di Pietro Baragiola
Redford ha trascorso gran parte della sua carriera accanto a colleghi, registi e sceneggiatori ebrei. Questa vicinanza ha segnato la sua immagine sullo schermo: il biondo californiano, incarnazione dell’America “WASP”, diventava spesso il contraltare gentile di un mondo ebraico in crescente visibilità ad Hollywood.
Martedì 16 settembre Robert Redford, uno dei volti più iconici del cinema americano, è morto all’età di 89 anni nella sua casa di Sundance, nello Utah. Ne ha annunciato la scomparsa la sua portavoce Cindi Berger, precisando che l’attore si è spento nel sonno “circondato dalle persone che amava”.
Redford, protagonista di una carriera lunga oltre mezzo secolo, ha lasciato un segno non solo come star di Hollywood ma anche come regista, attivista e fondatore del Sundance Film Festival.
L’incontro con la cultura ebraica
Pur non essendo ebreo (le sue origini erano scozzesi e irlandesi), Redford ha trascorso gran parte della sua carriera accanto a colleghi, registi e sceneggiatori ebrei. Questa vicinanza ha segnato la sua immagine sullo schermo: il biondo californiano, incarnazione dell’America “WASP”, diventava spesso il contraltare gentile di un mondo ebraico in crescente visibilità ad Hollywood.
Emblematica la sua collaborazione con Barbra Streisand in Come eravamo (1973), film che racconta la relazione tra Hubbell e Katie, due opposti politici e culturali, il cui amore è destinato a finire.
“Io ero la ragazza ebrea di Brooklyn, lui il californiano che faceva surf” ha ricordato la Streisand in un’intervista rilasciata a The Hollywood Reporter diversi anni dopo. “Ma dentro eravamo simili: timidi, sensibili, affascinati dal mistero delle relazioni”.
Altro sodalizio decisivo è stato con Sydney Pollack, regista e figlio di immigrati ebrei, che ha diretto Redford in sette film tra cui I tre giorni del Condor (1975) e La mia Africa (1985). Con loro, Hollywood ha raccontato un’America più complessa, dove le identità si intrecciavano.
La carriera di Robert Redford
Nato a Santa Monica nel 1936, Redford ha debuttato a Broadway in A piedi nudi nel parco del geniale drammaturgo ebreo Neil Simon, per poi riprendere il ruolo nell’omonimo film del 1967.
La consacrazione è arrivata però solo due anni dopo con Butch Cassidy and the Sundance Kid, accanto a Paul Newman. Da quel personaggio avrebbe preso in seguito il nome il Sundance Institute, la piattaforma che avrebbe rivoluzionato il cinema indipendente.
Negli anni ’70 Redford ha consolidato la sua immagine di star con film come La stangata (1973) e soprattutto Tutti gli uomini del presidente (1976), in cui ha interpretato il giornalista Bob Woodward accanto al Carl Bernstein di Dustin Hoffman. Il film, che raccontava lo scandalo Watergate, è diventato un modello di cinema politico e di giornalismo investigativo attuale ancora oggi.
Nel 1980 Redford ha fatto il suo esordio da regista con Gente comune, che vinse quattro Oscar, incluso quello per la regia. Nel film, il personaggio dello psichiatra ebreo, interpretato da Judd Hirsch, rappresenta uno dei cardini morali della storia.
Uno dei momenti più significativi della sua regia è arrivato con Quiz Show (1994), candidato all’Oscar come Miglior Film, che affronta lo storico scandalo degli anni ’50 in cui la NBC mise un ricco WASP in competizione con un ebreo della classe operaia: una riflessione sul privilegio sociale e sulla costruzione dell’immagine mediatica.
Sundance, laboratorio di diversità
Oltre ai successi personali, Redford ha avuto un ruolo fondamentale nel dare spazio alle nuove voci. Con la fondazione del Sundance Institute e del Sundance Film Festival negli anni ’80, ha lanciato le carriere di registi come i fratelli Coen, Quentin Tarantino e Steven Soderbergh.
“Ho sempre creduto nella parola indipendenza” ha affermato Redford all’Associated Press nel 2018. “Ho visto storie che non avevano spazio a Hollywood e ho deciso di impegnarmi per dare loro voce”.
Il Sundance è diventato così un crocevia per film che raccontano minoranze, diversità e conflitti culturali, in linea con la sensibilità che aveva caratterizzato molte delle scelte di Redford come attore.
“Non abbiamo mai cambiato le nostre politiche su come programmare il festival. Si è sempre basato sulla diversità”, ha dichiarato Redford. “Il fatto è che la diversità è diventata commerciale. Poiché i film indipendenti hanno raggiunto il loro successo, Hollywood, essendo solo un business, li accaparrerà. Quindi, quando Hollywood si accaparra i tuoi film, dicono: ‘Oh, è diventato hollywoodiano’”.
La star di Hollywood ha annunciato il ritiro dalla recitazione nel 2018 dopo Old Man & the Gun, considerato il suo film d’addio.
“Penso semplicemente di aver avuto una lunga carriera di cui sono molto soddisfatto. È durata così a lungo, da quando avevo 21 anni”, ha raccontato all’Associated Press. “Ora che sto entrando negli anni ’80, penso che forse sia il momento di andare in pensione e passare più tempo con mia moglie e la mia famiglia”.
Pur essendo uno degli attori più straordinari del cinema, Redford non ha mai vinto un Oscar per la recitazione, bensì ne ha ricevuto uno onorario nel 2002 per il suo lavoro con il Sundance Film Festival, da molti considerato la sua eredità più grande.
Nel 2025 il festival era diventato così importante che gli organizzatori hanno deciso che Park City fosse troppo piccola e hanno approvato il trasferimento a Boulder, in Colorado, a partire dal 2027. Dopo questa notizia, Redford, che aveva frequentato l’Università del Colorado a Boulder, ha rilasciato una dichiarazione in cui affermava che “il cambiamento è inevitabile, dobbiamo sempre evolverci e crescere, questo è stato il fulcro della nostra sopravvivenza”.