Chiesa e Shoah: leggi razziali e le responsabilità delle élite ecclesiastiche

Eventi

di Anna Balestrieri
Giunto alla sua seconda giornata di lavori, il convegno della Pontificia Università Gregoriana, dedicato ai nuovi documenti del Pontificato di Papa Pio XII ed al loro significato per i rapporti tra ebrei e cristiani ha approfondito la responsabilità delle élite ecclesiastiche riguardo alle leggi razziali.

Cinque i relatori che in un dialogo tra storici e teologi si sono confrontati sul tema della sessione il 10 ottobre 2023.

“Politica dell’imparzialità” della Santa Sede

Il primo di essi, il Professore associato di storia contemporanea a Roma Tre Gabriele Rigano, si è interrogato sulla “politica dell’imparzialità” della Santa Sede alla luce dei documenti d’archivio, tracciando un parallelismo tra l’atteggiamento di Papa Benedetto XV durante la prima guerra mondiale all’atto dell’occupazione tedesca del Belgio e l’omertà di Pio XII. Nonostante non vi siano “documenti archivistici che attestino una programmazione, è evidente che venga applicato un modello su un contesto diverso”. Pio XII fu senz’altro parte dell’entourage che programmò la politica del Papa durante la prima guerra mondiale. Il primo “grande silenzio” di Pacelli, accolto con sdegno dai vescovi polacchi, avvenne in occasione dell’occupazione tedesca della Polonia. Persino L’Osservatore Romano identificò allora un’analogia, tracciando una “genealogia dei silenzi” della Santa Sede a partire dalla Grande Guerra. Come Benedetto XV vide la Chiesa come forza centripeta ed imparziale, così Papa Pacelli “sapeva di doversi esporre, ma tra pubblica condanna ed aiuto umanitario scelse il secondo”.

La sua preoccupazione si rivolse alla tutela dei cattolici tedeschi, ricorda Rigano. Memore delle conseguenze riportate dal cattolicesimo olandese a seguito della lettera pastorale del 20 luglio 1942, cui seguì la rappresaglia nazista. Il ruolo del Papa come mediatore di pace sovranazionale e simbolo del cattolicesimo universale permise a Pacelli di assolvere la propria coscienza lacerata.

Philip Cunningham della Saint Joseph University di Philadelphia,  esperto di relazioni tra cattolici ed ebrei, ha presentato i documenti originali della bozza Humani Generis Unitas, commissionata da Pio XI all’americano John LaFarge, editore del periodico gesuita America, ed autore di “Giustizia interrazziale: uno studio della dottrina cattolica delle relazioni di razza” (1937): l’Enciclica scomparsa è stata scherzosamente definita da Cunningham uno ”snapshot delle relazioni ebraico cattoliche prima della Shoah”. L’incarico del Papa a LaFarge era “di scrivere come se fosse stato il Papa”. La squadra che abbozzò il testo era formata da tre elementi: l’americano John LaFarge, il tedesco Gustav Gundlach ed il francese Gustave Desbuquois, co-fondatore di Action Populaire, un giornale di azione sociale cattolica. Nella bozza si diceva che il razzismo, annullando il legame unificatore divino tra gli esseri umani, negava la verità fondamentale che esista un solo Dio per tutti i popoli e per tutte le razze. Veniva anche detto che nella storia della razza umana solo un popolo ha avuto una chiamata degna di essere definita tale e questo è il popolo ebraico, che è stato scelto dall’Altissimo per preparare la strada. Nell’affermare l’esistenza di un’alleanza tra il popolo ebraico e quello cristiano, nella bozza si intravvedono tuttavia elementi di condanna al “peccato originale del popolo ebraico”. Pacelli decise di non pubblicare l’Enciclica. Le posizioni postconciliari dei Papi tentarono di compensare il suo “delitto del silenzio”.

Le posizioni postconciliari dei Papi

Nel 1965 la dichiarazione conciliare “Nostra Aetate” stabilì una nuova prospettiva sulla relazione tra la Chiesa Cattolica e l’Ebraismo. Questo documento sottolineò che gli ebrei non erano maledetti da Dio. Inoltre, incoraggiò il dialogo e lo studio congiunto tra cattolici ed ebrei. Giovanni Paolo II (1978-2005) rafforzò ulteriormente questa posizione, affermando l’esistenza di un “patto di amore eterno” tra cattolici ed ebrei. Questo patto richiedeva il rispetto reciproco delle fedi e delle convinzioni senza l’obiettivo della conversione, sottolineando che lo Spirito Santo opera anche in altre religioni. Benedetto XVI proseguì su questa linea, riconoscendo che sia l’ebraismo rabbinico sia il cristianesimo erano eredi dell’Israele biblico. Sottolineò inoltre che non c’era alcuna missione di conversione degli ebrei, ma piuttosto un invito allo studio congiunto. Gli ebrei avevano una “missione elettiva” fino alla fine dei tempi. Papa Francesco ha continuato su questa strada, affermando che la parola di salvezza di Dio è attiva tra gli ebrei attraverso la Torah e che la relazione tra cattolici ed ebrei è un’amicizia benedetta accompagnata dallo Spirito Santo.

Tuttavia, nonostante questi sviluppi positivi, un recente sondaggio ha rivelato che solo il 39% dei cattolici è a conoscenza dell’esistenza di questo patto tra ebrei e cristiani, evidenziando la necessità di una maggiore consapevolezza all’interno della comunità cattolica.

L’evoluzione delle “intenzioni di preghiera”

Raffaella Perin
Raffaella Perin

La professoressa Raffaella Perin dell’Università Cattolica di Milano, esperta di relazioni giudaico-cristiane tra le due guerre, ha evidenziato l’importanza degli atteggiamenti variabili verso l’antisemitismo durante la Seconda guerra mondiale. L’intervento più innovativo ed inedito il suo, che ha analizzato l’evoluzione delle “intenzioni di preghiera” per la conversione degli ebrei promosse dall’Apostolato della Preghiera. Grazie a documenti inediti rintracciati da Perin nell’Archivio della Curia Generalizia della Compagnia di Gesù è stato tracciato lo stato attuale della ricerca sulla relazione tra i gesuiti, gli ebrei e l’Olocausto a livello europeo, e sono stati presentati gli ultimi risultati della ricerca in corso sull’importante ruolo svolto da Pietro Tacchi Venturi all’interno del sistema di assistenza fornito dalla Santa Sede ai cattolici di origine ebraica colpiti dalle leggi razziali in Italia. La relazione ha gettato nuova luce sui rapporti tra i gesuiti e gli ebrei, comprese alcune testimonianze di pregiudizio antiebraico. Alcuni membri della Chiesa, come Pietro Boetto, furono attivi nella Resistenza, mentre altri sostennero i criminali di guerra fascisti e nazisti nell’immediato dopoguerra, così come verrà illustrato ampiamente in una sezione successiva (link ad articolo sessione VI).

La conversione di massa

Tommaso Dell’Era

Il professor Tommaso Dell’Era dell’Università della Tuscia di Viterbo ha analizzato la politica degli aiuti umanitari forniti dal “Soccorso Vaticano” ad una varietà di soggetti, concentrandosi sull’atteggiamento adottato dalla Santa Sede di fronte alla persecuzione antisemita nelle università italiane e tout court. Oggetto di analisi è il memorandum del 1938 scritto dal rettore della Sapienza Del Vecchio a G. B. Montini, nato dalla proposta di un professore ebreo dell’Università di Roma che si stava convertendo al cattolicesimo. Questi suggeriva la conversione in massa di tutti gli ebrei italiani. Dal documento emerge la proposta di convertire gli ebrei, consentendo loro tuttavia di essere sepolti nei cimiteri ebraici. Questo progetto fu successivamente presentato da Montini al cardinal Ottaviani presso il Santo Ufficio. Nel testo, al quale collaborò anche il domenicano Mariano Cordovani, si afferma che le conversioni dovrebbero essere individuali e non collettive, consentendo la sepoltura nei cimiteri ebraici, ma vietando qualsiasi altro rito ebraico all’esterno o la pratica del giudaismo. Un legame diretto col periodo dell’Inquisizione e con le accuse di criptogiudaismo. L’università ha fornito supporto ai convertiti nel contesto del progetto più ampio di assimilazione degli ebrei promosso dal regime fascista.

Ha chiuso i lavori della sessione il teologo Willie James Jennings con un’interpretazione ardita nel solco dei race studies, con Pio XII araldo di una whiteness suprematista che si è resa colpevole di un secondo deicidio.