘’a nome dell’Olp’’, dove Hamas non è rappresentato. In tutti i casi si tratta di espedienti, su cui sarebbe illusorio fondare solidi accordi di pace.

Il secondo nodo rappresenta il braccio armato di Hamas: oltre 30 mila uomini ben armati e addestrati, capaci di attaccare Israele con piogge di razzi, con infiltrazioni da terra e dal mare. In passato gli Usa sostenevano che la formula dei Due Stati doveva basarsi su uno ‘’Stato palestinese democratico e smilitarizzato’’ al fianco di Israele. Ad ottobre Abu Mazen ha ribadito a più riprese che non tollererà a Gaza ‘’armi illegali’’. I palestinesi, ha insistito, devono disporre di un’unica forza armata. Il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ha replicato con una distinzione fra due tipi di forze armate. Le forze di polizia a Gaza possono anche passare sotto il controllo del ministro degli interni dell’Anp, ossia di Abu Mazen. Ma – ha aggiunto – le Brigate Ezzedin al-Qassam, l’ala militare di Hamas, non saranno mai alle dipendenze di Abu Mazen. Si tratta di una organizzazione che ‘’appartiene all’intero popolo palestinese’’ e che non può essere smantellata ‘’fintanto che non saranno state liberate le nostre terre’’.

Si tratta di una situazione di tipo libanese, con una milizia islamica che rifiuta di sottoporsi al volere delle istituzioni riconosciute internaziolmente. Abu Mazen ha detto: ‘’Non posso accettare una situazione in stile Hezbollah’’. Hamas ha replicato portando in prima fila due esponenti di Ezzedin al-Qassam: Yihia Sinwar a Gaza e Saleh Aruri, tuttora in esilio ma responsabile per la Cisgiordania. Il possibile compromesso: la costituzione di una Forza armata palestinese, in cui confluiscano i miliziani di Hamas. La ipotesi di uno Stato palestinese indipendente e smilitarizzato, in ogni caso, scompare per sempre.

La dura scelta di Israele

Mentre entro questi angusti limiti i palestinesi lavorano alla nuova ‘’riconciliazione’’, Israele deve tornare a scegliere fra la peste ed il colera. Ossia: se sia più minacciosa una Striscia di guidata in esclusiva da Sinwar oppure una Gaza dove – nei limiti del possibile – l’Anp assuma il controllo dei valichi e dell’ordine pubblico nelle strade, costringendo Hamas ad imbrigliare le Brigate al-Qassam. Altre scelte sul tavolo non sembrano essercene: anche se la riconquista militare di Gaza da parte di Tsahal fosse fattibile, nessuno sembra sapere con precisione chi poi potrebbe o saprebbe amministrare i due milioni di palestinesi che vi risiedono.