Viaggio nell’informazione che sarà dopo il Covid: un evento di successo per i 75 anni del Bollettino-Bet Magazine

Eventi

di Nathan Greppi
Il mondo del giornalismo sta attraversando una fase complessa e travagliata, al termine della quale non è ancora dato sapere come cambierà. Questo è stato il tema della videoconferenza Viaggio nell’informazione che è stata e che sarà. Il futuro del giornalismo post Covid-19, organizzata lunedì 22 giugno sulla pagina Facebook e sul canale Youtube di Bet Magazine – Mosaico per celebrare i 75 anni della più antica testata ebraica in Italia.

Interventi istituzionali

L’evento, moderato dal giornalista di Mosaico Paolo Castellano, è iniziato con i saluti e gli interventi dei maggiori esponenti della comunità milanese: il presidente Milo Hasbani ha ringraziato “tutti i componenti della redazione, perché in questo periodo di emergenza ha fatto un lavoro egregio a 360 gradi. Non solo dando le notizie, ma anche dando risalto a ciò che ha fatto la comunità in questi 3 mesi.”

L’Assessore alla Comunicazione Daniele Misrachi ha ricordato che “esattamente 75 anni fa, venerdì 22 giugno 1945, il Bollettino della Comunità Israelitica vedeva la luce. Ciò avveniva a 5 mesi dalla liberazione di Auschwitz e a meno di 2 mesi dalla liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Il Bollettino, che dal 2015 si chiama Bet Magazine, e che dal 2003 è affiancato anche dal sito Mosaico, è cresciuto moltissimo, raccontando 75 anni di storia milanese, italiana e mondiale.” Anche l’Assessore alla Cultura, Gadi Schoenheit, è intervenuto parlando di un episodio particolare: “Quand’ero bambino, nei primi anni ’60, e arrivavano i bambini ebrei dall’Egitto, Libia e altri paesi, li percepivamo come lontani. Proprio all’epoca il Bollettino ci parlò delle loro tradizioni per farci interagire con loro.”

Il rabbino capo di Milano, Rav Alfonso Arbib, ha spiegato che “la storia ebraica comincia quando Avraham ha 75 anni, quando Dio gli dice di lasciare la propria terra. Auguro al Bollettino che anche i suoi 75 anni siano un nuovo inizio,” ricordando che fare informazione ebraica non è affatto semplice.

Dell’informazione ha parlato la direttrice del Bollettino, Fiona Diwan, che ha raccontato l’epopea della rivista, “quando tornano gli ebrei a Milano e arrivano i profughi dai campi di sterminio. 2 signori, Raffaele Cantoni e Gualtiero Morpurgo, decidono di creare un giornale che sia un ponte di vita e un messaggio di speranza per chi non trova nessuno. Serviva per far rinascere un mondo ebraico ferito e in ginocchio.” Ha aggiunto che come diceva Rav Arbib “fare giornalismo ebraico non è facile, ma se mi devo chiedere cosa vuol dire farlo dico che è un sismografo di ciò che succede intorno a noi: quello che succede agli ebrei 5 minuti dopo succede anche al mondo esterno.” Ha ricordato nel corso dell’evento che dall’Unità d’Italia alle Leggi Razziali del ’38 sono esistite 200 testate ebraiche in Italia.

Gli ospiti d’onore: Molinari, Rocca, Sofri, Fontana, Tramelli

In seguito sono intervenuti vari ospiti importanti, giornalisti di successo che hanno esposto la loro opinione sul futuro di questo mestiere: Maurizio Molinari, direttore de La Repubblica, ha spiegato che “l’informazione è il sale della vita ebraica, perché da sempre gli ebrei si scambiano informazioni attraverso città, paesi e continenti. Queste informazioni si spostano in genere tramite canali informali, e dalla fine dell’800 hanno utilizzato le pubblicazioni prima di carta, poi radiofoniche e, più di recente, dominano siti e social. In Italia vi è una tradizione vivace: dopo l’abbattimento dei ghetti, i fogli di carta stampata erano una grande palestra di confronto intellettuale, in particolare a Torino, Firenze e Trieste, che incarnavano identità ebraiche diverse.”

Ha aggiunto che dopo la Seconda Guerra Mondiale “si ripropone questa vivacità nel mondo ebraico, con pubblicazioni come il Bollettino di Milano e Shalom a Roma. Ma non c’è più il confronto tra città come dopo la fine dei ghetti, ma c’è il racconto della ricostruzione post-bellica.” Di tutto questo, oggi, cosa resta? “Sicuramente il Bollettino ha il merito di essere riuscito ad arrivare fino a noi interpretando le trasformazioni della comunicazione, ma la maggiore novità è la dimensione social: in ogni comunità ci sono gruppi social che interpretano le diverse posizioni,” e che secondo lui hanno sostituito gli scontri ideologici tra le varie riviste. Ma oggi “il confronto riguarda meno le grandi idee e più i piccoli fatti di cronaca.”

Dopo di lui sono intervenuti Christian Rocca e Luca Sofri, rispettivamente direttore de Linkiesta e Il Post. Parlando dell’affidabilità dei giornali, Sofri ha raccontato che per la pandemia “nel momento in cui dare le notizie in un certo modo era questione di vita o di morte, fare le cose in un certo modo ci ha premiato. C’è stata una cospicua domanda di chiarezza e spiegazioni di cose che non si capivano.” Ha spiegato che al Post si cerca di dare meno spazio alla cronaca veloce e più all’approfondimento. Sulle fake news ha detto che “l’inaccuratezza nel giornalismo è sempre esistita, internet ha portato solo una maggiore di potenza di fuoco alle notizie, anche quelle false. Con internet però è più facile verificare se una notizia è vera o falsa.”

Parlando del nuovo ecosistema digitale, Rocca ha spiegato che “è come se il virus avesse eliminato le ultime sacche di resistenza analogica, cancellando le attività non digitali come la scuola e il cinema come luogo di aggregazione.” Ha detto che “non vedo un grande cambiamento nel modo di fare informazione. L’aspetto positivo è che i giornalisti danno il meglio di sé quando succede qualcosa di grosso, e questa pandemia ha certamente dato vigore a chi fa informazione, che è stata leggermente migliore rispetto al passato.” Ha aggiunto che “con i clic un’impresa giornalistica non si può mantenere, dovresti farne milioni al giorno.” Ha fatto l’esempio di Alex Zanardi, sul cui recente incidente sono circolati numerosi articoli scritti male, anche su grandi giornali.

Anche Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera, è intervenuto spiegando che durante la pandemia la sua priorità è stata “difronte a qualcosa di sconosciuto e nella mole di informazioni disponibili, cercare di dare le informazioni esatte. Questo ha comportato una notevole difficoltà, anche perché le redazioni si sono svuotate per le misure di sicurezza. Nella prima fase si pensava che fosse solo allarmismo, e se mi devo fare un rimprovero è di non aver dato all’inizio la percezione esatta di quanto fosse grave la crisi.” Sulla sostenibilità economica del giornalismo, ha detto che “il sistema messo in atto dal Corriere di essere disponibile anche su cellulare e tablet ha permesso di offrire ai nostri lettori una versione abbastanza aggiornata dei fatti.”

L’ultimo degli ospiti a parlare è stato Filippo Tramelli, responsabile formazione di Primopiano: “Quello delle fake news è un problema di conoscenza e di verità, non sappiamo più dove sia la verità. Una persona ignorante non è libera, e molte dicono sempre che hanno letto su Facebook senza aver verificato la fonte.” A tal proposito ha suggerito di “contare fino a 10 prima di postare.”

Il Bollettino nella storia

L’evento si è concluso con l’intervento del precedente direttore del Bollettino, Annie Sacerdoti, al timone del giornale per 20 anni, che ha raccontato di averlo diretto “in un’era pre-social: il Bollettino che ho diretto era molto centrato sulla Comunità e di colloquio con i lettori. Sono stati gli anni in cui arrivavano a Milano ebrei da altri paesi, che dovevano inserirsi in questa comunità e trovarvi un luogo d’incontro. Non c’era un’informazione immediata com’era adesso.” Ha spiegato che negli anni ’80 veniva impaginato con forbici e colla, “era un altro mondo, che si è evoluto poco alla volta.” Già allora molti giovani sono passati dalla redazione, e “alcuni sono diventati giornalisti veri, che oggi scrivono su quotidiani nazionali.”

Infine Laura Brazzo, ricercatrice del Cdec ha illustrato il progetto di digitalizzazione del Bollettino dal 1948 al 1953: “Essere responsabile dell’archivio vuol dire conservare adeguatamente le fonti che gli storici utilizzano per raccontare la storia,” ha spiegato. “Anche il CDEC ha voluto dare il suo contributo per i 75 anni del Bollettino, pubblicandone le prime 7 annate. Il nostro obiettivo è trovare altre risorse e mettere a disposizione di tutti il Bollettino fin dalla sue origini.”