Sembra Star Wars ma è successo davvero: interpretazioni e domande sull’attacco iraniano ad Israele

Eventi

di Anna Balestrieri
«Papà, stai guardando Star Wars?» ha chiesto una bambina di sette anni al padre, che osservava sbigottito il bombardamento dell’Iran su Al Aqsa. Gli F35 israeliani forniti dagli Stati Uniti hanno intercettato buona parte dei missili balistici nell’attacco senza precedenti sferrato dall’Iran nella notte tra sabato 13 e domenica 14 aprile, mentre la contraerea americana e giordana si è occupata dei droni.

Nonostante siano stati lanciati più di 350 missili e droni, parte dei quali è stata neutralizzata al di fuori del territorio israeliano, il 99 per cento non hanno danneggiato il paese. La ragione dell’intervento giordano risiede certamente nella mediazione e nelle richieste americane, ma si ha ragione di credere che questo “patto di buon vicinato” continuerà. Il ministro della difesa Yoav Gallant, a seguito delle riunioni del gabinetto di guerra, ha comunicato che Israele prima o poi “sarà costretto” a rispondere, non specificando tuttavia né come, né quando, né con quale obiettivo.

L’incontro

Molte domande sono sorte e rimangono aperte, e l’incontro “La battaglia tra Iran e Israele! Iran contro il Mondo? – Valutazione del significato della partecipazione attiva dei paesi arabi nell’intercettazione degli UAV e dei missili da crociera iraniani” organizzato dalla Europe Israel Press Association (EIPA) di lunedì 15 aprile, all’indomani dell’attacco, ha cercato di darvi risposta interpellando gli esperti.

Il Dr. Jonatan Spyer, Direttore della Ricerca e Editore di “Middle East Quarterly” presso il Middle East Forum, e Ben Sabti, Ricercatore del Programma Iran presso l’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale (INSS) dell’Università di Tel Aviv e coordinatore del podcast INSS “Voci dall’Iran” si sono avvicendati nel rispondere agli interrogativi dei giornalisti circa il futuro prossimo nella regione.

Sabti è stato interpellato riguardo l’interpretazione delle dichiarazioni del regime iraniano, dettosi soddisfatto nonostante l’attacco sia stato un fallimento. Per capire, bisogna entrare nella psicologia del paese, secondo l’esperto di origine iraniana. “È stato sufficiente vedere i propri missili sopra la Knesset e Al Aqsa: è così che la stampa di regime ha interpretato la situazione. Eravamo dentro Israele, siamo entrati: per questo è stata una vittoria, dicono gli ayatollah. Se Israele non è riuscito a prevenire l’attacco, ciò è già segno manifesto di sconfitta, quella che il regime ha predetto si materializzerà entro il 2050 e che pare si stia avverando come una profezia. Nell’interpretazione trasmessa dalla stampa, controllata in toto dal Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, Israele si sta sfaldando progressivamente. Prima le divisioni interne, poi il 7 ottobre, ora l’attacco iraniano”.

Nonostante l’80 per cento della popolazione sia contro il regime ed appoggi Israele perché spera che aiuti in un cambio di governo, la preoccupazione per la rappresaglia da parte dei civili iraniani è alta. Ma Beni Sabti tiene a specificare che una non-reazione israeliana, così come è auspicato dall’alleato americano, non verrebbe compresa nemmeno dai cittadini dello Stato Islamico. Sarebbe interpretata come un segno di debolezza, come una spia che Israele sia più debole e debba essere attaccato più duramente.

Secondo Jonathan Spyer, un’identica percezione di debolezza sarebbe trasmessa da un Israele non belligerante agli Stati arabi. Non solo in Bahrein, Emirati Arabi Uniti o Arabia Saudita, in fase di normalizzazione dei loro rapporti diplomatici con lo stato ebraico. Sarebbe soprattutto l’Hezbollah libanese a credere che Israele sia debole e sia il momento giusto per attaccarlo.

Le tensioni interne all’Iran

Tra le domande sorte nel dibattito, ci si è chiesto come possano gli israeliani aiutare gli iraniani a liberarsi degli ayatollah. Un compito eccessivo da affidare allo stato ebraico secondo gli esperti, che condannano l’atteggiamento ignavo degli Stati Uniti. Il governo a stelle e strisce, infatti, non ha supportato a sufficienza l’opposizione interna iraniana nelle ultime proteste, così da facilitare un passaggio storico. Gli attivisti anti-regime in diaspora hanno chiesto invano il supporto del presidente Biden: non solo non è giunta alcuna dichiarazione, ma nemmeno un’intensificazione delle sanzioni.

La percezione iraniana è che i rapporti israelo-americani siano ad un punto di rottura, considerate le critiche del governo Biden alla gestione del conflitto a Gaza. La mentalità iraniana, spiega Sabti, è inerentemente dicotomica e non percepisce sfumature. In verità, è evidente, secondo Spyer, sia quanto Israele non possa sopravvivere senza il supporto militare americano, sia quanto, nella visione degli stati arabi, gli Stati Uniti non comprendano quanto Israele le dinamiche di forza intrinseche ai rapporti diplomatici in Medio Oriente. Per non esacerbare il conflitto regionale, dovrebbero essere gli Stati Uniti a rispondere all’attacco iraniano. Aprendo le porte ad una costante della storia iraniana, nella quale il popolo si è più volte alleato con il nemico, a partire da Alessandro il Macedone, per liberarsi dell’oppressore interno. Secondo Sabti, i social media testimoniano che gli iraniani sono pronti ad aprire le porte. L’errore di Stati Uniti ed Europa sta nel non sfruttare il timore reverenziale che l’Iran nutre nei loro confronti, a differenza dell’atteggiamento superiore e sprezzante che tiene nei confronti dei paesi arabi sunniti.

La risposta militare di Israele

La risposta di Israele dovrà, secondo Jonathan Spyer, avvenire in territorio o con obiettivi iraniani, evitando di coinvolgere alleati dello Stato Islamico per non provocare un’escalation nella zona. La priorità si ritiene essere non coinvolgere Hezbollah.

La riuscita intercettazione di sciami di missili e droni lanciati dall’Iran verso Israele mediante il sistema Arrow prodotto dalle Israel Aerospace Industries (IAI), tra gli altri, ha suscitato un significativo interesse globale.

“È un giorno di orgoglio per molti dei nostri dipendenti, che lavorano giorno e notte e alla fine tutto converge su un unico evento,” ha detto il CEO dell’IAI Boaz Levy a Ynet in un’intervista, aggiungendo che l’azienda ha ricevuto numerose chiamate di sostegno da clienti in tutto il mondo prima e dopo l’attacco, esprimendo il loro apprezzamento per le prestazioni del sistema.