di Sofia Tranchina
Il 2 dicembre 2024, Milano ha accolto al Circolo e Centro Studi Caldara, spazio da sempre crocevia di idee e riflessioni, l’evento “Tra l’incudine e il martello”, tenuto da Luciano Assin, ebreo arabo-italiano-israeliano nato a Milano da genitori egiziani e trasferitosi in Israele nel 1976. L’incontro ha acceso i riflettori sulla complessa situazione israelo-palestinese, offrendo ai partecipanti un’occasione unica di confronto tra esperienze personali, analisi storiche e prospettive etiche.
A condividere il palco con Assin, figure di spicco come don Virginio Colmegna, storico collaboratore del Cardinale Martini e promotore di solidarietà; Gaia Bertotti, Marco Krivacek e Giacomo Marini, noti per il loro impegno sociale e culturale; e Paolo Zinna, autore di approfonditi articoli politici e sociali. Insieme, hanno tracciato un quadro intenso e poliedrico, unendo competenza e sensibilità per affrontare uno dei drammi più intricati del nostro tempo.
Milano, con la sua tradizione di apertura e pensiero critico, si conferma un punto di riferimento per il dialogo sui grandi temi globali. In prima linea, il Circolo Caldara, luogo ideale per un evento che ha saputo unire conoscenza e impegno.
Una vita tra tre identità: Luciano Assin
Luciano Assin ha intrecciato la sua narrazione personale con la storia e i conflitti di Israele, incarnando la complessità culturale della regione. Nato in Italia da genitori egiziani e trasferitosi in Israele nel 1976, si descrive così: «Sono concepito in Egitto, nato in Italia e cresciuto in Israele. Vivo una tripla identità, influenzata dalle culture araba, italiana e israeliana». Questa prospettiva unica lo rende un osservatore privilegiato ma non neutrale, e con onestà invita il pubblico a recepire le sue parole con spirito critico, data la sua inevitabile implicazione emotiva e personale.
Vivere in un kibbutz a pochi chilometri dal confine libanese ha segnato la sua esperienza, facendogli toccare con mano tanto le difficoltà quanto la speranza insita nella convivenza in una terra di conflitti perenni. Blogger e studioso, Assin anima “L’altra Israele”, un sito che esplora la società israeliana con uno sguardo critico, offrendo anche consigli per chi vuole conoscere il paese attraverso itinerari alternativi.
La sua biografia riflette una vita ricca e poliedrica: guida turistica di madrelingua italiana autorizzata dal Ministero del Turismo in Israele, Assin vive nel kibbutz Sasa dal 1976. Ha conseguito un B.A. in sociologia e risorse umane e un Master in storia del popolo ebraico, lavorando in settori che spaziano dall’allevamento bovino all’educazione di giovani dell’ex Unione Sovietica. È stato anche responsabile del movimento giovanile sionista e socialista Hashomer Hazair a Milano, per tre anni.
Durante l’intervento, Assin ha affrontato il dramma del 7 ottobre 2023, evento che ha segnato profondamente la società israeliana. «È stato uno shock senza precedenti. Durante la guerra del Kippur del 1973, avevamo informazioni che ci permisero di prepararci, ma il 7 ottobre ci ha colti completamente di sorpresa. Sono crollate due dottrine fondamentali: quella della deterrenza militare e quella economica, basata sull’integrazione lavorativa dei palestinesi in Israele». Le sue parole hanno messo in luce come quell’attacco abbia minato la percezione della sicurezza israeliana, generando un trauma collettivo e rimettendo in discussione certezze storiche.
Negli anni ’70, i kibbutz rappresentavano un’utopia concreta, un’alternativa al socialismo reale. Ma oggi, in seguito a eventi come quelli dell’ottobre 2023, queste comunità si trovano di fronte a nuove sfide e a una necessità di rinnovarsi, mantenendo però vivo lo spirito di resilienza che le ha sempre caratterizzate.
La necessità di un Umanesimo Nuovo: Don Virginio Colmegna
Nato a Saronno nel 1945 e ordinato sacerdote nel 1969, don Virginio Colmegna ha dedicato la sua vita all’assistenza delle persone in difficoltà, trasformando la solidarietà in un’azione concreta e duratura. Fondatore di diverse realtà sociali e per anni direttore della Caritas Ambrosiana, nel 2002 ha assunto, su richiesta del Cardinale Martini, la presidenza della Fondazione Casa della Carità a Milano. Ha guidato questa istituzione fino al febbraio 2023, quando è stato nominato presidente onorario. Riconosciuto per il suo instancabile impegno, è stato insignito dell’Ambrogino d’Oro dal Comune di Milano e del premio “Cittadino europeo dell’anno 2018”.
Nel suo intervento, don Virginio ha esplorato l’impatto disumanizzante della guerra e l’urgenza di un rinnovato impegno verso la pace: «La guerra produce un’alienazione profonda, rendendo il linguaggio della pace quasi impossibile. Abbiamo bisogno di un umanesimo nuovo, di una pedagogia che rimetta la pace al centro come categoria culturale». Queste parole hanno toccato il cuore della questione, proponendo un radicale ripensamento del dialogo e della convivenza.
Con il suo appello, don Virginio ha sottolineato l’importanza di costruire un pensiero che non solo sfidi la violenza ma che sappia proporre un modello di umanità capace di resistere alla frammentazione sociale e culturale generata dai conflitti. La sua visione, nutrita da decenni di esperienza sul campo, è un richiamo a una pace che non sia solo un’aspirazione ma un fondamento pratico e culturale per la società.
Critiche e Prospettive: Netanyahu e la politica israeliana
La figura controversa di Benjamin Netanyahu ha animato il dibattito. Giacomo Marini ha evidenziato un paradosso: mentre in Israele criticare il primo ministro è possibile, in Italia lo stesso atto rischia di essere etichettato come antisemitismo. Provocatoriamente, ha chiesto a Luciano Assin come sia possibile criticare Israele senza incorrere in tale accusa.
Assin ha risposto sottolineando l’impatto negativo dei social media nel polarizzare il dibattito: «I social hanno abbassato molto il livello della discussione. Il sentimento antisemita, sempre esistito, è stato normalizzato ed è diventato una moda “chic”. La gente non si fa remore ad affermare cose come “se criticare Netanyahu è da antisemita, allora sono fiero di esserlo”».
Ha poi aggiunto che, pur riconoscendo Netanyahu come un politico corrotto che sta conducendo il Paese verso il declino, è convinto che qualsiasi leader avrebbe reagito in modo simile agli attacchi del 7 ottobre. Il vero problema, secondo Assin, è la gestione degli ostaggi e l’incapacità di Netanyahu di assumersi responsabilità, il che ha ulteriormente diviso il Paese e indebolito le istituzioni democratiche. «La colpa più grande di Netanyahu», ha affermato, «è aver trasformato le vittime in nemici». Ha spiegato come i familiari degli ostaggi, manifestando settimanalmente per spingere il governo a firmare un accordo, siano diventati la “voce dell’opposizione”, percepita come una minaccia alla stabilità del Paese in un momento delicato.
Assin ha denunciato le mosse politiche di Netanyahu, accusandolo di sfruttare con cinismo i meccanismi democratici per instaurare una “democratura” — un sistema che mantiene un’apparenza democratica ma è nella sostanza autoritario. «Netanyahu ha inviato delegazioni del Likud in Ungheria per studiare strategie di consolidamento del potere attraverso vie pseudodemocratiche». D’altronde, ha già silurato il ministro della Difesa e punta a liberarsi anche del capo di stato maggiore, del consulente legale e del capo dei servizi segreti interni.
Assin ha poi affrontato il tema più ampio del conflitto israelo-palestinese rispondendo con una domanda: «“Dal fiume al mare” significa cancellare Israele. Ma che ne sarebbe degli arabi ebrei autoctoni?» Ha citato dichiarazioni di Hamas, secondo cui dovrebbero essere eliminati o espulsi tutti gli israeliani, eccetto pochi “cervelli utili”. Ha inoltre ricordato il simbolico orologio in piazza Palestina a Teheran, che conta alla rovescia i giorni per la distruzione di Israele secondo i principi dell’Islam, sottolineando come questo sia un segnale ignorato dalla comunità internazionale, che permette all’Iran di sedere all’ONU, minando ulteriormente la stabilità di Israele.
Gaza e l’Erosione della Fiducia
Marco Krivacek ha infine messo in evidenza l’impatto politico e sociale del ritiro da Gaza, sottolineando come la delusione che ne è scaturita abbia trasformato il panorama politico israeliano: «La scelta dei gazawi di votare Hamas nel 2007, insieme ai continui attacchi e alle violenze reciproche, ha dato alla destra l’opportunità di dire: “Vedete, è successo quello che avevamo previsto dopo il ritiro da Gaza”. Allo stesso tempo, la sinistra, vedendo la propria sicurezza compromessa, si è sentita tradita dalla controparte palestinese. Per i pacifisti israeliani, il fallimento di quel sogno di pace è stato un duro colpo, portando molti a rivedere le proprie convinzioni. Questo ha contribuito allo spostamento politico a destra in Israele, un fenomeno, peraltro, che rispecchia una tendenza osservabile anche in altre parti del mondo».
Una Serata di Riflessione e Proposta
L’incontro “Tra l’incudine e il martello” non si è limitato a offrire una comprensione più profonda del conflitto israelo-palestinese, ma è stato anche un richiamo alla necessità di preservare lo spirito critico e il dialogo. Ha dimostrato come una comunità locale possa stimolare riflessioni su questioni globali, promuovendo spunti per un futuro di convivenza.
La serata si è conclusa con l’auspicio di continuare questo percorso di dibattito e approfondimento. Il Circolo Caldara, attraverso il suo sito e altre iniziative, ha rinnovato il proprio impegno a mantenere vivo il confronto.