Lettere per la prossima generazione – 8/10

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Lettera n. 8: la fede

Sara, David,

Viviamo tempi difficili, tempi di rischio e pericolo, di recessione e di incertezza. Non pensiate che io sia ingenuo se dico che sono tempi in cui abbiamo bisogno di fede. Non fede cieca, ottimismo ingenuo, ma il tipo di fede che ci dice che non siamo indifesi e non siamo soli.

Il popolo ebraico è in circolazione da più tempo di quasi ogni altro popolo. Abbiamo avuto la nostra parte di sofferenza, eppure eccoci qui, ancora giovani, ancora pieni di energia, ancora capaci di gioire, di festeggiare e di cantare. Gli Ebrei hanno camminato più della maggior parte dei popoli nella valle dell’ombra mortale, eppure non hanno perso ne’ il senso dell’umorismo ne’ la speranza.

La fede non è la certezza; è il coraggio di vivere nell’incertezza. La fede non significa vedere il mondo così come ci piacerebbe che fosse; significa vedere il mondo esattamente come è, ma senza mai perdere la speranza di poterlo rendere migliore con il nostro modo di vivere – con atti di chen e di chesed, di grazia e di bontà, con il perdono e la generosità di spirito.

Nell’ebraismo, la fede non significa “credere passivamente seguendo dei dogmi”. Nessuna altra fede ha più rispetto per l’intelligenza umana. Gli Ebrei sostengono: non diamo nulla per scontato. Noi diciamo, “Il Signore è il mio pastore”, tuttavia nessun Ebreo è una pecora. Ci viene comandato di insegnare ai nostri figli a fare domande. La nostra è una religione che pone domane. Allora, che cosa è la fede?

La fede è sapere che siamo qui per un motivo e che, nel nostro viaggio attraverso la vita, Dio è con noi, a sollevarci quando cadiamo, a perdonarci quando manchiamo, a credere in noi più di quanto ci crediamo noi stessi. Non si tratta di desideri illusori. Si tratta di un fatto, ma non di un fatto semplice.

Così come dobbiamo imparare ad ascoltare la grande musica o ad apprezzare la grande arte, allo stesso modo dobbiamo imparare ad avvertire la presenza di Dio nella nostra vita. Questo apprendimento avviene in due forme: una è la Torà, l’altra sono le mitzvot. Attraverso la Torà impariamo che cosa Dio ci chiede. Attraverso le mitzvot, mettiamo in pratica la volontà di Dio. Ecco come ci apriamo a Dio. La fede ci consente di correre rischi e di affrontare il futuro senza timori.

A volte pensiamo che le questioni spirituali siano inconsistenti in confronto alle battaglie del mondo reale. Ma consideriamo questo: il crollo finanziario si è verificato a causa di una mancanza di fiducia nelle istituzioni. Le banche hanno smesso di concedere prestiti perché hanno smesso di credere che i clienti fossero in grado di restituire il denaro. La fede e la fiducia sono elementi spirituali, ma il mercato dipende da loro. La parola “credito” deriva dal latino “credo”, che significa anì ma’amìn – “io credo”.

In seguito a un altro crollo economico del passato, Franklin D. Roosevelt fece la famosa affermazione: “L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa”. La fede sconfigge la paura e ci dà la fiducia necessaria per sopravvivere ad ogni perdita e per ricominciare. Non pensiate che la fede sia una piccola cosa. Non lo è. Qualsiasi altra cosa facciate nell’anno che sta iniziando, praticate la fede rinnovandola ogni giorno. Il popolo ebraico ha tenuto la fede in vita. La fede ha tenuto in vita il popolo ebraico.

Dunque, che cosa fate se – Dio non voglia – vi trovate nel mezzo della crisi? Perdete il lavoro. Perdete la promozione che vi aspettavate. Vi trovate in condizioni di salute che rendono necessario un cambiamento fondamentale di vita. Prendete una decisione sbagliata negli investimenti che vi costa cara. Un rapporto importante della vostra vita attraversa un periodo di tensione. Qualunque tra gli innumerevoli shock naturali a cui è soggetto il genere umano vi fa piombare in una crisi non prevista. Come si sopravvive al trauma e al dolore?

C’è un passaggio biblico che può venire veramente in aiuto. Si tratta della famosa, enigmatica storia (Genesi 32) in cui, durante la notte, Ya’akov lotta con un avversario sconosciuto e senza nome: “Ya’akov rimase da solo, e un uomo lottò con lui fino all’alba”. Questo passaggio ha dato il nome al popolo ebraico – Israele – che significa “colui che combatte con Dio e con l’uomo e prevale”. L’espressione chiave si trova nel passaggio in cui Ya’akov dice allo sconosciuto: “Non ti lascio andare finché non mi avrai benedetto”. Nell’ambito di ogni crisi vi è la possibilità di una benedizione”. Gli eventi che, al momento, hanno provocato più dolore, sono anche quelli che, a posteriori, vediamo come momenti di crescita personale.

La crisi ci obbliga a prendere decisioni difficili ma necessarie. Ci fa chiedere a noi stessi: “Chi sono io e che cosa mi importa veramente?” Ci porta dalla superficie fino in profondità, dove scopriamo forze che non sapevamo di possedere, e una chiarezza di intenti che, fino ad ora, ci mancava. Quindi, ad ogni crisi, dobbiamo dire: “Non ti lascio andare finché non mi avrai benedetto”.

La lotta non è facile. Sebbene Ya’akov abbia vinto, rimase claudicante. Le battaglie lasciano cicatrici. Tuttavia, Dio è con noi persino quando sembra essere contro di noi. Infatti, se rifiutiamo di lasciarlo andare, Egli si rifiuterà di lasciare andare noi, dandoci la forza di riemergere più forti, più saggi, benedetti.

La domanda più vecchia in ambito religioso è: “Perché alle brave persone accadono cose brutte?” Ma vi sono due modi di fare questa domanda. Il primo è: “Perché Dio mi ha fatto questo?”. Non fatevi mai questa domanda, perché non conoscerete mai la risposta. Dio ci vuole bene, ma vuole bene anche a tutti gli altri e al tutto. Noi pensiamo al presente; Dio pensa all’eternità. Noi non potremmo mai guardare l’universo dal punto di vista di Dio, quindi non troveremo mai la risposta alla domanda: “Perché a me?”

Ma c’è un altro modo di farsi questa domanda: “Dato che è  successo questo Dio che cosa vuole che impari? In che modo mi sta invitando a crescere? Come mi sta chiedendo di reagire?” Quando ci interroghiamo in questo modo guardiamo in avanti, non indietro. “Perché D-o mi ha fatto questo?” è la domanda sbagliata. La domanda giusta è: “In che modo devo cambiare la mia vita in seguito a ciò che mi è accaduto?”

Ecco come si affronta una crisi. Lottando con essa, rifiutando di lasciarla andare finché non ci ha benedetti, finché non ne usciamo più forti, migliori o più saggi di prima. Essere Ebrei significa non accettare una sconfitta. Ecco il significato della fede.