Rientro a scuola, criticità e opportunità: l’interessante dibattito organizzato dalla Fondazione Scuola con Il Sole 24 Ore

Eventi

di Ilaria Myr
Un incontro online per affrontare lo scenario del prossimo anno scolastico, e delineare i possibili scenari logistici e riflettere sul reinserimento degli alunni e sulla “fase 2” delle scuole; questo era l’obiettivo del webinar organizzato dalla Fondazione Scuola Ebraica in collaborazione con il Sole 24 ore mercoledì 13 maggio, trasmesso sulle pagine Facebook di entrambi, e sul sito del Gruppo Editoriale. (Iil video è ora disponibile sul sito della Fondazione Scuola)

Un’iniziativa importante e a oggi unica nel suo genere che ha visto confrontarsi, in un’ottica multidisciplinare esperti di didattica, medici e psicologi, moderati da Pierangelo Soldavini del Sole 24 Ore, che hanno illustrato, ognuno dal proprio punto di vista, le criticità legate al rientro a scuola.

La scuola riaprirà a settembre?

Dopo un saluto di Marco Grego, presidente della Fondazione Scuola Ebraica, si è entrati direttamente nelle questioni.

“Non so se le scuole riapriranno a settembre – ha esordito Roger Abravanel, Socio fondatore della Fondazione Scuola, Director Emeritus Mckinsey, saggista e autore di La ricreazione è finita, scegliere la scuola, trovare lavoro,  rispondendo alla domanda del moderatore. Per riaprire le scuole è importante ripartire in massima sicurezza. In più si hanno da un lato l’istituto di Sanità, che mette giustamente l’accento sui rischi, e dall’altro i docenti, che non sono incentivati economicamente. Una possibilità sarebbe dare loro un aumento di stipendio del 10-15%, che equivarrebbe a 2-3 miliardi di euro, somma contenuta se si para di scuola”.
Manca, secondo Abravanel, in Italia, la cultura del rischio: si sarebbe potuto riaprire un piccolo paese in cui non ci sono contagi. “In Italia ci sono vestali della didattica tradizionale che escludono l’online, che sarà fondamentale anche per il dopo Covid. Non c’è, poi, una definizione accettabile da proporre alle scuole di come devono essere configurate le classi.  Infine, manca la politica che decide. C’è bisogno di un ministero che faccia un piano preciso e che poi lo negozi con i sindacati, l’Iss, e in questo momento non c’è”.

I rischi sanitari della riapertura

“La visione scientifica del problema mal si concilia con la visione economica e didattica del problema, e bisogna quindi trovare un compromesso – ha dichiarato Raffaele Bruno, Professore di Malattie Infettive – Università di Pavia e Direttore UOC Malattie Infettive – Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo Pavia -. C’è quindi bisogno della politica che si prenda dei rischi. Quando si prendono delle decisioni, non  c’è rischio zero. Si può prendere un rischio alto, non facendo niente per tutelare la salute. Si possono prendere invece alcune accortezze (rischio medio) come ad esempio il triage all’ingresso e la misurazione della febbre. Oppure decidere di creare il distanziamento sociale, magari con classi alterne o separati fisicamente. Una variabile però è l’età: non ci sono grandi problemi per i bambini dai 0 ai 12 anni, mentre dai 15 il quadro cambia. Dovremo quindi tenere conto di questi aspetti”.

L’impatto psicologico sui ragazzi

“Chi avrà più sofferto di questa situazione a mio avviso saranno i bambini fra i 6 e i 10 anni – afferma Matteo Lancini, Psicologo e psicoterapeuta, docente presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca e Presidente della Fondazione “Minotauro” -. Mi auguro però che sugli adolescenti la scuola possa lavorare nel futuro, tenendo conto di tre aspetti: gli adolescenti odierni sono diversissimi dal passato e averli responsabilizzati ha dimostrato che non sono stati incoscienti. La scuola deve approfittare di questa situazione per portare avanti alcune linee sulla relazione, con temi educativi che puntano sulla responsabilità. Secondo aspetto: bisogna immaginarsi modelli di valutazione relazionali, riconoscere il merito, non solo il voto. E poi internet: mai come oggi si è dimostrato quanto la scuola debba essere un luogo di educazione alla saggezza digitale. La parità digitale però ancora non esiste. Il mio sogno è vedere la maturità online, con valutazioni in cui tutte le scuole siano collegate e si educhino i ragazzi al digitale e con prove in cui c’è l’accesso alla rete. Si deve cogliere l’occasione di identificarsi di più sul futuro dei ragazzi e sul ruolo che avrà internet nella loro vita. Se riusciremo a farlo, questa vicenda potrà essere un’occasione di crescita per futuro dei nostri figli”.

Come esce la scuola da questo periodo?

Una visione critica sulla situazione della scuola oggi è quella di Chiara Saraceno, Sociologa e honorary fellow al Collegio Carlo Alberto di Torino. “Non sono d’accordo che si sia capita la centralità della scuola, ma anzi è stata molto trascurata. La commissione per ripartire è stata messa 10 giorni fa, non si è affatto riflettuto da parte del ministero sui disastri per i molti che non hanno accesso e che sono spariti dalla didattica. La didattica online è meravigliosa se fatta bene ma respingente se non si hanno le competenze. E poi non si sta pensando cosa fare da oggi a settembre. Cosa succede a questi ragazzi abbandonati da oggi ad allora? Come si recupereranno la perdita di fiducia in se stessi e la capacità relazionale? Le famiglie sono molto più consapevoli di quanto non lo siano insegnanti, alcuni meravigliosi, ma anche altri tremendi. Se non si cambia qualcosa anche nel modo di pensare la scuola forse si riaprirà con il distanziamento e i turni, ma non con nuovo pensiero di come deve avvenire la didattica, che significa anche pensare a una diversa organizzazione del tempo scuola e dello spazio. Ad esempio, portare dei gruppi di classe in altri luoghi dove fare didattica di tipo diverso, in musei o parchi. La scuola pubblica non ha capito cosa stava succedendo, e molti ragazzi sono stati lasciati a loro stessi”.

Il punto di vista dei dirigenti scolastici

“Ci sono due esigenze contrastanti, tra cui bisogna trovare un punto di equilibrio – ha spiegato Antonello Giannelli, Presidente ANP (Associazione Nazionale Dirigenti Pubblici e Alte Professionalità della Scuola) -. La scuola deve ripartire, ma non si deve incrementare il numero delle vittime. Non sappiamo se ci saranno focolai a settembre, ma penso che finché non avremo il vaccino dovremo convivere con il virus, sapere che in qualunque momento il virus può tornare a farsi sentire ed essere pronti a tornare in lockdown allo scopo di salvare vite. Quindi dobbiamo potenziare la didattica a distanza, sia dal punto di vista strutturale, con collegamenti web, antenne, infrastrutture, sia dotare di device le famiglie meno abbienti e soprattutto formare gli insegnanti. Bisogna fare in modo che tutti gli 800mila docenti frequentino attività di aggiornamento per usare al meglio le varie piattaforme telematiche. Un uso esperto permette una personalizzazione dell’insegnamento spesso difficile da ritrovare in classe. Questa è una didattica a distanza sì fisica, ma abbiamo recuperato ragazzi che erano completamente demotivati in classe. Questo ci deve indurre a ripensare la didattica: quella praticata nelle scuole italiane è più incentrata sulle conoscenze che non sulle competenze. La scuola è importante per insegnare a costruire il proprio essere. Altra attenzione va posta agli alunni disabili e speciali. La presenza del docente di sostegno, unita a tecnologie giù presenti, può aiutare”.

Come la scuola ebraica prepara il nuovo anno

Guido Jarach, Responsabile delle relazioni esterne e della Commissione Comunicazione della Fondazione Scuola, ha poi spiegato cosa ha fatto la Comunità ebraica per rispondere all’emergenza. “La Fondazione vuole essere un punto di unione e dialogo fra docenti e alunni e tutti sono molto partecipi. Abbiamo colto con leggero anticipo i segnali dell’emergenza, attrezzandoci anche in comunità e alla RSA, dove ci sono stati zero contagi. Oggi la comunità ha creato un comitato per studiare le  misure per potere riaprire e l’idea del webinar nasce per dare gli strumenti a chi come noi e tutte le scuole cerca risposte, quali contromisure adottare e trovare il compromesso per ridurre i rischi ma permettere una riapertura. Ad esempio, il triage, deve essere personalizzato dall’istituto o dato dalla politica? Dobbiamo poi capire poi se per ridurre i rischi dovremo imporre ai nostri figli l’utilizzo di dispositivi, creando un cambiamento importante della loro routine, con impatti psicologici e difficoltà di gestione. Cosa ci dobbiamo aspettare dal punto di vista pratico nel momento in cui riapriranno le scuole?”.

Possibili soluzioni, sanitarie e gestionali

Secondo il prof Bruno, le misure sanitarie da rendere sono essenzialmente tre. “Si dovrà utilizzare il triage, per capire i sintomi, misurare la febbre all’ingresso, con il termoscan, e poi l’uso delle mascherine e il distanziamento. I guanti hanno lo svantaggio di disincentivare l’igiene delle mani. Ci vuole responsabilità civile, e avvertire le autorità sanitarie, e in comunità ristrette come quella ebraica il mappaggio è auspicabile”.

“Dovremo imparare dagli altri Paesi, Cina in primis, che sono già nella fase della ripresa – ha aggiunto Roger Abravanel -. E poi c’è bisogno di linee guida centrali, che prevedano la delega delle decisioni ai presidi, che oggi sono sottovalutati e possono incorrere in responsabilità penali. Dobbiamo invece puntare su di loro, perché sono loro che faranno il cambiamento”.

Della deresponsabilizzazione dei dirigenti scolastici ha anche parlato Giannelli: “Il Decreto Italia prevede che il contagio da Covid avuto sul luogo di lavoro sia considerato infortunio sul lavoro. Quindi un dirigente scolastico può essere chiamato a rispondere di lesioni colpose se esso accade nella sua scuola”.

Per quanto riguarda l’utilizzo della tecnologia per la didattica, ci sono ovviamente delle criticità. “Fare lezione metà in classe e metà a distanza vorrebbe dire cablare tutte le aule di tutte le scuole – ha spiegato Abravanel -. Cosa non possibile qui in Italia”.
Inoltre, come è noto, in Italia c’è un problema infrastrutturale molto serio, con zone quasi del tutto prive di connessione. “Come si può ridurre il digital divide in Italia? – ha chiesto Guido Jarach -. E poi, ci sono altri aspetti pratici che la didattica a distanza chiama in causa: se un figlio della primaria ha il turno della didattica da casa, chi sta con lui?”.